Inizierei da questo: “In questo libro, in questi libri che ho scelto di raccontare, tutti fanno la guerra, si incazzano, diventano furiosi, litigano, sono gelosi, minacciosi, e usano la forza in modo esplicito, picchiando, violentando. Ma sono anche violenti in modo piú moderno, quindi occultato, passivo. […] Nella mia vita, però, come nella vita di molti maschi, c’è un’identificazione in questi personaggi; quello che posso ammettere è che, esprimendolo o castrandolo, mi sono sentito di volta in volta l’innominato, lo scolaro, il narratore che soffre per amore e intanto va a scopare eccetera”. Ora, a nome di tutti quei maschi che, come me, non si sentono manco per niente l’innominato: possiamo dirlo? Uno degli assunti fondamentali dietro al libro di Piccolo è questo: se non ti accorgi del tuo privilegio, di maschio bianco predatore, non vuol dire che tu non sia privilegiato. La frase standard del nuovo femminismo è questa: “Non pretendo tanto, ma almeno che inizino [i maschi] a riconoscere il loro privilegio”. È così comune che credo di averla sentita da amiche, cugine, conoscenti, oltre che da poetesse, scrittrici, intellettuali. Uso il femminile ma vale anche per il maschile. La vera moda non è quella delle donne che cercano una teoria che renda conto delle loro battaglie (giuste), ma quella degli uomini che si schierano senza se e senza ma con loro, come estremo tentativo di ripulirsi dalla colpa di essere maschi. Magari Piccolo non ci ha pensato, ma è così. Il suo Son qui: m’ammazzi (Einaudi, 2025) è tutto questo, fatto senza sforzi (non è che ora Piccolo mi va a leggere Judith Butler eccetera eccetera, gli basta accettarne le premesse e poi lavorare sul già noto, i suoi libri del cuore). Il problema, però, è che l’uomo è il simbolo della guerra: ogni guerra è fallocentrica, ogni bandiera è un pene verso il cielo, ogni stendardo, ogni canna di carrarmato, ogni braccio teso (quello di Musk pure), sono altre forme di virilità e in definitiva di patriarcato.
“Bisogna continuare a raccontare maschi che fanno le guerre e che usano la forza, perché si fanno anche oggi le guerre e perché la forza, la sopraffazione, sono ancora qui. Non è una denuncia, questa; è soltanto una testimonianza dei fatti. La denuncia in letteratura è imbarazzante, se non stupida”. Certo, anche la testimonianza dei fatti rischia di essere imbarazzante, ahimè, se viene fatta un po’ come pare a noi. Tutto è racchiuso nel titolo, una citazione di Lucia da I promessi sposi (o meglio, una citazione di Manzoni), che non ha paragoni in Europa per via del suo “ruolo cosí dominante nel programma scolastico”. Quel “Son qui: m’ammazzi” detto all’Innominato è la dimostrazione, per Piccolo, che Lucia ora è “sfinita, indifesa; la sua è una resa totale”. Epperò ricorda vagamente un’altra immagine di una figura non meno indifesa ma pur sempre virile, anzi virilissima, così virile che lei, le guerre, le ha fatte (e vinte con virilità) davvero: Napoleone, che risalendo l’Italia per tornare a Parigi, incontrando le truppe schierate per evitargli l’ingresso nella capitale, dirà: “Chi vuole sparare al suo Imperatore è libero di farlo”. Ovvero: son qui: m’ammazzi. Cos’è, Lucia è virile? Ovviamente no. Ma forse Lucia non è neanche indifesa. Ha la fede, che l’innominato ancora non ha ma avrà alla fine del suo incontro con lei. E qui, la visione “opinabilissima” (come dice lui) di Piccolo diventa anche un tantino disonesta: “L’esito dell’incontro tra Lucia e l’innominato sarà dunque la conversione dell’innominato. Ma proviamo a disinteressarci dell’esito e a concentrarci sul valore concreto di questo incontro. Sull’uomo e le sue condizioni del momento, sulla donna e le sue condizioni del momento”.
Disinteressarsi dell’esito, della conversione dell’innominato, non è assertività maschia per Piccolo? O meglio: non è violenza (occultata, passiva…)? Sarebbe come dire: l’uomo che ci interessa descrivere finisce nel momento in cui si converte, quel che conta è quando è stronzo, violento, peccaminoso e cattivo, quando è predatore nei confronti della povera Lucia. L’uomo, che è meglio non immaginarlo come eroe (anche gli eroi, da Omero ad Ariosto, possono essere stupratori e violentatori), può pur sempre essere il cattivo, quello la cui cattiveria è carica al cento per cento, la pila atomica che alimenta i mali del mondo. Il valore concreto della storia dell’Innominato? Per Piccolo è la violenza maschia di fronte alla debolezza di una donna e non la Provvidenza (femmina) la vera forza della storia, Provvidenza a cui sfugge solo Don Abbondio che si salva dalla peste (non esattamente un esempio di prevaricazione virile, quanto piuttosto, con Sciascia, di omertà).