Il Califfo come Beppe Fiorello che interpreta un santo a caso in una qualsiasi fiction Rai. È andato in onda ieri sera, domenica 11 febbraio, il film Califano con Leo Gassman, al suo debutto nel ruolo di attore, a interpretarne il protagonista. Una scelta di casting che aveva scatenato non poche polemiche intorno al figlio d'arte, accusato di essere il solito raccomandato senza talento che si accaparra la prima serata del Servizio Pubblico solo in virtù del cognome. Su tale pregiudizio, c'è da fare marcia indietro. Non sarà un cantante di successo, ma il giovane Leo se la cava di fronte alla macchina da presa. E forse sarà questa la sua strada negli anni a venire. Congratulazioni e buon per lui. "Califano", però, a prescindere dall'interprete, resta uno sceneggiato mesto e ordinario, tutto ciò che lo stesso Califfo non è stato mai. Il problema non è la recitazione, il problema è proprio la Rai che sembra essere in grado di raccontare personaggi che hanno fatto la storia dello spettacolo italiano appiattendone i tratti più divisivi - ossia interessanti - tramite la solita modalità santino. Menomale che di Rocco Siffredi se ne occuperà Netflix, altrimenti ce lo avrebbero venduto vergine.
Nel biopic Rai vediamo, dunque, un Franco Califano in perenne ricerca d'amore e conferme esterne del proprio talento. Un cucciolone ombroso e solitario che, quando si traferisce da Roma a Milano per lavorare nell'ambiente musicale, indovinate un po'? Non si diverte, ma soprattutto si annoia. Perché la reference a quella specifica canzone, dai quella lì, va teaserata per tutto il tempo, altrimenti il pubblico si perde via e non capisce più di chi stiamo parlando. Sensibile al fascino femminile ma non proprio puttaniere, il Califfo vive al massimo gli anni Sessanta. Al massimo, ma ingabbiato dalla narrazione del Servizio Pubblico che lo imprigiona in un'aura dorata di nausea esistenziale e sofferenze. Per questo poi si andava a rifugiare sotto le gonne di qualcheduna. Mica perché gli piacesse. Un santo, forse un martire. Comunque un incompreso che forse una volta ha effettivamente avuto a che fare con la cocaina. O comunque ne ha sentito parlare a qualche festa in cui, ovvio, si annoiava perché lui cercava l'amore e trovava solo fagiane bendisposte. Che vitaccia.
Non c'è poi molto da stupirsi. La Rai è stata in grado di rifilarci un terribile ritratto di Fabrizio De Andrè, pur avendo a disposizione nientemeno che Luca Marinelli nel ruolo di protagonista, quasi astemio e solo poeta tormentato dai propri demoni interiori. Di cui parlava con inflessione romana spinta. Romana. Fabrizio De Andrè. Il biopic su Califano è un modo come un altro per far contenta nonna, ricordandole i bei tempi andati, quelli che non torneranno più. Sa di vecchio e ne va fiero. Quando il Califfo vecchio non lo è stato nemmeno a 74 anni, quando è purtroppo venuto a mancare. Figuriamoci da giovane.
Ingabbiato più volte per sospetta detenzione di sostanze stupefacenti e conoscenze un po' troppo strette con vari boss mafiosi, questa parte, diciamo controversa, viene raccontata a volo d'angelo, con transizioni atte solo a ferire le cornee del coraggioso telespettatore. Le vicende giudiziarie del Califfo si concluderanno tutte con piena assoluzione per insussistenza dei fatti a lui imputati, ma difficile dimenticare Leo Gassman che dalla finestrella del gabbio grida "Patrizia!" come Rocky Adriana all'amata che va a fargli ciao con la manina da lontano. È tutto così spaventosamente didascalico, nonostante l'apporto delle teche Rai che si dintingue dal resto del girato perché l'immagine diviene improvvisamente più piccola e sgranata. In pratica, non si vede più una mazza. E così sappiamo di essere di fronte a filmati di repertorio, qualunque cosa stiano mostrando.
Il biopic, comunque, ha vinto la serata con 4.174.000 spettatori per uno share pari al 22.8%, di fatto doppiando Lo Show dei Record su Canale 5 che a disposizione aveva, non stiamo scherzando, delle oche in gara seguite dall'occhio attento di due notai dall'accento british a prendere appunti, ligi. L'unica certezza in realtà sono due: Leo Gassmann sa recitare e può ambire a diventare il nuovo Beppe Fiorello/Luca Argentero/suo padre nel pregiato ambito delle fiction Rai. Fiction Rai che, in ogni caso, dovrebbero lasciar perdere le leggende della musica italiana, quando particolarmente fuori dal coro, altrimenti il rischio sensibile è che lo spettatore si ritroverà di fronte, negli anni a venire, Patty Pravo mezza suora di clausural, Ornella Vanoni sobria e Gino Paoli che si spara al cuore con una pistola giocattolo, per fare il burlone con gli amici. Se volete conoscere o ricordare il Califfo come si deve, andate a recuperarvi i suoi dischi. Punto.