Il punk da camera di Nada Malanima si conferma, album dopo album, la più innovativa proposta di rivisitazione della tradizione pop nostrana: quella cantautorale e quella popolare, muovendosi tra echi degli anni Settanta e poi avanti, e indietro, tra i decenni sgranati come un rosario che brilla e stupisce. Nuovissima, efficacissima, e soprattutto ancora capace di sorprendere nel mondo asfittico in cui annega la musica italiana. Così la freschezza della ragazzina che tutti ricordano (anche quelli nati trent’anni dopo) quando si avvicinava timida al microfono per intonare Il cuore è uno zingaro, la star senza tempo di Ma che freddo fa e di Amore disperato esplode in mille coriandoli di luce alla tenera età di diciassette anni sempre. Ed oggi specialmente. Insomma, Nitrito, fresco più lui di questo 2025 già vecchio, è l’ennesimo album di esordio di un’artista a 360 gradi, capace di raccogliere con inaspettata, quasi fuori dal tempo (e da questo tempo specialmente), e prepotente, allegria, malizia. Ed infinita dolcezza.

Nada sbaraglia il tempo, volteggia tra echi dei CCCP e nostalgie del beat degli anni Sessanta ma anche con umbratili sonorità drum and bass che sanno accostarsi al country e alle filastrocche del progressive nostrano se non alle filastrocche vere e proprie, quelle delle nonne accorate a ogni latitudine e longitudine, con cenni del Battiato divertente e divertito di Bandiera bianca… La musica che fa Nada oggi è la musica che Nada oggi fa: mancano letteralmente i termini di paragone, oppure li si crea a casaccio (ho scritto sopra “punk da camera”, ma questa definizione mi sa che non è affatto a casaccio), rincorrendone la torrenzialità creativa. Dove traspare l’autorialità di un Gino Paoli si sovrappone il genio di Freak Antoni… Si pensi, a questo riguardo, alla magistrale Uovo, trasgressiva, provocatoriamente enigmatica e vicina all’estro solo da lei raccolto della compagnia Enzo Jannacci/Cochi Ponzoni/Renato Pozzetto/Dario Fo di Banane (nel precedente La paura va via da sé se i pensieri brillano, 2022, ma anche in L’estate sul mare del doppio Materiale domestico del 2016). Ogni singola canzone di Nitrito è un prisma da scoprire, un inno alla libertà perduta ma non da Nada, che sta in una dimensione parallela, tutta sua e di chi ha la fortuna di ascoltarla, e di seguire l’intreccio dei suoi molteplici percorsi. L’album si apre con Bella più bella ed è sorretto anche dal video del sodale di lunga data Davide Barbafiera, che la segue di spalle (in un gustoso, ruvido bianco e nero), mentre affigge sui muri ritratti di grandi donne della Storia, da Emily Dickinson a Simon Weil, dalla Madonna a Margherita Hack. Ed è proprio uno sguaiato, libero e prepotente e poetico inno a tutte le donne quello che in crescendo questa piccola gemma ci dice e urla, accattivante tanto da farsi ascoltare, e certamente, più e più volte.

E si prosegue con Ghiaccio, ballata giocata su consonanze e assonanze in crescendo su una festosa consapevolezza dell’umiltà dell’amore impossibile, ribelle che comunque tutti e solo ci fa vivere: perle di sapienza e ironia, dolore e gioia e mistero di un “cuore orribilmente spezzato” e che pure ci illumina. Sempre migliore scende tribale nella dicotomia inscindibile amore/morte, serpeggiando come un inno alla Lynch pieno di visionaria vita, assoluta vita. Un giorno da regalare ne approfondisce i temi in un abbraccio all’intero universo, dichiarazione d’amore quasi gospel, preghiera in musica, preghiera e musica rese un tutt’unico. Uovo è pura adrenalina anarchica, gioiello segreto che manda tutto e tutti affanculo con grazia magistrale (“Tutti questi maccheroni/me li levo dai coglioni”: demenziale?, ma quando mai!) e coro gallinoide che sa stupire (miracolo!) nel 2025… Primitiva è poesia declamata (con rimembranze di Giovanni Lindo Ferretti) che si attorciglia “libera come un uccello/su querce di alberi e fiori di platino/senza paura, senza paura” e libera ad occhi chiusi, con la pura potenza del cuore preso, spalmato in note vibranti e intense, “primitive” e libere. Primo è forse il brano più estremo (estremo con grazia, sempre) di questo concept, dove si aprono crani e cuori per rilevare che abbiamo troppi istinti, e troppe idee, “non conformi a questa nuova realtà” che ci resetta massacrandoci: Nada fa politica ed è sociale senza bandiere, senza proclami ma affondando il bisturi della sua sensibilità estrema e spiattellata “in un cosmo a doppia porta”. Quotidianità e mistero, misticismo sotto il torchio della Matrix e il futuro che no, grazie, non questo. “Tra un cavallo e una formica/c’è la mia vita”: con questi versi si apre Una notte che arriva, penultimo brano in cui l’alchimia si compie trionfale e carnevalesca di questa Nada sempre nuova, dono celestiale “con coraggio, con tanto coraggio” per entrare, “come un guerriero” in questa notte che arriva. Il disco si chiude (e si riapre) con Che giornata: “Vado a passeggio con il mio gatto/e mi tengo a un lampione e canto/che bella questa vita anche se il giornale dà/notizie disastrose” e poi chiude, in un trionfo d’amore. Senza retorica. Un grande disco. Un dono degli dei. Uno scherzo di pura luce e grazia. E grazie, Nada…
