Su sei scaffali dedicati al femminismo e ai temi lgbt, un libro non dice quello che dicono tutti gli altri. Lo trovate dall’anno scorso, è piccolo, si confonde. È pubblicato da una casa editrice che in Italia porta avanti un progetto culturale raro, Rubettino. L’autrice vive in Francia, ha vissuto nel Regno Unito, da un po’ non vive in Italia. Si chiama Annina Vallarino, è una scrittrice e il suo libro è Il femminismo inutile. Vittimismo, narcisismo e mezze verità: i nuovi nemici delle donne. Chi sono i nemici delle donne? La destra. Certo, qualche volta. Ma anche la sinistra. Il populismo? Ovviamente, anche quello delle influencer che fatturano sull’empowerment femminile. Il libro si legge come un lungo reportage, ma è anche un pamphlet, un breve manifesto. Un’alternativa possibile la leggi tra le righe, perché esistono le alternative, esiste il modo di rivendicare per se stessi e la società un femminismo utile. Ne abbiamo parlato con lei.

Tu parli di “femminismo inutile”, quindi c’è un femminismo anche un femminismo utile. Qual è?
Il titolo del libro riprendeva Il sesso inutile, un saggio di Oriana Fallaci, che ho voluto evocare. Però parla anche dell’idea che in effetti il primo femminismo sia stato davvero utile. Perché era il femminismo che voleva che le donne entrassero non solo nel mondo del lavoro e nella vita politica, ma anche che fossero riconosciute come individui. Paradossalmente, invece, il “femminismo inutile” vuole portarci indietro, cioè verso la perdita dell’individualità femminile. Punta, in nome di una differenza di facciata ma non di pensiero, all’omologazione.
Barbara Alberti ha definito il neofemminismo “barocco”, mentre Martha Nussbaum, in un articolo che è ormai un classico contro Judith Butler, parla della scarsa concretezza delle rivendicazioni delle nuove attiviste. È un po’ il discorso che fai tu.
Esatto. Ci sono tanti femminismi ovviamente, io parlo del femminismo mediatico. Lo chiamo neofemminismo, il femminismo che siamo più abituati a leggere su riviste e social. In Italia ha veramente terreno fertile, ma è una corrente irreale a volte. E quando non lo è la sua forza è dogmatica. Se dici qualcosa di diverso sei nemica del tuo sesso, o sei una maschilista. Alla fine ci troviamo davanti a un corpo di idee staccato dalla quotidianità, dai problemi reali delle donne. Perché è un femminismo molto middle class, di mondo, molto editoriale, molto elitario anche, assolutamente.
Qualcosa di concreto la ottengono però, anche se, soprattutto in Italia, continuano a negarlo: licenziamenti, dimissioni forzate e vere e proprie forme di cancellazione di esperti, accademici e così via. Nel libro, per esempio, parli di Kathleen Stock, ma esistono esempi anche italiani, come Yasmina Pani. Tu hai mai rischiato?
Ma io forse non è che ho rischiato, ma mi sono preclusa delle cose, credo. Non sono molto brava a far parte di una corporazione o di un gruppo. Un po’ perché tendo comunque a voler essere indipendente a modo mio, o forse perché non sono in grado. Quindi non lo so, guarda. Certo, io non ci campo con quello che scrivo, a differenza appunto delle neofemministe da social. Anche se in un certo senso è libertà, no? È indipendenza. Però certo, intorno a un libro come il mio, al di là delle vendite, è stato costruito un muro di indifferenza dalle persone che invece avrebbero dovuto e potuto discuterne. Invece il mondo femminista ha assorbito completamente le critiche e non ha provato ad affrontarla. Anche questa è una forma di censura.
In Italia in effetti attecchisce solo questo neofemminismo.
Ma perché quel femminismo intersezionale e transfemminista è il femminismo giovane, no? In realtà è ancora forte anche il femminismo radicale italiano, ma spesso viene screditato dal nuovo femminismo, perché lo vedono come il femminismo delle vecchie donne bianche. Però è un femminismo che – secondo me, anche se io non mi ritrovo assolutamente nel femminismo radicale – ha una purezza di ideologia, una purezza di intenti. Non se ne frega di essere visto come femminismo di destra. Pensiamo a Eugenia Roccella, ora ministra. Roccella è una femminista radicale, cattolica certo, quindi particolare. Però nella guerra che c’è sul gender, tra i due estremi – di destra e sinistra – almeno le femministe radicali sono più coerenti. Ci sono ancora, parlano, scrivono sui quotidiani. Poi certo, non posso competere con il neofemminismo, che ha la sua fortuna sui social, in una dimensione completamente performativa. Un femminismo che si nutre dei cuoricini e degli hashtag. Probabilmente, ma questa è la mia visione della militanza, se agissero concretamente nel quotidiano, non avrebbero molto tempo per hashtag e storie.
C’è anche un fattore, in effetti, molto interessante, che tra l’altro hai anche trattato ultimamente con alcune storie su Instagram. Cioè la necessità, da parte di questo neofemminismo social, di avere sempre il commento a caldo sulla notizia. L’ultima è quella dell’ergastolo a Turetta senza l’aggravante della crudeltà.
È davvero un’opera di cretinizzazione totale. Perché è proprio mettere il sentimento, le emozioni e l’emotività al posto del ragionamento. Manca la logica. In questo caso allora è un pensiero populista, un pensiero che mira agli istinti, allo stomaco delle persone. Perché come si fa a giudicare una sentenza senza competenze giuridiche, dai. Io poi mi sono trovata a discutere con persone che palesemente non avevano letto neanche ciò di cui parlavano. Qui si parla ancora di un altro problema: avevano letto solo il titolo di qualche giornalone: “L’aggravante crudeltà non è stata confermata”. Capisci che allora questo modo di fare ci porta su binari completamente sbagliati. E purtroppo sono binari che provocano una reazione a catena. Forse sbaglio a definirlo “inutile”. Magari lo fosse. In realtà è “nocivo”.

Ho letto un bell’articolo, qualche tempo fa, su come Melenchon sia passato da essere, qualche anno fa, fortemente critico per l’uso del velo, per semplificare, negli spazi pubblici, al difenderlo o, al limite, a non attaccarlo più. Il motivo sarebbe il tipo di elettorato a cui ha capito che può riferirsi: cioè quello degli stranieri in Francia. Questo è solo un esempio. Anche queste virate “islamofemministe” sono populismo?
Assolutamente sì, il populismo è, purtroppo, trasversale alle correnti politiche. Il femminismo è indubbiamente una bandiera che può spostare voti, ormai anche quelli di una componente di elettorato di religione islamica.
Tu credi che, a differenza del primo femminismo — quello che tu dicevi avesse anche un impatto sulla società, il neofemminismo sia proprio meno competente? Cioè, abbia meno conoscenza, abbia letto meno?
Assolutamente sì. Sai, non è poi una cosa che riguarda solo il femminismo, è un aspetto che riguarda un po’ tutto il mondo intellettuale e culturale. Anche il pensiero femminista è coinvolto in questo abbassamento. L’altro giorno, per esempio, cercavo un audiolibro in italiano. C’era una serie di testi nella sezione sociologia: “Contro il patriarcato”, “contro la mascolinità tossica”, i titoli erano tutti così. Una conformità di pensiero, una cristallizzazione in tre o quattro idee. È terribile. Perché vuol dire banalizzare. Manca profondità nell’affrontare questioni importanti come la violenza maschile, il femminicidio, il gender pay-gap, eccetera. Che poi questo è un atteggiamento che spinge alla polarizzazione e inevitabilmente non riguarda solo il neofemminismo, ma anche la parte completamente opposta. Basti pensare a com’è stata trattata la questione di Imane Khelif alle Olimpiadi. Ma anche di altre, che erano donne transgender, in altre gare.
Le donne trans sono donne?
Le donne trans sono donne trans. Si possono riconoscere i loro diritti, giustamente, non avere alcun pensiero discriminatorio contro le donne trans, senza per questo doverle inserire nel mondo della donna biologica. Questo è di nuovo irrazionale.
Cosa pensi delle donne trans che gareggiano nelle competizioni femminili? È una proiezione fascista volerle escludere?
Non è un tema che seguo fortemente, non credo sia un problema in Italia. Però bisogna tenere gli occhi aperti. In America è diverso, e l’arrivo di Trump lo conferma: una delle prime cose che ha fatto è stato proclamare il ritorno dell’importanza del sesso biologico nello sport.
Un tema invece che è arrivato prepotentemente anche in Italia è quello delle terapie affermative di genere anche per i bambini.
Questa storia delle terapie affermative (che prevede un intervento farmacologico) per i ragazzini è una questione di grande importanza che merita di essere affrontata con serietà. Invece ci si butta dentro a testa bassa, con i soliti schieramenti pronti a scannarsi. Servirebbe un dibattito serio sui fatti, sul bene di questi ragazzi, ma figurati: basta un “però” e sei automaticamente un fascio transfobico o un pericoloso estremista. Il tutto mentre parliamo di minorenni, minorenni cavie di un futuro che non possiamo prevedere. Ma questo è chiedere troppo, evidentemente.

Cosa pensi delle nuove figure femminili che emergono, come le “tradwife”, e del successo di autrici come Louise Perry?
Bisogna distinguere tra “tradwife” e influencer. Spesso sono prodotti dei social. Prima di definirlo un fenomeno serve fare ricerche serie. Però è vero che molte donne oggi si sentono lontane dal femminismo della terza e quarta ondata. C’è smarrimento e il femminismo attuale a volte è difficile da mettere in atto. Non tutte si ritrovano in un’idea di uomo decostruito o in un femminismo che non valorizza la femminilità e che appare dogmatico.
Qual è il rapporto tra neofemminismo e libertà di espressione?
È un rapporto di odio, un rapporto pessimo. Se esprimi idee diverse, vieni vista come una nemica. Il dibattito oggi è inesistente: si parte da verità assunte e non si dialoga.
In una intervista hai parlato della misoginia dei progressisti.
È il nuovo paternalismo, che spesso si veste di progresso. La donna, in questo schema, non deve più starsene buona ai fornelli, no. Ora è elevata al rango di divinità minore: spiritualmente superiore, fisicamente bisognosa di protezione. Non bisogna mai disturbarla con contraddizioni o sfide intellettuali, bisogna proteggerla persino dalle asperità del dibattito. Il maschio illuminato di oggi la colloca su un piedistallo e poi si inginocchia - continuando a non considerarla una sua pari. È quello stesso uomo che durante le cene in compagnia pronuncia frasi come “non sarei d'accordo, ma chi sono io per contraddire una donna su questi argomenti?”, mentre lancia occhiate in cerca di approvazione. È colui che parla di “sensibilità femminile” come se esistesse un cervello femminile standard. È l'uomo che nelle riunioni dice “facciamo parlare prima le colleghe”, non per cortesia, ma per assicurarsi l'ultima parola, quella che chiuderà definitivamente la questione. A questo punto, meglio la misoginia esplicita - almeno lì il nemico è chiaramente identificabile. È visibile. Non si nasconde.
Che idea ti sei fatta dell’affermazione secondo cui la radice della violenza di genere è patriarcale?
Non sono una criminologa, ma penso che questa teoria dovrebbe essere messa in discussione. Se la radice è patriarcale, allora come spieghiamo la violenza femminile nel contesto domestico, come l’infanticidio? O il fatto che in Paesi evoluti come la Svezia la violenza maschile sia ancora troppo presente? Sarebbe bello discuterne con un approccio scientifico e comportamentale, non solo ideologico. Diagnosi sbagliata porta a cura sbagliata.
Se n’è parlato anche a proposito della richiesta di archiviazione dell’accusa di stu*ro contro il figlio di La Russa. Cosa pensi delle proposte legislative per inquadrare questo genere di violenza basandosi sull’idea di consenso, come da Convenzione di Istanbul (e come stanno iniziando a voler fare in Francia)?
Non so rispondere con certezza. Temo che siano leggi emotive, più che efficaci. C’è un dibattito etico enorme dietro: cos’è il consenso? Cos’è il sì, cos’è il no? Preferisco non rispondere in modo avventato.
Una provocazione: è questa la differenza col neofemminismo, non voler rispondere in modo avventato?
Forse. Io mi riservo il diritto al dubbio.
Senti, se domani dovessi scrivere un altro libro ma su un’unica tematica femminista, quale sarebbe?
La maternità. Per motivi anche autobiografici, ma è anche un problema molto attuale (dalla fecondazione assistita alla gestazione per altri, ma non solo). Oggi la visione del materno è molto conflittuale e poco chiara. È un tema che sento profondamente.
