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Abbiamo fatto ascoltare Il Male, il disco degli Zen Circus, al poeta Aldo Nove. Il risultato? "Addio Vasco e Ligabue: con loro riparte la rivoluzione del rock…"

  • di Aldo Nove Aldo Nove

  • Foto di: Ilaria Magliocchetti Lombi

25 settembre 2025

Abbiamo fatto ascoltare Il Male, il disco degli Zen Circus, al poeta Aldo Nove. Il risultato? "Addio Vasco e Ligabue: con loro riparte la rivoluzione del rock…"
Siamo alla fine delle stronza*e radiofoniche? Sì, perché questo è un disco vero, suonato davvero, che distrugge prima di amare. Niente produzioni prefabbricate, niente pop da supermercato, solo la precisione feroce dei testi e la bellezza brutale del rock (che viene dal punk). Il poeta Aldo Nove analizza brano dopo brano Il Male, il nuovo album rivoluzionario degli Zen Circus

Foto di: Ilaria Magliocchetti Lombi

di Aldo Nove Aldo Nove

Facciamo finta che (cit. da Mauro Biglino) abbiamo quindici anni, siamo fan di Sfera Ebbasta e di Elodie, e abbiamo nel nostro repertorio canoro, come unico momento diciamo serio, Sua Maestà Taylor Swift ma anche un pizzico di Olivia Rodrigo con quella "vecchia panzona" dei The Cure: non abbiamo idea di chi siano quei cattivoni degli Zen Circus e la nostra vita va malissimo così… Oppure di anni ne potremmo avere il doppio dei precedenti, ascoltiamo ThaSup o come caz*o decida di chiamarsi, e abbiamo addirittura una certa simpatia per Anna (Pepe) la rivoltosa: mai pervenuti gli Zen Circus, da sempre ignorati i CCCP-CSI (e quel Giorgio Canali così vicino, nell’arte e nello spirito, ai nostri). Oppure fingiamo di averne, ancora, 50, di anni, avendo sì ma da giovani ascoltato qualcosa degli Assalti frontali, saputo da amici da amici che sono esistiti (o esistono, non so/non si sa), gli Attacchi frontali, i Verdena, insomma certa “roba da centri sociali” … Facciamo finta insomma che non abbiamo idea di chi siano, gli Zen Circus, e partiamo da adesso… Dal nuovo disco Il Male (in uscita il 25 settembre in digitale e il 26 in vinile e Cd per Carosello Records). Ecco la profezia…

La cover del disco Il Male degli Zen Circus
La cover del disco Il Male degli Zen Circus

Fine delle stronzate proposte dalle radio come canzoni. Il Male brucia tutto. Prendete il punk più brutale e rivoluzionario, da Iggy Pop ai Sex Pistols, e scaraventatelo nel 2025. Ecco cos’è, Il Male. E questo disco ne testimonia la potenza (e la bellezza!). Pezzi durissimi “suonati davvero” con attimi di solarità inaudita (quanto inaspettata). Perché la Rivoluzione (e questo è un disco rivoluzionario) non è solo violenza. Non cela il suo bisogno d’amore e lo manifesta. Ma prima, con dovizia, distrugge tutto. Stupisce la precisione dei testi. Stupisce la totale assenza di falsità. Sì, questo è un disco vero. Non una troiata sparata fuori dalle case discografiche che di musica ne capiscono quel che basta per creare un popolo di deficienti pari loro. Qua si suona un’altra musica. C’è, in generale, marginale ma non troppo, un momento di risveglio. Da Daniela Pes ai Baustelle, da una Nada senza età a IL MALE. Come negli anni della rivolta che si incarnò in figure oggi leggendarie come i Rolling Stones, i Doors, i Velvet Underground. E poi la seconda ondata, quella dei Sex Pistols e dei Clash, e subito a seguire, in un florilegio di meraviglie, i Joy Division, i Cure, i Depeche Mode, gli Yahoo. Ma anche gli oscuri, tenebrosi e potenti Throbbling Gristle, i Clock DVA, gli Einsturzende Neubaten. La sacralità dei Dead can dance e This Mortal Coil. Le ballate psicotiche dei DAF. Da noi, ben poco.

Zen Circus
Zen Circus foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

Le banalità standard di Vasco Rossi (oggi pontefice dell’Ordine) e Ligabue, il rocker sempiterno della sfiga di provincia. Rare, marginali (parlo di successo; musicalmente, culturalmente splendidi) le eccezioni: Krisma, Garbo, Faust’O. A latere, la potenza estesa nei decenni di Franco Battiato, l’anomalia meravigliosa di Giorgio Gaber e il fenomeno del cantautorato (De André, Guccini, De Gregori, Dalla) sempre più in discesa, sempre più già nostalgia dei “bei tempi che furono” sull’eco, da noi, di Bob Dylan. Tutto questo par arrivare (saltando anni di vuoto, o quasi, eccezioni a parte come è legge universale) al 2025. Altroché “Sesso e Samba” e la vergogna (e, pure anche, “crepuscolare”) di tutti i successi costruiti a tavolino, in un sistema sempre più smaccatamente e meramente merceologico e truccato, truccatissimo, con “artisti” che riempiono gli stadi attraverso organizzazioni e biglietti pagati da loro stessi, con meccanismi di allucinata “visibilità” non molto diversi da chi fa, come si dice a Napoli, il “gallo sulla monnezza”, per poi sparire nel Nulla da cui proviene e in cui siamo tutti ogni giorno di più divorati. Comunque, questo compendio minimal che più deficitario non si può (zeppo di esclusioni, e contrazioni, storiche e musicali, forzate dallo spazio di quella che sarebbe comunque una sorta di anomala, lunga “recensione”) di una storia ovviamente molto, molto più lunga, ricca e articolata (nonché appassionante, fino a che è durata), non ha altra funzione che ricordarci sommariamente (ma farlo è tutto ciò che c’è in gioco, pena il chiudere la partita) che oggi c’è (se non te la vai a cercare) poca trippa per gatti, e allora rieducarci a Bach, Mozart e Beethoven, per saggiare un margine garantito di non affondare il nostro apparato auditivo in cagate fraudolente, sempre più dimentichi di qualunque funzione di chi ci propone musica come pura truffa, perché davvero è esistita (e gli Zen Circus sono qua a dimostrarcelo, oggi più che mai) una storia del rock, e una espressione collettiva di rivolta attraverso la messa in comune della musica, una musica spesso essenziale e davvero espressione di una rivolta se non direttamente sociale, almeno privata. Una musica “contro”. Come quelle di questo disco. Vediamolo allora brano per brano, riportando, per gli undici brani, un frammento dei testi. 

Zen Circus
Zen Circus foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

1 IL MALE

E voglio sbagliare, senza una morale
Per non dimenticare che esiste anche il male
E ce l’abbiamo dentro, cattivo come il cancro
Al bene artificiale, io preferisco il male…


Durissima apertura con dichiarazione d’intenti, uno sputo in faccia alla restaurazione delle più trite convenzioni della “canzonetta” nella piscina di piscio in cui talvolta nuotiamo, talaltra anneghiamo. Un punk rock godibilissimo e disturbante quanto vuole esserlo (tanto).

Allontaniamo la paura
Forse l’unica emozione pura
Rimasta indenne ai mutamenti
Di questi stupidi, falsi, noiosi anni venti


2 MIAO

Parodia (brutale) della “canzonetta”, uno dei testi più “letterati” (ma tutti lo sono) dell’album, con la citazione diretta di Samuel Beckett (la citazione “Aspettando Godot”, già usata, per chi se lo ricorda, da Claudio Lolli) e un riferimento potente a Charles Baudelaire, ai futuristi russi e a Allen Ginsberg…

Ciao testa di merda quanto tempo, come va con la psoriasi
Sulle ginocchia, sui polpacci e sopra ai gomiti?
Volevo dirti solamente che ti ho cancellata via
Da questa età da questa testa mia
Da questa stupidissima anarchia
Sei bella tanto quanto una bugia
Prima la dici e poi la getti via

 

3 È SOLO UN MOMENTO

Qua tutta la poesia disperata di questo disco, l’urlo spezzato ma preciso di una consapevolezza tanto salda quanto obbligata a essere sé stesso. Il brano più lirico dell’album.

Che cosa sei adesso?
Sei quello che volevi
Hai tutto quanto eppure è sempre come ieri
Ti senti solo
Quasi ogni notte
Stringi il cuscino e ti ripeti ormai da tempo
È solo un momento

Zen Circus
Zen Circus foto di Ilaria Magliocchetti Lombi

4 MEGLIO DI NIENTE

Qua siamo di fronte alla magistralità della poesia che si fa voce, e drenaggio dei suoni prima che ti avvolgano a spirale e ti portino via. Per chi scrive, il capolavoro del disco, ma primo inter pares:

Ragnatele ovunque, le foglie sul letto
La menta che muore, ed il tuo giubbotto
La bici appoggiata, i biscotti ammuffiti
Una palestra in veranda di gatti basiti


5 NOVECENTO

Il più godibile riassunto del “secolo breve” (quell’imbecille di Fukuyama) visto dal remoto angolo nostro, quello della miseria colonia Italia, con un tourbillon di nomi sparati alla caz*o come la realtà che abbiamo vissuto e ancora di più viviamo, Tra, canta Appino, Putin e Jovanotti, Bin Laden e Jerry Scotti. Non riporto nessun testo, qua: va sentita, e risentita, tutta.

6 CARONTE

Pensavo fosse amore, ma è solo un infarto

Amore, ribellione, destino, fotografie esistenziali crudeli e fragilissime (ancora, pur se non voluto, il richiamo ai Poeti Maledetti francesi e alla Beat generation). Caronte attraversa l’essenza acida e salvifica di questo disco (si dice ancora così, o è roba da boomer?), ma non salva nessuno, come gli annegati magistralmente ripresi da Lachapelle, come i figuranti del giardino delle delizie di Goya, uno dopo l’altro mangiati e poi cagati da un demonio bruttino assai… E lacanianamente il crollo dell’ultimo velo, quello dell’ammore (con due emme), il brusco risveglio dopo il risveglio…

Pensavo fosse amore, ma era troppa vodka

7 VECCHIE TROIE

Certo morirò solo, ma non morirò solo
per fare spazio a qualcuno, per navigare nell’oro
I rivoluzionari che ho conosciuto a vent’anni
O sono morti o si sono messi d’accordo sui soldi
Froce, artisti, guru, machi, compagni
Fasci, amici, nemici, attivisti, sorelle Disabili,
tossici, santi, pezzenti e snob
Vogliono tutt* solo i sold*


Si contaminano, gli Zen Circus, e nel circo (o Teatro, per citare degni sodali) degli orrori si ritrovano come noi tutti sfiancati da ciò che ci tiene in vita, almeno quella organica, ovviamente, o forse solo quella. Camus diceva agli studenti in corteo che un giorno avrebbero fatto i bravi ragazzi in banca (in realtà lo diceva anche Venditti, quello degli anni d’oro di Lilly e Sotto il segno dei pesci). Vecchie troie che, tirando ora in ballo il feroce candore di Gaber, “nella consapevolezza di essere nella merda più totale, trovano l’unica sostanziale differenza da un borghese normale”. Infine, questa volta con Frank Zappa, “siamo tutti qui per i soldi”.

8 UN MILIONE DI ANNI

Eppure non è tutto così. E Un milione di anni vola altissimo, scalda il cuore e lo scioglie al centro di una trascendenza sempre più immediata, sempre più urgente. Anche qua nessuna citazione. Rovinerebbe questo brano che va ascoltato e riascoltato, fino a generare una sorgente inaspettata di luce, di fuga…

9 VIRALE

Che pena mi fa, questo buco di paese
Cuore stringimi forte e portami via
Dal culto del falso, la realtà surreale
Che è diventata virale


Si risprofonda negli abissi, nel virtuale dell’irreale concretissimo oggi, nella pelle che brucia per comprare l’ultima crema pubblicizzata, in perfetto (da “perficere”, lat.: portare a termine, perfezionare) stile Zen Circus.

10 ADESSO E QUI

Da solo varrebbe un saggio, un disperdersi nella sua lucida dispersione in un presente che latita da troppo, senza futuri all’orizzonte. Ascoltatelo in loop!

11 LA FINE

Ridevamo dei soldi, ridevamo anche dei guai
Brindavamo alla fine di tutto quanto
Ed era facile infrangere le regole ma poi
Adesso le facciamo noi, adesso le facciamo noi


Curioso che la chiusa di questo concept-album (una volta si diceva così) corrisponda (quasi completamente) con quella dell’album forse più intenso di questo decennio, Song of a Lost World dei The Cure. Del resto, la fine è la fine ma non necessariamente il finale. Al di là dei macabri volteggi di Smith e Gallup, dove il sipario scende per sempre, qua viene strappato, se ne appronta un altro. Ma, come dire, “non spoileriamo”…

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