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Abbiamo letto il libro di Fabio Volo, Balleremo la musica che suonano (Mondadori), ma com’è? Pornografia culturale. Ecco perché è una gara a chi ce l’ha più lungo (lo scaffale dei libri)

  • di Alessia Kant Alessia Kant

13 gennaio 2025

Abbiamo letto il libro di Fabio Volo, Balleremo la musica che suonano (Mondadori), ma com’è? Pornografia culturale. Ecco perché è una gara a chi ce l’ha più lungo (lo scaffale dei libri)
La lettura come rito privato, non come ostentazione social: il nuovo libro di Fabio Volo diventa il pretesto per riflettere sull'ossessione contemporanea del binge reading e sulla tendenza a trasformare la cultura in pornografia esibita. Tra classici usati come status symbol e reel di libri sui social, emerge una domanda: i libri devono per forza servire a qualcosa?

di Alessia Kant Alessia Kant

Gennaio è momento di liste: dei buoni propositi da portare a termine, della spesa per iniziare la dieta paleo, e, immancabile, dei libri da leggere assolutamente perché “cambiano la vita”. Se di ‘vertigine della lista’ ne parlava già Umberto Eco, l’ossessione per quantificare ed esporre quasi fosse la bancarella di un bazar l’elenco dei libri letti durante l’anno è diventata una tendenza sguaiata e insopportabile. È quello che fa Fabio Volo nel suo Balleremo la musica che suonano (Mondadori, 2024) – un libro di pura pornografia culturale. Che cos’è, infatti, la pornografia? La rappresentazione esplicita, sfacciata di soggetti erotici e sessuali. Ecco, quello di Volo è un libro che non ha altra ragione di essere se non nell’ostentazione esplicita e sfacciata della propria cultura fai-da-te. La tendenza non è nuova: già nel 2022 Daria Bignardi ci aveva regalato i suoi Libri che mi hanno rovinato la vita (Einaudi). Il romanzo di Volo sceglie una chiave ancora più hard-core: descrivendosi nell’incipit come un ragazzino segnato da un infausto destino già scritto – svegliarsi di notte per fare il pane nella bottega del padre sommerso dai debiti – ecco che i libri arrivano come “l’attrezzo che mi ha permesso di scavare una via di fuga”. E giù ad elencare mattoni, da Herman Hesse a Garcia Márquez, da Thomas Mann a Salinger, per il quale sperimenta una sorta di affinità elettiva (“alle prime pagine ho avuto la sensazione che avrei potuto scriverlo io, o uno dei miei amici”), senza dimenticare Dostoevskij, le cui opere, fatte a brandelli, vengono utilizzate come scotch per tenere insieme le parti del romanzo, peraltro l’ennesimo esercizio di auto-fiction onanistica, giusto per restare in tema.

Il libro di Fabio Volo, Balleremo la musica che suonano (Mondadori)
Il libro di Fabio Volo, Balleremo la musica che suonano (Mondadori)

Aldilà del libro, comunque, ciò che spaventa è l’eleggere a paradigma una concezione utilitaristica dei libri: i libri che insegnano a vivere, i libri che curano, i libri che salvano la vita. Ritenere che i libri debbano per forza ‘insegnare qualcosa’ è un falso storico: molti dei titoli citati dallo stesso Volo sono stati concepiti e scritti come opere di evasione e di consumo, in una parola di ‘intrattenimento’, richiesti dall’industria culturale di allora in cambio di quattrini. Il Delitto e Castigo tanto caro a Volo venne pubblicato a puntate su un quotidiano russo nel 1866, con la stessa logica seriale con cui si producono oggi le serie tv. Non ambivano a insegnare niente a nessuno ma ad offrire storie di svago al popolo, almeno a coloro che sapevano leggere, e soprattutto a far guadagnare chi li scriveva (Dostoevskij, rovinato dai debiti proprio come il padre di Fabio Volo, ha prodotto un numero sconfinato di opere proprio per questa ragione). Oggi, purtroppo, petulanti professorini di Instagram e TikTok a caccia di contenuti, hanno imposto l’idea folle che pure i classici della letteratura, italiana e straniera, dovessero diventare strumenti della cassetta degli attrezzi del content creator, cacciaviti per aumentare il proprio numero di follower. Un tramite per farli sentire colti, un modo per aumentare i profitti, ma la verità è che i libri non devono “servire” a nulla, ci sono migliaia di libri fantastici che non hanno altra funzione se non quella di divertire in aeroporto quando il volo è in ritardo, e tutto questo va bene. Si può leggere Dostoevskij, Celine o chi volete voi e restare i soliti stronzi di sempre, senza cambiare nemmeno di una virgola, e tutto questo va bene. Quello che non va bene, invece, è il binge reading, l’esposizione - pornografica, appunto - del proprio scaffale con i 10 libri letti in un mese o in una settimana, i reel di 30 secondi con i 20 classici da leggere per capire l’Iran che si mescolano a quelli delle bonazze in bikini. Tornando a Volo, viene da chiedersi perché l’Homus Multimedialus, il fenomeno capace di mietere successi dalla tv alla radio passando per i libri con sconfinamenti nel cinema non abbia voluto, semplicemente, raccontare la sua storia. Approfondire il suo intricato rapporto con il padre, un uomo silenzioso e il cui “bene era tutto nel fare”, la cui morte improvvisa segna la fine del libro. Il Bildungsroman di Volo non è infatti scevro di dettagli interessanti sulla sua gavetta (come quando riceve la tanto attesa telefonata della mitologica Gianna Tani, da lui corteggiata a lungo professionalmente, che gli propone un lavoro: uscire vestito da topolone dalla torta di compleanno del figlio di Mike Bongiorno) ma il tutto resta sullo sfondo. In primo piano, dritto come il fallo di Rocco Siffredi, c’è il complesso di inferiorità che Volo si porta appresso, la sua voglia malsana di apparire colto a tutti i costi, che già ne sabotò la carriera televisiva, spingendolo a fare un programma su Rai3 ridicolo, dove pareva la parodia di sé stesso, lui che con il dadaismo di “Italo-Francese” e “Italo-Spagnolo” era riuscito a innovare il paludato mondo del linguaggio televisivo italiano.

Il libro di Fabio Volo, Balleremo la musica che suonano (Mondadori)
Fabio Volo

Emblematica, la descrizione del suo primo incontro con Jovanotti, dove il cantante-santone gli porta in dono Le città Invisibili di Italo Calvino, volume che “ancora conservo come una reliquia”. Una reliquia che spero non sia mai stata profanata, dal momento che si tratta di una delle opere più complesse dello strutturalismo, un divertissement semiotico che metterebbe alla prova anche Umberto Eco sotto cocaina. A proposito di Calvino, in un intervento su L’Espresso, lo scrittore aveva definito la lettura come un comportamento rituale, un rito privato (privato, sottolineo) che serve però a mantenere la distinzione tra i diversi livelli dell’esperienza quotidiana. Varrebbe la pena ripartire da qui, dalla pratica della lettura come rito privato e non come vezzo da esporre in pubblico, come gara scema per vedere chi ce l’ha più lungo. Lo scaffale, of course.

 

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