Ricordate il cinismo amaro di Epifanio? E il linguaggio senza filtri di Alex Drastico? E Cetto la Qualunque? Lo avevamo scambiato per un’assurda provocazione e invece anticipava di anni ciò che sarebbe accaduto in seguito. Bene, dimenticateli, tutto questo non c’è più. Antonio Albanese ha deciso di fare il grande passo verso la cultura cosiddetta alta, forse malconsigliato – come si dice quando si vuol nascondere la vera opinione – o forse distratto dall’andazzo dei tempi. Si sa, la contemporaneità è sempre un mistero. Anche Vittorini aveva frainteso il valore de Il Gattopardo, e pochi avevano capito l’impatto che avrebbe avuto Van Gogh sulla pittura; non si può quindi pretendere tanto da Antonio Albanese, che forse, ha subito il fascino della pubblicazione - o più probabilmente l’opportunità. Ma confusi come questi, di tempi, mai nella storia; e non è improbabile che la “vera” cultura, ammesso e non concesso che esista, si annidi più negli studi televisivi più che in vetrina da Feltrinelli. Ora La strada giovane (Feltrinelli, 2025) è al quarto posto nella classifica delle vendite in Italia, segno evidente che basta mettere un nome su una copertina per avere qualcosa che assomigli a un successo. Si può dimostrare una tesi del genere? Ovviamente no, ma si può fare un piccolo test. Attenzione: vale solamente con chi non sa assolutamente niente del libro, zero, tabula rasa. Cominciamo: Antonio Albanese, il comico, sì, quello lì, quello di “la prima è TI la seconda è AMO” ha appena pubblicato un romanzo: secondo voi, di cosa parla? Provateci, prima di continuare a leggere datevi una risposta.

Fatto? Bene. Siamo nel 1944, Nino è prigioniero di guerra in “quella parte della Germania che si chiama Austria”. Si sa poco di lui, tranne che è siciliano, giovane, figlio di un panettiere, sposato. Si trova in un campo di prigionia da cui riesce a scappare insieme ad un amico particolarmente sveglio. Inizia un’avventura che è anche la metafora del passaggio all’età adulta. Il viaggio non è soltanto una questione di distanza, ci sono i tedeschi, i partigiani, gli americani, la fame, il freddo: è la fine del mondo dorato dei bambini. Quando arriverà, salvo, nella sua Sicilia potrà finalmente iniziare la sua vita di uomo adulto. The end. Chi ci ha indovinato? Chi ha pensato anche lontanamente che Antonio Albanese, il comico, sì, quello lì quello di “la prima è TI la seconda è AMO” avesse scritto una storia del genere? Cosa c’entra tutto questo con l’originalissimo senso del grottesco a cui ci aveva abituati? Albanese si è semplicemente limitato a fare i compitini come un alunno diligente delle scuole di scrittura: ha applicato perfettamente lo show don’t tell, ha limato il suo punto di vista per “rendere più efficace la narrazione”, si è limitato a descrivere i fatti per “far entrare il lettore nella storia”. Non c’è traccia di Antonio Albanese in una pagina, una parola, una virgola. Niente satira, niente irriverenza, niente guizzi. Ha tolto anche la creatività, dal momento che affronta uno degli argomenti più inflazionati della letteratura italiana, la Seconda guerra mondiale, per raccontarci una delle storie più inflazionate della letteratura occidentale dai tempi di Omero: il ritorno a casa. Un grande peccato. Libero dalle limitazioni proprie del mezzo televisivo come rapidità, immediatezza, semplicità, e svincolato dalle necessità commerciali richieste dal cinema, Albanese si è rifugiato nella più prevedibile delle prevedibili storie italiane, restituendoci un racconto stilizzato e senza personalità che fa risuonare un “già sentito” grande come una casa in ogni pagina.

E comunque no, una cosa resta: il nome in copertina. Non è poco. Anche perché conviene sempre fare la controprova. Immaginiamo come autore occulto una impiegata alla cancelleria del tribunale di Lucca, facciamole scrivere La Strada Giovane e chiediamoci: lo leggeremmo lo stesso? Nella migliore delle ipotesi la risposta sarebbe no. Nella peggiore lo leggeremmo con lo stesso trasporto, cioè zero. Forse allora è la domanda ad essere è sbagliata: lo compreremmo lo stesso? No, sicuro. Cento per cento. Aldo Grasso ha approfittato dell’uscita del libro per andare fuori tema rispetto alla sua attività principale di critico TV, dedicando un intervento intenso in favore di Albanese sul Corriere. Ha parlato di talento, ma nonostante i complimenti, il suo punto di vista non riesce a convincere del tutto. Per elogiare il libro, elogia soprattutto il modo con cui Albanese ha letto il libro nella trasmissione di Zoro, esaltando le sue capacità attoriali. Per trovare un pregio, insomma, ha dovuto cercare qualcosa che lo riportasse ad Albanese stesso, segno evidente che la scrittura, da sola, non ce la fa. Sarà che dopo le Benevole di Littel è impossibile dire qualcosa di nuovo sulla Seconda guerra mondiale. Per mirare un po’ più in basso, basta il nostrano Una questione privata, in cui Fenoglio aveva almeno avuto l’intuizione di non mettere mai in scena Fulvia, da cui dipende l’intero racconto. La strada giovane, scritto settant’anni dopo un evento di cui ormai pochi viventi hanno memoria, appare anacronistico, incapace di lasciare qualcosa che non sia la sensazione di essere di fronte alla statua del milite ignoto: si resta lì senza sapere chi, quando, come e perché.
