Date il Premio Strega a Nadia Terranova. No, non è un auspicio, ma una previsione basata su tre elementi: la variabile amichettista, la variabile letteraria, la variabile (debole) della casa editrice. Partiamo dall’ultima. Terranova è in concorso con Quello che so di te, editore Guanda, che non vince lo Strega dal 2018, quando lo ottenne con il romanzo La ragazza con la Leica di Helena Janeczek. Guanda ha buone possibilità di vincere quest’anno, anche se non sono determinanti. C’è per esempio Feltrinelli, con un libro di Andrea Bajani, L’avversario (il secondo dato per vincitore da chi scrive). Scartata l’ipotesi einaudiana, che ha fatto storcere il naso al direttore editoriale di Stile Libero, Paolo Repetti, rimangono loro due i grandi favoriti. C’è un libro, nella dozzina, bellissimo, complesso, sofisticato, alto. Per questo non vincerà. È Di spalle a questo mondo di Wanda Marasco (Neri Pozza). Ci sono anche Paolo Nori e Elisabetta Ray (rispettivamente Mondadori e Rizzoli). Potrebbero vincere? Tenendo conto solo della variabile della casa editrice sì, per questo giudicare solo in base a chi pubblica non ci dà alcuna certezza.

Qualche indizio in più ce lo dà la qualità del romanzo di Nadia Terranova. Stilisticamente si tratta di un romanzo completo, superficialmente poetico e dunque molto abbordabile, non troppo crudo, né petaloso, un romanzo della maturità di Nadia Terranova, che scrive sempre con la penna inclinata all’altezza del sole al tramonto, come piace ai lettori, come serve per far piangere i lettori. Lo scrive bene, elogiando Quello che so di te, Ermanno Paccagnini su La Lettura: un “romanzo di vita”. Lo scrive male, ovviamente, Chiara Valerio: “Nadia Terranova con una intenzione limpida, una ossessione studiosa, un italiano potente ed evocativo, trasforma lo stigma della pazzia che da Venera scende fino alla bambina in una macchia sul viso” (questi commenti sono presenti nella pagina Guanda dedicata al romanzo). In entrambi casi stiamo parlando della stessa cosa, cioè di nulla. Romanzo di vita non significa nulla, tutti i romanzi sono romanzi di vita. Rarissimi i romanzi di idee (uno in Italia lo ha scritto Aurelio Picca, Contro pinocchio; e anche lì si tratta di idee viventi, di infanzia). C’è anche il tema socialmente rilevante, la follia che una madre teme di passare alla figlia, convinta di avere in sé il gene della pazzia tramandato dalla bisnonna. La materia viene studiata, garantiscono i giornali, dall’autrice. Come se fosse un plus. Lo dissero e scrissero anche di Maria Grazia Calandrone, per il suo dittico autobiografico che denotava buone doti investigative. Ma non è quel che dovrebbero fare tutti gli scrittori? Non è “parte dell’obbligo loro”?

Prima variabile, infine. L’amichettismo. In realtà la consuetudine dell’amichettismo e cioè una tendenza ricorsiva all’amichettismo. Nadia Terranova è uno dei trend dell’amichettismo contemporaneo. Insieme a Chiara Valerio, che la recensisce come recensisce Teresa Ciabatti, insieme a Roberto Saviano, insieme a Loredana Lipperini. Tendenza e consuetudine, però, nel senso che a farla vincere non sarà il fatto di essere amichetta, ma il fatto che non sia il contrario di un’amichetta. Il Premio Strega, che ogni tanto prova ad alzare il tiro con qualche quota di valore (quest’anno Marasco, prima Gian Mario Griffi, ancora prima Edoardo Albinati, stranamente vincitore con un romanzo bellissimo), è un premio consuetudinario, amabile, né aspro, né forte, né estremo, né provocatorio, né curioso, né interessante. Certo aumenta le vendite, ma spesso aumenta le vendite di chi le vendite le ha bene o male già abbastanza alte. Nadia Terranova è amabile, non dà fastidio, non provoca e quando provoca lo fa sul modello degli incontri a scuola (di solito alle medie) per parlare di Resistenza con qualche esponente dell’Anpi, una provocazione à la Benigni per intenderci buona per la prima serata e inserita nel solco di ciò che è già stato digerito e dunque provocatorio non è.
