La rapidità con cui il mondo sembra essersi piegato nella direzione prevista da questo romanzo dovrebbe farci riflettere. Non sul mondo, come vorrebbe il romanzo, ma sulla letteratura. Diluvio (Einaudi, 2024) è un grande romanzo americano, nell’accezione composita che questa definizione pare suggerire: è grande perché lungo quasi 1300 pagine, è grande perché è una promessa mantenuta di Stephen Markley, che con il suo esordio, Ohio, ha dando nuova energia a un genere che in tanti nel tempo, non da ultimo Philip Roth, avevano dato per morto (l’ultimo libro realmente apprezzato e innalzato fu Le correzioni di Jonathan Franzen); è grande anche perché si appoggia con raffinatezza alla tradizione letteraria, soprattutto americana, del Novecento. Sono tante storie giustapposte con istintualità creativa, quasi in modo impressionistico, senza che si innestino legami inverosimili o retorici tra i personaggi: Tony Pietrus nel 2013 si occupa dello studio delle formazioni cristalline nei fondali marini, una riserva di gas naturali e oro spendibile per aziende di estrazione e multinazionali. Ci sono un matematico neurodivergente, un’ecoterrorista, un tossicodipendente e un’attivista, Kate Morris, una sorta di Greta Thunberg, in grado di muoversi abilmente in un mondo che sembra sempre di più un rovesciamento distopico dello Stato di natura hobbesiano.
Si parla di un mondo inerte, soprattutto quello politico, in cui il neoliberismo ha raggiunto l’apice della sua evoluzione, ovvero la trasformazione in un sovietismo capitalista, in cui Stato, alta finanza e miliardari sono conniventi e, peggio, indispensabili l’uno all’altro. Un sistema simbiotico che esclude le classi marginalizzate e la Terra stessa, vista come risorse da sfruttare e, allo stesso tempo, quasi completamente sfruttata. Insomma, sull’orlo della fine qualcuno si affaccia convinto che la balaustra d’oro (e una fila di militari) possa salvarli. Ma l’apocalisse climatica non è questione di previsioni, ma di messaggio. Se l’attuale crisi climatica necessita di cambiamenti radicali, è altrettanto vero che non sembra si sia a pochi passi dalla distruzione definitiva né della specie né del pianeta. Eppure è proprio ciò che Markley scrive. Quindi in che senso Diluvio diventa un libro preveggente? Viene detto a pagina 1292: “Non si tratta solo del destino immediato del pianeta, si tratta della prossima battaglia e della prossima ancora. Si tratta del destino della nostra specie. Noi stiamo cercando di tenere in vita qualcosa di impensabile, di sacro”. Una presa di posizione questa, che ci spinge a chiederci: “Ma un po’ di paura ce l’hai?” Per molto tempo si è creduto che la paura fosse il motore dei populismi, compreso quello di Musk e Trump. Non è così. Svelato l’inganno, la grande bugia che ci vedeva tutti come in pericolo di vita per colpa delle migrazioni, dei matrimoni omosessuali e così via, è la rabbia che ha preso il posto centrale nella strategia delle forze politiche oggi egemoni in Occidente. Trump e Musk non sono impauriti e non vogliono impaurirci. Vogliono tenerci arrabbiati.
La paura, piuttosto, sembra essere diventata una prerogativa degli attivisti del clima. Se è vero che dovremmo stemperarla con un po’ di ottimismo scientifico e razionale, è altrettanto vero che i grandi movimenti generali del XXI secolo hanno saputo partire da questo sentimento per immaginare nuovi futuri (o nessun futuro, che è la stessa cosa). Markley ci dice che è possibile ripercorrere una storia che ci permetta di guardare al futuro, ma non possiamo farlo senza paura, senza portare alle estreme conseguenze ciò che crediamo dell’attuale sistema. Markley lo fa, ponendo al centro del libro la grande rivoluzione woke di questi anni. Si può considerarla positivamente o negativamente, ma è ineludibile che il mondo abbia in questi movimenti il grande controcanto allo status quo. E con loro dobbiamo confrontarci: famiglie queer, ecoterrorismo, anticolonialismo, intersezionalità. E soprattutto una sfiducia verso le istituzioni che si trasforma in lucidità: democratici e repubblicani (sinistra e destra)? Sono la stessa cosa. Muovono dalle stesse premesse e arrivano alle stesse conclusioni: l’autoconservazione. Peccato che anche questa si inserisce nel destino del mondo. Un destino che, proprio come la vita, è sacro e per questo, paradossalmente, continuamente violato e aggredito.