Un giorno, in una foresta scoppia un grande incendio. Tempo pochi minuti e l’aria si fa carica di fumo, le fiamme si propagano velocemente, mangiando piante e metri. Gli animali cominciano a scappare, chi velocemente e chi goffamente. L’istinto naturale è quello che ti dice di metterti in salvo, e per farlo non puoi che usare tutti i mezzi necessari. Tra i più agili e veloci c’è un ghepardo, che corre scattante verso il punto in cui la foresta muta in radura, per poi farsi savana. Mentre corre, impaurito ma fiero, vede un piccolissimo colibrì volare in direzione opposta alla sua, in bocca all’incendio. Il ghepardo si ferma, sbigottito, e fa un cenno al colibrì, che ferma la sua corsa, librando in aria. “Guarda che lì c’è un incendio, stai sbagliando direzione. Così rischi di morire”. Il colibrì lo guarda e aprendo appena il becco sottile, tanto quanto basta a lasciar vedere al suo interno una singola goccia d’acqua, dice, “Io vado a fare la mia parte”. Sipario. Questo è un racconto sciamanico, di nativi americani. Un racconto di resistenza. Me lo fa Raf Valvola Scelsi, mentre mi mostra gli scaffali in metallo della Libreria Shake, inaugurata giusto un paio di giorni fa in via Ingegnoli 13, tra Coseretto e Città Studi, a Milano. Sono passato a salutarlo, perché quando nel quartiere in cui abiti apre una libreria, tanto più una libreria che è anche una casa editrice e una casa editrice di qualità come la Shake, non si può che far altro che festeggiare. La Shake è un colibrì, lo è da sempre, col suo ostinato fare controcultura, e l’incendio è quello che a Milano ha portato negli ultimi anni il cemento a Milano, quello che a breve dovrebbe essere sbloccato dal tanto atteso, dal sindaco Sala, Decreto Sblocca Milano (da non leggere troppo velocemente, perché il gioco di parole sarebbe quantomeno controproducente). Ma l’incendio che avvampa a Milano, da non confondere invece con quello che i giovani che hanno protestato a Corvetto per la morte del diciannovenne Ramy Elgami, vittima di un incidente mentre fuggiva dai carabinieri a bordo di uno scooter, quei fuochi che hanno fatto a tanti evocare i corrispettivi delle banlieu parigini, grave errore di lettura del contesto milanese, l’incendio che avvampa Milano, dicevo, come un po’ tutta l’Italia sembra semmai molto simile al rogo ipotizzato da Ray Bradbury in Fahrenheiy 451, lì atto a eliminare fisicamente i libri considerati pericolosi, qui e oggi è destinato a sbarazzarsi di qualsiasi opera che abbia l’ardire, ardire, non ardere, di ambire a aprire le menti.
Un incendio distruttivo, aggressivo, che ha ormai quasi fatto tabula rasa, al punto che di librerie, in un qualsiasi quartiere, se ne trovano poche, quasi sempre di grandi catene. Shake che sbarca in via Ingegnoli, a due passi da casa mia, è un colibrì. Ma sono un colibrì anche io che ve lo dico, e voi che mi leggete, se nel leggerlo provate comunque un sussulto, come di chi, dopo giorni di ricerche disperate, sente che sotto le macerie c’è ancora un flebile gemito, qualcuno sopravvissuto a un crollo, e via a chiamare i soccorsi e a togliere le pietre e i mattoni a mani nude. E dire che sono passato da Raf Valvola dopo un paio d’ore passate in un liceo di questa fetta di Milano, come ormai capita spesso nei fine settimana, due figli gemelli in procinto di scegliere che scuola superiore andare a fare questo comportano. Un incontro che è per un buon 90% marketing, expo non permanente di eccellenze e specificità che poi, è chiaro a tutti, atterreranno sul pianeta Terra al primo suono della campanella al prossimo primo giorno di scuola, quella capacità tutta milanese di fingersi più poveri di quel che si è, abiti casual comunque di marche fuori portata per buona parte della popolazione esibite con malcelata eleganza, quel parlare di inclusività come fosse appunto qualcosa da esibire, quasi un vezzo caratterizzante più che la natura dell’essere scuola pubblica in età ancora dell’obbligo, sempre la domanda a un certo punto sull’anno di studio all’estero, signora mia, perché va bene essere equi e solidali, ma certi elitarismi è difficile scrollarseli di dosso. Un incontro formativo, parlo del mio essere un antropologo fai da te, del resto ho fatto il classico, potrei comunque fare qualsiasi cosa, dicono, che esacerba quel mio senso di ostilità verso le classi più abbienti, quell’alta borghesia che forse mi ha anche incluso, mio malgrado, ma cui non ho ancora venduto la pelle. Al punto che, uscito di lì, Dio mio la difficoltà di tenere nascoste certe mie irritazioni ai miei figli, oggi dovrò fare full immersion nella discografia dei Fugazi, o forse addirittura dei Black Flag (pensatemi mentre fingo di avere un microfono in mano, saltellante in pantaloncini corti e a torso nudo per la sala, un paio di calzini di spugna al posto delle scarpe), ho voluto assaporare quella forma di riconciliazione con la realtà che passa per l’estraniamento da se stessi, sono pur sempre con un detto che viene dalla cultura sciamanica, una cultura ancestrale che guarda appunto a un contatto con la madre Terra che non sia necessariamente vincolato alla razionalità. Essendo io, mica ho citato Herny Rollins o i Fugazi a caso, straight edge sin da giovane, quindi del tutto distante dall’utilizzo di qualsiasi tipo di sostanza che alteri le mie percezioni, i miei viaggi me li concede direttamente la mia fantasia, Dio mio sembro Jovanotti, ecco, essendo io straight edge, per provare una stato di estraniamento da me stesso ho usato un metodo già testato empiricamente, sono andato a passeggiare metaforicamente fuori dal mio campo esistenziale. Essendo uno scrittore che ha fatto da decenni della critica musicale il mio core business, ma provenendo comunque da quel mondo lì, la controcultura e l’hardcore punk nello specifico, ho deciso di andare a citofonare in via Ampere 76, a pochi passi da quella via Ingegnoli 13 sede della nuova libreria Shake dove sarei andato poi, sapendo che lì avrei trovato tutto l’estraniamento che andavo cercando. Da qualche ora, infatti, si è esternata in rete una operazione interessante di guerrilla marketing che ha l’imminente pubblicazione di qualcosa a firma Thasup e Mara Sattei, all’anagrafe Davide e Sara Mattei, fratello e sorella, canzone che, decifrando il gioco di caratteri speciali e asterischi tipici del producer e cantante porterebbe verso il titolo “Casa Gospel”, vai poi a sapere se di singola canzone o album comune si tratta.
Prima sono apparsi indizi in rete che portavano appunto a questo indirizzo, posto nella parte centrale di questa bizzarra via che ha tre chiese a caratterizzarla, verso la periferia Santa Maria Bianca di Casoretto, al centro, proprio di fronte a quel via Ampere 76 di cui si sta parlando la chiesa di San Luca, all’altro estremo san Pio X, praticamente in quella Piazza Leonardo da Vinci che ospita la sede centrale del Politecnico di Milano, piazza al momento corredato dalle tende della Decathlon non più di chi protesta per il caro affitti nel capoluogo lombardo, quanto piuttosto da chi rinfaccia all’università milanese di intrattenere rapporti con lo stato di Israele. San Luca, per altro, incidentalmente anche la mia parrocchia, (sono straight edge e ho suonato in una band hardcore dal nome Dead Kossigas, ciononostante Paola Iezzi è una delle mie migliori amiche, nello showbiz e fuori, sono stato punk prima di voi, giusto un filo dopo Enrico Ruggeri, uno dei miei migliori amici nello showbiz e fuori, sono stato punk ma sono anche cattolico, sposato in chiesa da mio padre, diacono, e sono pure un ex catechista, come dire che non mi faccio mancare niente), San Luca, dicevo, è una parrocchia ospitata in una chiesa disegnata dall’architetto Giò Ponti, colui che tra le altre cose ha anche progettato il complesso di case popolari di viale Campania, a ridosso di Calvairate, quelle famose per le finestre che sembrano oblò di una nave. È proprio di fronte a questa chiesa, oggi divenuta parte di una comunità parrocchiale con la limitrofa Santa Maria Bianca, che invece è una basilica che risale al 1400, ecco, di fronte a San Luca c’è via Ampere 76, villetta singola dove nelle ultime ore sono arrivati incuriositi molti fan di Thasup e Mara Sattei, incuriositi dagli indizi lasciati online dai due, e anche da una serie di chiavi, circa ottanta, chiavi a forma di casa, per altro, con su scritto i due nomi anagrafici degli artisti e l’indirizzo in questione. Una volta arrivati qui, loro come me, in fuga dall’open day e ancora in procinto di andare a visitare per la prima volta la libreria Shake, ci si trova di fronte un citofono, posto al centro di un cancello nero. Un citofono chiaramente non collegato a un campanello, la scatola di metallo che lo ospita, non troppo dissimile a una cassetta per la posta, è slegata dalle pareti, dove invece si vede un citofono occultato da un patch nero. Pigiando il tasto parte una anteprima del brano in questione, probabilmente intitolato Casa Gospel. Del resto proprio ieri, venerdì 29 novembre 2024, scrivo puntando come sempre all’eternità, è bene dare specifiche cronologiche, un piccolo coro gospel, con tanto di tuniche blu, si è aggirato proprio da quelle parti, entrando nella casa, a conferma della decifrazione di cui sopra. Il video dello speech di Mara Sattei alle Iene, Chi canta prega due volte, è finito dentro la chat della parrocchia di Santa Maria Bianca/San Luca, Che gioia sia, non ci sarà connessione tra la scelta di via Ampere 76, Thasup e Mara Sattei ma un po' anche sì. Il gospel nulla ha a che vedere con la contigua presenza di una chiesa, specifica un ragazzo di nero vestito che lì si trova a mo' di guida, o di security. È lui a parlarmi esplicitamente di guerrilla marketing, ce ne fosse bisogno, e a mostrarmi le chiavi che vedete in foto. Mi faccio un selfie, tanto per mandarlo nel gruppo Whatsapp che ho con mia moglie e i nostri quattro figli, accompagnati dalla didascalia “C1@0”, quando voglio so essere giovane anche io. Giovane e estroso, provateci voi a tenere nello stesso pezzo l’open day in un liceo à la page di Milano, lo straight edge, con Herny Rollins e i Fugazi, Thasup e Mara Sattei con Coro Gospel, il disco si dice per altro uscirà il 13 dicembre prossimo, e pure l’apertura di una libreria nel quartiere, la Shake di via Ingegnoli 13, con qua e là cenni storici alle chiese della zona, all’architettura neorinascimentale di Giò Ponti. Il tutto senza aver fatto uso di droghe, naturali o chimiche, va sottolineato. Di fatto, lasciatomi il suono del nuovo brano dei due fratelli Mattei, visto quanto scrivevo ieri dovrei dire delle due sorelle Mattei, abbattiamo finalmente questo patriarcato, Dio santo, e invece di usare le orribili schwa o gli asterischi facciamolo giocando con le parole, citando la già citata Giulia Mei adottiamo il neologismo “inficarsi” per dire “incazzarsi” e giochiamo di fantasia, come Thasup fa splendidamente nei suoi testi surreali e incomprensibili, graficamente utilizzando i caratteri speciali e nei fatti inventandosi parole che forse neanche lui capisce del tutto.
Salutato Raf Valvola, con ancora in testa il racconto del colibrì e della foresta in fiamme che avete letto in esergo di questo pezzo, iniziando quindi a ragionare su come anche oggi avrei potuto portare la mia goccia d’acqua, se vi state interrogando come io abbia risolto questo enigma forse questo pezzo non mi è uscito poi così bene, mi sono diretto verso casa, canticchiando mentalmente “Swisho un blunt a Swishland, bling blaow, come i Beatles/ Blessin' tic tac, le prendo dal mattino/ Già dal mattino, yah, tanto già non dormivo” e dicendomi che no, Thasup indubbiamente non andrebbe d’accordo con Henry Rollins, ma forse andrebbe d’accordo con buona parte degli autori dello scaffale della libreria Shake dedicata alle controculture e allo sciamanesimo. Ecco la quadra, e niente, alla fine, psicogeografeggiando per il quartiere, prima, e su questo foglio word del mio computer portatile, poi, alla fine ho forse trovato il bandolo della matassa, e anche per oggi ho fatto la mia parte.