Siamo il Paese con uno dei tassi di omicidi più bassi (nel 2022 il più basso in assoluto) in Europa: sembra siano calati di più quelli degli uomini che non quelli delle volte, ma il motivo è che si fanno meno attentati di mafia (che colpiscono quasi esclusivamente uomini). I numeri sono comunque bassi, il tasso di omicidi in Italia, secondo l’Istat, è 0,57 su 100mila abitanti, quello degli uomini è 0,75, quello delle donne 0,39. A preoccupare sarebbero però i moventi e i contesti delle morti di donne: quasi tutti omicidi di genere (l’82% del totale). Femminicidi. Il tasso di incidenza, tenuto conto del numero di coppie eterosessuali in Italia (ma gli omicidi di genere non avvengono solo in questi contesti), è di circa 0.00075% (cioè riguarda 1 ogni 132 mila coppie). Sono tanti numeri, ma come si interpretano? Si può parlare di emergenza? Dagli omicidi di Ilaria Sula e Sara Campanella alla sentenza per Turetta, sono proprio le evidenze e le questioni tecniche (di cui dovrebbero parlare gli esperti) a sparire dal discorso femminista. La conseguenza? Si urla nelle piazze, si attacca chi non la pensa come te e si censurano dei professionisti. Tra questi Yasmina Pani, linguista e divulgatrice cancellata dalla Fondazione Feltrinelli per un video in cui criticava alcune forme di “femminismo inutile” che spesso portano all’odio verso gli uomini. Dopo quanto accaduto anche delle scuole che l’avevano invitata a parlare si tirano indietro. Una caccia alle streghe. La colpa? Aver provato ad affrontare razionalmente dei temi delicati e delle teorie controverse (le loro). E con questa intervista ci abbiamo provato anche noi.

Partiamo da questo. Un tuo video critico nei confronti delle transfemministe è stato cancellato dopo essere stato approvato dalla Fondazione Feltrinelli. Ma cosa avevi detto di così indecente?
Nel video avevo sostanzialmente riassunto le opinioni espresse nell’editoriale, ancora disponibile sul sito della Fondazione, perché è stato rimosso solo il video che lo presentava. Nel video sintetizzavo i punti principali: criticavo un certo tipo di femminismo che è stato definito “inutile”, un femminismo molto pop, molto social, che si concentra su battaglie fittizie come il linguaggio inclusivo, ma non tocca mai i problemi concreti delle donne. Un femminismo fatto per vendere, che genera profitto. Non è un femminismo rivoluzionario. Poi, ovviamente, mi soffermavo sul punto centrale, l’odio verso i maschi. Si parlava dell’8 marzo e di come, in certi ambienti, venga affrontato come se il patriarcato fosse una categoria ontologica e il maschio la causa di tutti i mali. L’editoriale, invece, cercava di mettere in discussione questa narrazione, dicendo: e se invece non fosse così?
Anche gli inviti nelle scuole spesso vengono ritirati perché qualche gruppo si oppone. Sembravano cose da Stati Uniti o Gran Bretagna (penso a Kathleen Stock), invece accadono anche in Italia. Tu credi che sia un atteggiamento che si sta diffondendo, che si sta inasprendo?
Io lo noto da anni. In molti ambienti tipicamente di sinistra – che siano associazioni lgbt, femministe, o attive sul fronte progressista in generale – fin da quando ho iniziato a occuparmi di linguistica online, quindi almeno cinque anni fa, non ho quasi mai trovato apertura. Io, che mi sono sempre occupata di questioni come la schwa in modo scientifico e apartitico, mi sono vista rifiutare inviti perché dicevo cose che d discostavano dalla linea dell’associazione o della scuola. Non so se stia peggiorando, di certo sta emergendo sempre di più. La gente inizia a parlarne.
Ogni volta che muore una donna, come è successo in queste settimane, la polarizzazione diventa estrema. O sei con le piazze che gridano al patriarcato e alla cultura dello stupro, o sei automaticamente un complice del sistema. Perché siamo incapaci di dibattere, secondo te?
Mettere in discussione una tua idea genera insicurezza, perché ti mette di fronte la possibilità che tu possa non avere ragione. E questo dovrebbe farti rimettere in discussione ciò in cui credi. Ma ormai ciò in cui credi è anche ciò su cui basi la tua identità. Soprattutto l’attivismo femminista oggi ha molto a che fare con l’identità personale. Mettere in discussione le proprie convinzioni, in questo caso, non è solo rimettere in discussione un’opinione, ma proprio ciò che si è. più che opinioni, sono credenze. È un atteggiamento tipico di chi appartiene a una setta o a un movimento religioso. È più rassicurante stare tra chi la pensa come te e identificare chiunque la pensi diversamente come un nemico, anche se magari non è schierato dall’altra parte.
Proviamo a dibatterne ora. I femminicidi sono davvero un’emergenza?
No. Sarebbe evidente a chiunque, se non ci fosse un enorme problema di disonestà intellettuale. Per parlare di emergenza, servono dati oggettivi, numeri rilevanti. L’Italia è in fondo alle classifiche europee per quanto riguarda la violenza sulle donne e la violenza in generale. Se anche parlassimo di cento donne uccise in un anno rapportate alla popolazione femminile adulta, si tratterebbe comunque di un numero irrisorio che non può qualificarsi come un’emergenza. Lo stesso discorso vale se consideriamo solo le donne in relazioni eterosessuali, i numeri restano molto bassi. Il problema è che i numeri veri non vengono mai dati in modo chiaro, si preferiscono perifrasi e modi che lo fanno percepire sempre più alto, tipo “una ogni tre giorni”, “l’ennesima vittima”, “ancora un femminicidio”. Questo produce una percezione di allarme che alimenta anche un’isteria di gruppo. C’è anche un altro problema, l’ignoranza diffusa: molte persone non sanno leggere i dati, non sanno niente di statistica, non sanno fare due conti.
Spesso si sente dire: anche se fosse solo una, sarebbe comunque troppo.
Si confondono i piani. Il piano emotivo, della partecipazione empatica verso la vittima e la sua famiglia, con quello oggettivo della realtà. ma se l’unico piano a cui si dà rilevanza è quello emotivo, qualsiasi argomentazione razionale viene rigettata. Ma se io ti dico che è impossibile arrivare a zero omicidi in un paese di 60 milioni di abitanti, non sto dicendo che non mi importi delle vittime. Ti sto facendo un discorso razionale, non emotivo. Neanche tutte le leggi e l’educazione del mondo potranno evitare che una persona smatti e ammazzi la fidanzata. Perché di questo si tratta.
Ti faccio un’altra obiezione: dire che non sono un’emergenza non sminuisce il problema?
No, è proprio questo il punto. Lo porta nelle sue giuste proporzioni. Perché la proporzione giusta è che non è un’emergenza, che non vuol dire che non sia un problema, come non è un problema qualsiasi forma di illegalità che avviene più di una volta ogni dieci anni… Non è sminuire il problema, esiste una via di mezzo, razionale, di ragionare.
Ok, i femminicidi non sono molti, ma se ci mettiamo dentro molestie, stupri e discriminazioni allora sì, viviamo in un sistema patriarcale.
Ci sono due risposte da dare. Intanto bisogna dimostrare che ci sia qualche correlazione tra molestia e femminicidio, non è mai stato dimostrato. La cosiddetta “piramide della violenza”, che viene spesso presentata, non è un modello scientificamente validato. Non c’è nessuna correlazione dimostrata sulla base dell’evidenza. Quindi dovrei accettare per fede che un fischio per strada e il femminicidio condividono la stessa radice (e cioè il patriarcato)? No. Secondo aspetto. Se davvero vogliamo sommare tutto (molestie, discriminazioni, violenza fisica) allora dobbiamo farlo anche per gli uomini e il numero non è poi così diverso. Ma i dati sulla violenza subita dagli uomini spesso non vengono raccolti, non ci sono statistiche sugli omicidi commessi da donne, e spesso nemmeno le denunce vengono considerate. Ma sappiamo che c’è un sommerso che dovrebbe essere considerato e studiato. Quindi di nuovo: due pesi, due misure. Per me non c’è nemmeno un’emergenza di violenza maschile, sia chiaro. Ma se usiamo quel metro, dovremmo usarlo per tutti.
Ultima obiezione: se non sono figli sani del patriarcato, come si spiegano i femminicidi?
Non li posso spiegare, perché non è il mio mestiere. Ed è proprio questo il punto: dovremmo ascoltare criminologi o psicologi. Oggi invece chiunque si sente in dovere di spiegare il femminicidio – influencer, opinionisti, laureati in scienze politiche… ma dai numeri, da quel poco che si sa, quello che si vede è che si tratta di fatti individuali, spesso legati a disturbi e contesti specifici che nemmeno conosciamo. E non ci sono evidenze, torno sempre su questo, che dimostrino che tutte queste persone siano accumunati da qualcosa che non sia l’aver ucciso una ragazza. Il resto sono sovraletture che fanno i giornali. È una narrativa che ci piace, ma non è dimostrata.
Tu sei una linguista. Dal punto di vista tecnico, cosa ci dicono gli slogan transfemministi, per esempio: “Non è malato [lo stupratore, il femminicida], ma figlio sano del patriarcato”?
Intanto il linguaggio è sempre molto aggressivo e volto alla contrapposizione tra un noi (le donne) e un voi (gli uomini). Frasi come “ci uccidete”, “non accetteremo più che ci uccidiate” hanno un tono infantile, identitario. C’è un forte senso di appartenenza e di opposizione. Molti slogan sono anche molto espliciti nell’incitare alla violenza: “Uomo morto non stupra”, “sparagli”, cose così. La rabbia viene percepita come legittima, e quindi il tono diventa sarcastico, violento, spesso anche vendicativo. C’è anche una retorica molto enfatica, quasi epica. È tutto drammatizzato, caricato, magniloquente.
Incel, manosphere, pillola rossa e 80-20. Dopo “Adolescence” chiunque ha parlato di questi temi, anche tu, criticando però il modo in cui sono stati raccontati. Perché?
L’errore principale è sovrapporre incel a red pill o ad altri movimenti. Gli Incel non sono un movimento, sono persone che non riescono a relazionarsi con l’altro sesso. Possono essere uomini, donne, etero, gay, anche se è un fenomeno soprattutto maschile. Il termine si usa anche in psicologia, non è un’etichetta politica. È una persona che va aiutata proprio a non entrare in quei forum, in quei gruppi misogini e violenti. Ma di per sé uno può essere incel, starsene tra i fatti propri, e non diventare un violento. Confondere le due cose è proprio sbagliato, anche clinicamente. Questo errore fa sì che non ci sia alcuna empatia verso queste persone. Che non si riconosca il fatto che, anche se non è un’emergenza, è un problema sociale, legato a mutamenti nei rapporti tra i sessi. Se ignoriamo il problema, rischiamo che peggiori.
È fondamentale una cosa che hai detto di recente: “Visto che non ho un trauma cerebrale, come odio i gruppi femministi che considerano tutti i maschi stronzi, odi anche i movimenti maschilisti che vedono le donne tutte come stronze”. Perché hai sentito il bisogno di specificarlo?
Perché purtroppo non è una cosa ovvia. Tantissimi femministi sono ipocriti perché criticano gli Mra [gli attivisti per i diritti dei maschi, ndr] per gli stessi comportamenti che poi hanno loro e viceversa. Ma soprattutto capita infinite volte che mi si attribuiscano appartenenze a seconda di quello che dico, mentre io non mi colloco da nessuna delle due parti e parlo di entrambe in maniera critica. Infatti, a fasi alterne, vengo accusata da una o dall’altra parte.
