Cinema e letteratura, quando vogliono darsi una patina di “letterarietà” o di impegno procedono per “santini”. Nei casi più esagerati o esagitati per cristologie. Così vedremo a Cannes Goliarda Sapienza, nel film Fuori, di Mario Martone, e io ne vorrei parlare male perché sembra che in luogo di biopic se ne sia fatta una iconografia, una agiografia, non diversa dalle vite dei santi e non credo fosse quello che la Sapienza voleva per sé. Opinione mia, ca va sans dire. A Catania, fu reietta e il grosso grasso mondo editoriale di Goliarda se ne impipò alla grande. Io lessi l’Arte della Gioia nella prima edizione integrale di Stampa Alternativa (pubblicata postuma e soltanto grazie agli sforzi, anche economici, di Angelo Pellegrino, il suo ultimo marito). L’Italia, come al solito, ne tacque. Fu “scoperta” in Germania e poi in Francia. Da lì balzò in America (la pubblicò Farrar, Straus & Giroux, il mio stesso editore americano) e a una fiera del libro di Londra ne parlavano tutti e me ne parlavano tutti. Soltanto allora l’Italia si accorse di Goliarda Sapienza ed Einaudi, intellettualmente, si lanciò vorace su quel cadaverino letterario. In seguito venne ripubblicato anche L’università di Rebibbia, da cui il film di Martone è più o meno tratto. Perché ne voglio parlare male?

Perché credo si confonda il letterario mondo marcio e putrescente e borderline di Goliarda Sapienza (almeno fino a prima del matrimonio con Citto Maselli) con la lotta al patriarcato in salsa onlyfans alla quale assistiamo oggi. La si spaccia quasi come una protofemminista, senza comprendere (o approfondire) il disagio e il conflitto interiore, tra impulsi, traumi, volontà di morte e insieme di vita, che non esiterei a definire “pasoliniano” (certo, anche di Pier Paolo Pasolini, che amava praticare il masochismo con adolescenti minorenni – leggere Petrolio si è fatto un santino, di lui che aborriva qualsiasi fascinazione della celebrità e vedeva in ogni famosità un pulpito prevaricante). Non credo che Goliarda Sapienza abbia mai parlato del potere del sesso maschile se non in relazione, ne sono abbastanza certo, invece, a quel violentissimo potere della natura che è sesso femminile (il pene è una pallida ed esangue imitazione del clitoride). Ella, in qualche maniera, raccontava la natura, compresa la sua “bestialità”, lontanissima dall’iperintellettualismo femminista praticato oggi (i maschi sono stupidi, ma le femministe sono troppo intelligenti). Se Goliarda Sapienza avesse sentito quella frase, tanto di moda oggi, “sorella, io ti credo” avrebbe sottolineato che no, le cose non stanno così, che le donne mentono quanto gli uomini, solo che sono più brave e gli uomini più fessi.

Sentire Valeria Golino, che la interpreta nel film, dichiarare: “Lo spirito di Goliarda mi perseguita. Sono abitata da lei come un burattino e ne sono felice, racconteremo una bellissima storia di donne girata dentro e fuori dal carcere di Rebibbia” mi fa un po’ rabbrividire. La solita roba di donne, per le donne, con le donne: l’edulcorazione stilosa e “attivista” del brutale mondo letterario della scrittrice. La Sapienza non è mai voluta essere “per bene”, Ella raccontava, portava il verismo verghiano alle estreme conseguenze. Le vette di santità toccate a volte da questa scrittrice impastata col fango (una imitatio eva) toccano l’empietà o Kierkegaard (come avviene quando quella pulsione irascibile alla vita scema col passare degli anni e non si hanno rendite di potere da difendere). Nella pellicola, ovviamente, non poteva mancare Matilda De Angelis e figurati se si poteva fare a meno di Elodie (famosa la sua foto a novanta attaccata a un palo da lap dance e la didascalia di Dagospia: “Elodie mentre lotta contro il patriarcato”). La dico tutta? L’esagerazione femminista di oggi è un metodo per fare soldi. Soprattutto in campo letterario. La Sapienza sarebbe stata d’accordo con me. O forse no?
