Ho sempre vissuto i Baustelle come una parodia retrodatata, per affinità espressive, di Franco Battiato, figura gigantesca che ancora irradia la sua potenza e la sua vastità di orizzonti espressivi negli anni risolutivi e infiniti della fine del rock, del pop o comunque si voglia definire il vuoto assoluto in cui ci troviamo. Ma certo il gruppo di Francesco Bianconi è consapevole di dove siamo finiti. E per vizio di natura, di genere, di gusto o di quello che sia mantengono la consapevolezza che sempre li ha contraddistingui. E di nuovo, come è sempre stato dai loro esordi, lanciano messaggi allegramente necrofili (e l’anfibologia è quanto mai felice) del disastro in cui ci troviamo, mischiando (come oggi ci è concesso) echi degli anni Sessanta, innanzitutto, e Settanta (ma anche Ottanta e Novanta). Sia musicalmente che nei testi (questi ultimi con forti richiami alla sgretolata attualità), hanno il pregio di riaggiornare la “canzonetta” con un forte senso di nostalgia, magistralmente espresso, di quando questa aveva senso. Nulla di nuovo? Nulla di nuovo, certo, e non per colpa del gruppo di Bianconi. Anzi: il gioco è lasciare che il già sentito sia sorretto da una linea di sincera malinconia verso quando qualcosa che fu.

Un’epica del frammento attraversa El Galactico, titolo esemplare: connubio tra un locale milanese di tacos e qualcosa di cosmico che è collaterale al nulla in cui non i Baustelle ma noi tutti ci troviamo. Insomma un ottimo lavoro, per chi vuole abbandonarsi alla gradevolezza di una canzone e al suo attuale anacronismo. Tra lampi di essenzialità esistenziale, e pungente, nell’implorare “disperatamente, ancora dì di sì” ripetuto più volte alla fine di L’imitazione dell’amore, squisitamente nietzschiano, “trasvalutati – e direi rimpianti – tutti i valori”. Ma è forse in Filosofia di Moana, che l’amalgama tra il musicalmente già sentito e lo struggente accavallarsi di ricordi, che i Baustelle ci fanno credere, e meno male, che abbia ancora senso, oggi, fare musica.

L’accumulare in un ennesimo magazzino quanto già trovato in decine di solai e cantine, il troppo passato che ci annichilisce “in questo vuoto atroce”. Nei tempi della trap, El Galactico è tutto oro che cola, nella destrutturazione dell’ego magistralmente raccontata in Una storia. Testimoni di un non più oggi, i Baustelle si confermano una nobile eccezione critica, e morale, nel vortice di idiozia che li circonda, che ci circonda. Citando Brecht stravolto da Edoardo Sanguineti: “Scusateci a noi per il nostro tempo”.
