Dovremmo iniziare a parlare di “disinformazione pro-trans”. Lo ha detto bene Brenda O’Neill in un articolo sul The Spectator: “Questa sentenza ripristina la dignità delle donne che l’ideologia trans ha così invidiosamente minato”. E ancora: “La nostra è un’epoca di oscurantismo intenzionale”. Vorrei aggiungere un terzo elemento, la falsa ingenuità. E una quarta, l’ignoranza. Per capirlo vengono in aiuto le parole dell’unica atleta transgender che abbia mai gareggiato a una Paralimpiade, Valentina Petrillo. Andiamo con ordine. Le donne trans non sono legalmente donne. Lo stabilisce la Corte Suprema Uk, il parere è “unanime”. La sentenza di 88 pagine è molto chiara: i sessi sono due, le donne trans non possono essere considerate dalla legge inglese come donne poiché in qualsiasi contesto legale il termine “donna” viene utilizzato solo per le donne biologiche.
Anche nell’uso comune, quando parliamo di donne intendiamo le “donne biologiche”. È un fatto talmente evidente che negarlo è davvero “oscurantismo intenzionale”. Cambiare il modo in cui normalmente usiamo un termine, secondo la Corte, è impraticabile. Non solo. È anche sbagliato. La sentenza ferma l’assurda pretesa del governo scozzese di considerare legalmente donna qualsiasi persona abbia un Grc (Gender Recognition Certificate), un certificato rilasciato dal governo che puoi ottenere anche senza aver affrontato la transizione medica e ormonale.
A stupire è il modo in cui ne parlano gli intellettuali e gli avvocati pro-trans. Un titolo dell’Indipendent: “Abbiamo lasciato decidere alla Corte ‘cos’è una donna’, la Corte ha fatto la scelta sbagliata”. Il famoso fair play delle attiviste trans. La decisione è giusta solo se ci dà ragione. Un altro titolo dallo stesso giornale: “Le donne trans come me sono fuorilegge”. Ovviamente è una bugia, un’invenzione totale, è populismo di sinistra, tanto nocivo quanto quello di destra. La sentenza non è un attacco alle donne trans, semmai è la risposta della Corte suprema all’attacco del governo scozzese contro le donne biologiche.
Secondo l’ecosocialista scozzese Maggie Chapman “si tratta di una sentenza profondamente preoccupante per i diritti umani e di un duro colpo per alcune delle persone più emarginate della nostra società. Le persone trans vogliono solo poter vivere la loro vita come tutti noi”. Anche qui, tra bugie, vittimismo e falsa ingenuità, si sbraccia senza aver letto la sentenza e senza aver ascoltato le parole del giudice, che spiega chiaramente come la sentenza non debba essere letta come un attacco alla comunità trans, che continuerà a essere tutelata dall’Equality Act del 2010, cioè la legge antidiscriminazione inglese.
Quello che non si può fare, invece, è violare i diritti degli altri. La lezione, fondamentale in una società liberale, è questa: non esistono solo i tuoi diritti, i tuoi desideri, i tuoi capricci, le tue rivendicazioni. Esistono anche i diritti di altri individui, di altri gruppi, del resto del mondo. E non sempre puoi averla vinta tu. Anche perché non è un privilegio della donna biologica avere degli spazi dedicati alle donne biologiche. È non è un diritto delle donne trans violare quegli spazi.

Arriviamo in Italia, dove la femminista Lea Melandri ha definito la sentenza “vergognosa” e si stupisce che siano state delle femministe a portare avanti la battaglia che ha portato a questo “esito omolesbotransfobico” (evidentemente dimenticando di leggere nella sentenza i passaggi in cui si spiega che questa decisione tiene conto anche dei diritti delle donne lesbiche di avere associazioni di sole donne). C’è anche l’atleta trans Valentina Petrillo, che in un’intervista al Corriere della Sera rilascia due dichiarazioni assurde. La prima: “Non ci sono neppure i fondamenti scientifici [per questa sentenza, ndr]. Esistono infatti corpi che nella fisionomia sono riconducibili a quello femminile, ma hanno cromosomi tipici del genere maschile”. Bugia. La differenziazione sessuale (o li sviluppo sessuale) e il sesso biologico sono due cose diverse. I sessi restano due anche se ci differenziamo in modo atipico. Non esistono donne con cromosomi maschili. Esistono uomini che non hanno sviluppato un corpo tipicamente maschile.
Seconda dichiarazione: “La sentenza, oltre che discriminare le persone transgender, fa male alle donne biologiche, se così vogliamo definirle seguendo la sentenza, perché le relega per l'ennesima volta su un livello non paritario con l’uomo, ma implicitamente inferiore”. Intanto un modesto tentativo di sedizione linguistica: “Se così vogliamo definirle”. Non vogliamo definirle così, sono definite così. Lo sono nei discorsi al mercato, in parlamento, nei libri, nello sport, nelle cartelle cliniche. Anzi, il punto della sentenza è questo, qualcuno lo spieghi a Petrillo: qualsiasi legge, sentenza o discorso ufficiale presi in considerazione dalla Corte suprema, parla di “donne” riferendosi alle donne biologiche. La sentenza non ha creato questa definizione, non è una stregoneria dell’ultima ora.
Ma soprattutto, in che modo la sentenza fa male alle donne biologiche? La cosa peggiore che potrà capitare d’ora in poi alle donne biologiche è che negli spazi a loro uso esclusivo non sarà permesso a nessuno, fuorché a loro, di entrare (che è poi il significato di “esclusivo”). Si dica a Petrillo anche la differenza tra essere socialmente, politicamente e culturalmente pari agli uomini e essere biologicamente uguali. La sentenza non dice nulla sulla parità di genere, parla solo delle differenze biologiche tra uomo e donna e delle ricadute reali di questa insindacabile differenza. Nessuno, né le donne biologiche né gli uomini, verranno trattati diversamente davanti alla legge dopo questa sentenza. Dice che le donne hanno diritto A volte distinguere tra pretese e diritti è il primo passo per difendere i secondi, scartando i primi.
