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“Perché gli intellettuali non riconoscono il fallimento del sistema universitario di Stato?” La bomba di Carlo Lottieri (UniPegaso) contro Tomaso Montanari e il suo libro “Libera università”: “In futuro saremo più padroni delle nostre scelte e…”

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

3 marzo 2025

“Perché gli intellettuali non riconoscono il fallimento del sistema universitario di Stato?” La bomba di Carlo Lottieri (UniPegaso) contro Tomaso Montanari e il suo libro “Libera università”: “In futuro saremo più padroni delle nostre scelte e…”
Davvero le università telematiche sono un problema per la libertà accademica e la ricerca rigorosa? O sono invece una possibilità, dovuta allo sviluppo di nuove tecnologie, per decentralizzare l’istruzione e renderla non solo più competitiva, ma più diversificata (e vicina anche a chi non ha risorse per pagarsi la vita fuorisede? Abbiamo chiesto al professor Carlo Lottieri, docente di filosofia del diritto e filosofia politica all’Università Pegaso, di commentare le tesi espresse in “Libera università” (Einaudi, 2025) di Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore di un’Università fisica, fortemente critico nei confronti delle concorrenti online (e private)

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Le università telematiche, quasi sempre private, potrebbero essere il tema del futuro nel settore dell’istruzione. Per ora, però, sono la polemica principale del presente. E ora Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per stranieri di Siena, ha pubblicato un pamphlet molto critico nei confronti delle lauree online, Libera università (Einaudi, 2025). Montanari si chiede: no degli slogan ovviamente più ricorrenti nella pubblicità delle università a distanza è che “non dovrai pagare affitto, spese da fuori-sede né materiale didattico”; non esisterà, allora, un nesso tra l’interesse delle telematiche a rendere sempre più forte questo argomento e l’inerzia dei governi nel promuovere una vera attuazione del diritto allo studio, attraverso un diretto e sufficiente investimento pubblico in mense e studentati?» U«

E continua: «Non si rischia forse che, anche per l’opinione pubblica, sia proprio il sempre più massiccio ricorso alle telematiche la scorciatoia per garantire (ma solo formalmente) a tutti e a tutte quel diritto? Ai figli dei poveri, insomma, un’istruzione “di serie B”». Per Montanari, inoltre, il forte consenso delle telematiche tra i politici di destra si spiega in questo modo: «Da sempre i poteri costituiti hanno guardato con sospetto agli studenti e alla loro capacità critica e reattiva: finalmente, con le telematiche, ci sono atenei che rilasciano diplomi legali senza disturbare nessun manovratore. Proprio la funzione di erogazione del “pezzo di carta” (sul quale non è scritto, come invece dovrebbe per minima trasparenza, se lo si è preso in una università reale, o in una virtuale) diventa così di fatto l’unica missione dell’università, con un allentamento sensibilissimo del nesso tra ricerca e didattica». Per questo secondo Montanari le telematiche altro non sarebbero che «fabbriche di lauree for profit». Ma è davvero così?

Lo abbiamo chiesto al professor Carlo Lottieri, docente di filosofia del diritto, prima all’Università di Verona e ora all’Università telematica Pegaso, da tempo tra i sostenitori di un’istruzione diversificata e non centralizzata. Il professor Lottieri ha studiato a Genova, Ginevra e Parigi, ha insegnato a Siena e ha un contratto con l’Istituto di filosofia applicata della Facoltà di teologia di Lugano, inoltre è direttore del Dipartimento di Teoria politica dell’Istituto Bruno Leoni. Il suo ultimo libro è A scuola di declino: la mentalità anticapitalista dei manuali scolastici (Liberilibri, 2024). Ecco la sua opinione.

Tomaso Montanari con "Libera università" (Einaudi, 2025)
Tomaso Montanari con "Libera università" (Einaudi, 2025)

«Quanti criticano le telematiche e l’emergere di un’università plurale – non integralmente di Stato e quindi meno controllata dalle baronie universitarie – tendono a evitare domande scomode. Non si chiedono, in particolare, perché gli atenei statali non intercettino la richiesta di formazione universitaria che proviene da chi ha difficoltà a frequentare le aule universitarie della Sapienza, della Federico II oppure di Bologna: dato che deve lavorare per mantenere la famiglia oppure non ha i mezzi per lasciare la casa dei genitori, dato che deve seguire i figli oppure vive molto lontano dalle sedi universitarie.

Le università tradizionali possono introdurre corsi online e qualche volta lo fanno, ma evidentemente non riescono a competere con la nuova imprenditoria.

Se molti universitari – ormai largamente imprigionati dalla “gabbia d’acciaio” di weberiana memoria – non riconoscono il fallimento del sistema universitario statocentrico questo si deve anche al fatto che non sanno cogliere la differenza cruciale tra iniziative basate sull’intraprendenza e realtà, invece, dominate dalle logiche delle burocrazie pubbliche.

Non è facile prevedere quali trasformazioni accompagneranno l’avvento di questo nuovo mondo, legato anche a innovazioni tecnologiche che appaiono irreversibili. La speranza è che queste università non statali, che sono al servizio di quanti scelgono di finanziarle, non si propongano di “formattare cittadini” (come è nella tradizione delle università di Stato, prima catturate dai sovrani e poi dalle nuove classi politiche), ma invece puntino a creare spazi di conoscenza plurale, formazione professionale e crescita umana. Oggi appaiono anch’esse molto intrappolate in un sistema che tende a uniformare tutto, ma è sempre più chiaro che (grazie alla migliore conoscenze delle lingue straniere e grazie all’intelligenza artificiale) ci si sta dirigendo verso una “de-nazionalizzazione” dei sistemi universitari e di conseguenza verso una concorrenza globale. Nessuno potrà davvero stupirsi se, nel mondo di domani, nel mondo universitario saremo più padroni delle nostre scelte e sempre meno costretti a subire la volontà di ministri e funzionari pubblici».

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