Da tempo alcuni intellettuali hanno ingaggiato una battaglia contro le università telematiche (online e quasi sempre private), colpevoli di aver abbassato, secondo loro, gli standard di insegnamento, e di aver creato un mercato delle lauree (che in realtà paghi anche quando frequenti una università pubblica) che sta distruggendo non solo il sistema culturale italiano, ma anche il senso critico e la capacità di aggregazione degli studenti, che completamente alienati in casa loro rischieranno di non sapersi più ribellare. Insomma, le università telematiche come strumento di controllo di massa da parte delle destre e del grande Capitale. Tra i critici il più noto è diventato Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, autore del recente Libera Università (Einaudi, 2025). Noi abbiamo fatto leggere il libro a due docenti di atenei online che hanno risposto in modo molto chiaro. Il primo è stato Carlo Lottieri, docente di filosofia del diritto, prima all’Università di Verona e ora all’Università telematica Pegaso (trovate qui il suo intervento). Ora, invece, ospitiamo l’intervento di Luigi Marco Bassani, docente di storia del pensiero politico sempre all’Unipegaso e prima alla Statale di Milano.

Tomaso Montanari è un intellettuale pubblico molto schierato (inutile segnalare dove) che ha recentemente pubblicato con Einaudi un libro sull’università dal titolo non stupefacente Libera Università.
Nulla di strano, giacché dovrebbe essere un argomento sul quale è ferratissimo, avendo passato all’interno del sistema la sua intera esistenza, dai tempi della Scuola Normale di Pisa, fino al rettorato dell’Università per stranieri di Siena (realtà invero piuttosto modesta, con 1650 studenti dei quali solo 248 sono davvero stranieri).
Lo storico dell’arte nel saggio si avventura anche su terreni che non conosce assolutamente, in particolare il nebuloso (almeno per lui) mondo delle università telematiche. Occorre in prima battuta riconoscere una dose di surrealtà davvero stupefacente quando Montanari accomuna due politiche del governo che risponderebbero a “un’idea di comando totalitario e di desertificazione del sistema democratico”. Si tratta da un lato di una presunta promozione delle università telematiche e dall’altro del “premierato”. Ad avviso di Montanari “le università telematiche” sarebbero “un’anomalia solo italiana”. E da qui inizia una sequela di considerazioni del tutto prive di senso, giacché fondate sul nulla e sull’ignoranza (a onor del vero non so se per Montanari sia più corretto usare il termine in italiano o il più neutrale in inglese, il fatto è che quando l’ignoranza si accompagna alla sicumera il beneficio del dubbio non è più concesso).
Occorre andare però al punto cruciale, senza perder tempo nelle quisquilie. Ciò che il rettore dell’università per stranieri (nella quale si laureano bizzarramente per lo più italiani) davvero non sopporta delle accademie online è il profitto. Ciò non va giù in alcun modo è che queste università sono luoghi di incontro fra domanda e offerta di un servizio, in breve sono atti di libero scambio di servizi e danaro fra adulti consenzienti. Per Montanari tutta l’istruzione di ogni ordine e grado ha valore solo se finanziata dalla fiscalità generale e offerta a tutti, ai figli delle persone meno abbienti come ai giovani ricchi.

Il vero peccato originale – chiamato pomposamente “problema ontologico” – si troverebbe in un parere che il Consiglio di Stato rilasciò al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca il 14 maggio 2019, “in cui si aprivano le porte alla possibilità che le università potessero appartenere” – udite, udite – “a società di capitali”.
A questo punto è chiaro che queste università non “formano cittadini, ma vendono a clienti”. E, ovviamente, “non hanno come fine ultimo la ricerca e la cultura, ma il profitto”.
Montanari vive in mondo che credevamo spazzato via dai fatti degli ultimi tre decenni e mezzo. Quando il Magnifico entrò alla Scuola Normale di Pisa dopo il liceo il comunismo stava esalando l’ultimo respiro sotto il crollo di ben più di un muro. La fine del marxismo era stata annunciata da oltre un decennio in Occidente, le società avanzate erano quelle nelle quali il movimento operaio non arriva ormai al 5%. Montanari vive in un piccolo mondo antico che esisteva ancora, per una piccola minoranza, solo durante la sua infanzia, un universo immarcescibile diviso fra destra e sinistra, mercato e fisco, privato e pubblico, profitto e bene comune.
Ricordo un film del 1980 Maledetti vi amerò di Marco Tullio Giordana nel quale tutto, dai pensieri, agli svaghi, agli atti sessuali, veniva pensato sull’asse destra/sinistra. Memorabile l’incipit del monologo di Flavio Bucci: “L’erotismo è di sinistra, la pornografia è di destra”.
Ecco, per il nostro Flavio Bucci dei poveri il mondo si divide come per il grande Andy Luotto in “buono, no buono”, ossia di sinistra e di destra. E tutto ciò che è sanzionato dalla mano pubblico e dalla fiscalità generale gode di una supremazia morale rispetto alle relazioni di mercato fra adulti consenzienti.
Essendo il regno del profitto, le università telematiche sono di fatto “contigue alla destra”. Esse sfruttano anche le lacune del sistema. Visto che il governo (mi chiedo cosa facessero quelli del Pd) non spende abbastanza per rendere il diritto allo studio non una vuota formula costituzionale, ma qualcosa che si inserisce nel tessuto sociale democratico del Paese, ecco che le telematiche offrono un alibi per il non fare della destra.
In realtà, le telematiche garantiscono l’unica istruzione a buon mercato e realisticamente fruibile da parte dei lavoratori studenti e degli studenti che vivono in aree periferiche e disagiate dell’Italia. Essendo in maggioranza private non si reggono sull’assurdo patto sociale che fa sì che un gruppo paghi l’istruzione superiore a un altro (negli anni Settanta si diceva che il proletariato pagava l’università alla borghesia). Ognuno paga ciò di cui ha bisogno e le telematiche, visto che producono e non consumano tasse, finanziano direttamente migliaia di professori, bibliotecari, bidelli. Il loro ruolo è fondamentale anche per far sì che l’Italia sia certo il fanalino di coda in Europa, insieme alla Romania, per dati sui laureati, ma non abbia numeri proprio da Terzo Mondo indifferenziato, come accadrebbe se solo le università pubbliche e presenziali fossero conteggiate. L’università italiana è un vero disastro “ontologico”, e da decenni ormai, ma le telematiche sono una parte della soluzione, non del problema.
Da ultimo il Rettore segnala quello che a suo avviso è il vero motivo per cui la destra (il no buono assoluto) è attratta dalle università online: “La loro immaterialità comporta l’assenza di comunità studentesche disposte a manifestazioni di dissenso”. Ecco, questo credo sia involontariamente il maggiore spot per questo tipo di istruzione superiore, ma anche la vera cifra dello snobismo intellettuale di Montanari. Anche se i miei colleghi dovessero essere dei novelli Montanari e passassero le loro ore di registrazione nel tentativo di aizzare gli studenti contro il governo, Israele e Trump – proprio come facevano molti miei colleghi quando insegnavo alla Statale di Milano – non potrebbero creare un nuovo Sessantotto. I nostri studenti – io insegno ora con orgoglio all’Unipegaso – sono impegnati a lavorare per costruirsi un futuro e potenziare i loro piani di vita, ma non sono affatto degli utili idioti di nessun governo o élite intellettuale. Essi pagano per ottenere istruzione, non per sbandierare un presunto pensiero critico, che spesso altro non è che il più omologato degli schemini ideologici che la spazzatura della storia dovrebbe avere portato via per sempre.
