Le università telematiche, quasi sempre private, potrebbero essere il tema del futuro nel settore dell’istruzione. Per ora, però, sono la polemica principale del presente. E ora Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, ha pubblicato un pamphlet molto critico nei confronti delle lauree online, Libera università (Einaudi, 2025). Montanari si chiede: no degli slogan ovviamente più ricorrenti nella pubblicità delle università a distanza è che “non dovrai pagare affitto, spese da fuori-sede né materiale didattico”; non esisterà, allora, un nesso tra l’interesse delle telematiche a rendere sempre più forte questo argomento e l’inerzia dei governi nel promuovere una vera attuazione del diritto allo studio, attraverso un diretto e sufficiente investimento pubblico in mense e studentati?» U«
E continua: «Non si rischia forse che, anche per l’opinione pubblica, sia proprio il sempre più massiccio ricorso alle telematiche la scorciatoia per garantire (ma solo formalmente) a tutti e a tutte quel diritto? Ai figli dei poveri, insomma, un’istruzione “di serie B”». Per Montanari, inoltre, il forte consenso delle telematiche tra i politici di destra si spiega in questo modo: «Da sempre i poteri costituiti hanno guardato con sospetto agli studenti e alla loro capacità critica e reattiva: finalmente, con le telematiche, ci sono atenei che rilasciano diplomi legali senza disturbare nessun manovratore. Proprio la funzione di erogazione del “pezzo di carta” (sul quale non è scritto, come invece dovrebbe per minima trasparenza, se lo si è preso in una università reale, o in una virtuale) diventa così di fatto l’unica missione dell’università, con un allentamento sensibilissimo del nesso tra ricerca e didattica». Per questo secondo Montanari le telematiche altro non sarebbero che «fabbriche di lauree for profit». Ma è davvero così?
Lo abbiamo chiesto al professor Carlo Lottieri, docente di filosofia del diritto, prima all’Università di Verona e ora all’Università telematica Pegaso, da tempo tra i sostenitori di un’istruzione diversificata e non centralizzata. Il professor Lottieri ha studiato a Genova, Ginevra e Parigi, ha insegnato a Siena e ha un contratto con l’Istituto di filosofia applicata della Facoltà di teologia di Lugano, inoltre è direttore del Dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni. Il suo ultimo libro è A scuola di declino: la mentalità anticapitalista dei manuali scolastici (Liberilibri, 2024). Ecco la sua opinione.
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«Quanti criticano le telematiche e l’emergere di un’università plurale – non integralmente di Stato e quindi meno controllata dalle baronie universitarie – tendono a evitare domande scomode. Non si chiedono, in particolare, perché gli atenei statali non intercettino la richiesta di formazione universitaria che proviene da chi ha difficoltà a frequentare le aule universitarie della Sapienza, della Federico II oppure di Bologna: dato che deve lavorare per mantenere la famiglia oppure non ha i mezzi per lasciare la casa dei genitori, dato che deve seguire i figli oppure vive molto lontano dalle sedi universitarie.
Le università tradizionali possono introdurre corsi online e qualche volta lo fanno, ma evidentemente non riescono a competere con la nuova imprenditoria.
Se molti universitari – ormai largamente imprigionati dalla “gabbia d’acciaio” di weberiana memoria – non riconoscono il fallimento del sistema universitario statocentrico questo si deve anche al fatto che non sanno cogliere la differenza cruciale tra iniziative basate sull’intraprendenza e realtà, invece, dominate dalle logiche delle burocrazie pubbliche.
Non è facile prevedere quali trasformazioni accompagneranno l’avvento di questo nuovo mondo, legato anche a innovazioni tecnologiche che appaiono irreversibili. La speranza è che queste università non statali, che sono al servizio di quanti scelgono di finanziarle, non si propongano di “formattare cittadini” (come è nella tradizione delle università di Stato, prima catturate dai sovrani e poi dalle nuove classi politiche), ma invece puntino a creare spazi di conoscenza plurale, formazione professionale e crescita umana. Oggi appaiono anch’esse molto intrappolate in un sistema che tende a uniformare tutto, ma è sempre più chiaro che (grazie alla migliore conoscenze delle lingue straniere e grazie all’intelligenza artificiale) ci si sta dirigendo verso una “de-nazionalizzazione” dei sistemi universitari e di conseguenza verso una concorrenza globale. Nessuno potrà davvero stupirsi se, nel mondo di domani, nel mondo universitario saremo più padroni delle nostre scelte e sempre meno costretti a subire la volontà di ministri e funzionari pubblici».
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