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A pranzo con Willie Peyote al Villaggio del Festival: “Mi scambiano per Brunori”. Carlo Conti? “Ogni scelta è politica, anche chi invitare”, e su Elodie, antifascismo, bagna cauda e fanbase, “Anche i Subsonica…”

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  • di Michele e Lucia Monina Michele e Lucia Monina

14 febbraio 2025

A pranzo con Willie Peyote al Villaggio del Festival: “Mi scambiano per Brunori”. Carlo Conti? “Ogni scelta è politica, anche chi invitare”, e su Elodie, antifascismo, bagna cauda e fanbase, “Anche i Subsonica…”
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Al Festival di Sanremo 2025 siamo venuti per spaccare, ve lo avevamo detto. Oggi è toccato a Willie Peyote, in gara con “Grazie ma no grazie”, di dover pranzare con il nostro (cattivissimo) critico Michele Monina sua figlia Luccioola. Scambiato per Brunori Sas, bersagliato dai critici, difende la politica nelle canzoni e la musica suonata. Tra bagna cauda e antifascismo, Fantasanremo e fanbase, Peyote è qui per dire la sua, e lo fa a modo suo

di Michele e Lucia Monina Michele e Lucia Monina

Willie Peyote è un animale da palcoscenico, ma se Sanremo fosse soltanto quello che succede all'Ariston non sarebbe Sanremo. Cosa succede prima dell’ingresso in scena? Ce lo dice il cantante torinese: “Sanremo è un circo, un evento che non c'entra solo con la musica, ma con la televisione, con l'intrattenimento. E io sono qui per la musica, ma il contorno lo devi accettare. Prima di salire sul palco c’è tutto un mondo di attese, interviste, prove, e poi il momento in cui devi cercare di restare concentrato mentre intorno a te succede di tutto”, spiega Willie, che comunque trasforma un contesto stressante in un'opportunità di divertimento. Non riesce a non fare casino la sera: “Non sono uno che riesce a stare calmo. C’è troppa adrenalina, troppa roba in ballo. Finisci di suonare e non è che torni in hotel e dormi. Ti ritrovi con altri artisti, chiacchieri, bevi qualcosa. Il casino fa parte del gioco, e anche del modo in cui si scarica la tensione”. Ma è vero che viene scambiato per Brunori Sas? “Succede da anni, non so bene perché. Abbiamo lo stesso barbiere? Forse. Comunque sì, alloggiamo nello stesso hotel. Ogni tanto arriva qualcuno che mi ferma: Brunori, posso farti una foto? Io sorrido, a volte lo correggo, altre no. Magari gli rovino la giornata”. Ma c'è anche chi, al contrario, cerca di rovinare la giornata ai cantanti in gara: i critici, di professione o velleitari che siano. Come la prende Willie Peyote? “Leggo tutto. O meglio, cerco di non farlo troppo, ma è impossibile non sbirciare. La gente si scatena, a volte con commenti sensati, altre con cattiverie gratuite. Fa parte del gioco, ma non puoi ignorarlo. Il pubblico oggi non è solo quello davanti alla Tv, è quello su Twitter, su Instagram, su Tik Tok. E lì le reazioni sono immediate, senza filtro”.

A pranzo con Willie Peyote
A pranzo con Willie Peyote
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Il cantante di Torino parla anche, immancabilmente, della politica nelle canzoni sanremesi: “Dicono sempre che Sanremo deve stare lontano dalla politica, ma è impossibile. Ogni scelta è politica, anche quella di chi invitare. Carlo Conti, per esempio, è uno che fa scelte ponderate, ma sa che ogni sua decisione può essere letta in un certo modo. Io? Io non riesco a non portare la politica nelle mie canzoni, perché la realtà che viviamo è politica”, ammesso che poi il messaggio arrivi davvero e non venga frainteso: “A volte mi chiedo se leggano davvero quello che dico o se cercano solo una frase da mettere nel titolo. Spesso semplificano tutto, lo rendono più sensazionalistico. Ti trovi a dover spiegare cose che non hai mai detto, o a chiarire frasi che sono state travisate. È frustrante, ma ormai lo metti in conto”. Willie Peyote punta molto, e da sempre, sulla band, e non sull'elettronica: “Sanremo quest’anno ha mostrato una cosa interessante: la musica suonata, quella con strumenti veri, sta tornando. C’è voglia di band, di suono dal vivo, di una dimensione più autentica. Lo vedi anche nei concerti: la gente vuole sentire strumenti, non solo basi e autotune. È una bella notizia”. La Liguria è una seconda casa per molti piemontesi, con tutto ciò che ne consegue a livello diplomatico, tra liguri e foresti. Ma visto che siamo a pranzo, perché non parlare del piatto torinese più famoso al mondo? “Io sono piemontese, certe cose non si tradiscono. La bagna cauda è un rito, un pezzo di casa che ti porti dentro. Se posso, la mangio anche qui. Sanremo è pieno di cene e aperitivi, ma quando trovo qualcosa che mi ricorda Torino, non resisto”.

Willie Peyote al Villaggio del Festival
Willie Peyote al Villaggio del Festival

Dall'irresistibile bagna cauda alla Resistenza: “Mi chiedono di antifascismo, di cosa penso di certe dichiarazioni, ma spesso la domanda è posta nel modo sbagliato. È come se si cercasse la polemica, lo scontro. Io sono antifascista, ma non voglio ridurre il discorso a uno slogan da talk show. Anche Elodie, quando parla di certi temi, lo fa con cognizione, ma poi viene sempre semplificata. È un problema più grande”, un po' come quelli che hanno travolto alcuni personaggi del Festival, in primis Fedez, la cui Battito però è salvabile secondo il Peyote: “Mi è piaciuto quello che ha fatto Fedez. Al di là del personaggio e delle polemiche, ha parlato di un tema importante come quello dei farmaci e della salute mentale. E sì, anche questo è politica. Ogni volta che tocchi un argomento che riguarda la società, che riguarda la vita delle persone, stai facendo politica, anche se non vuoi”. Dal circuito alternativo a Sanremo, il problema più grande arriva sempre dalla fanbase. Anche nel caso di Willie? “Lo dicevano anche dei Subsonica: non sono da Sanremo, e poi ai concerti tutti vogliono cantare Tutti i miei sbagli, che è diventata un inno. Non è il palco che fa l’artista, è l’artista che fa il palco. Io sono qui perché ho qualcosa da dire e da suonare. Poi, se piaccio o meno, lo decide il pubblico, e io sono tranquillo con quello che porto”. Il pubblico, ok, ma il Fantasanremo? “Ci gioco anch’io. È diventato un fenomeno incredibile, una roba che coinvolge tutti. Ormai non c’è Sanremo senza FantaSanremo. Certo, è una follia, ma anche questo fa parte del gioco”. Un po' come tutto, al Festival.

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