A Paralimpiadi ferme, possiamo ragionare seriamente sul caso Valentina Petrillo, la donna transgender e ipovedente che ha gareggiato nella categoria femminile T12 a Parigi 2024. Dopo aver superato le fasi di qualifica fino ad arrivare in semifinale, Petrillo non è entrata in finale e non ha potuto competere per l’oro. Durante le gare i giornali di mezzo mondo hanno applaudito a Petrillo per il coraggio e l’importanza di essere la prima donna transgender a gareggiare alle paralimpiadi. Petrillo ha parlato di un sogno che aveva fin da quando era bambina, cioè bambino, e ha condannato apertamente la discriminazione nei suoi confronti. Criticherà anche la relatrice speciale delle Nazioni Uniti per la violenza di genere? Vi abbiamo già spiegato perché una persona come Petrillo, per oltre quarant’anni uomo e ora diventata donna, non dovrebbe gareggiare con delle donne biologiche. Non c’è una diatriba in corso nella comunità scientifica sui vantaggi strutturali e oggettivi che un uomo ha in alcune attività fisiche e dunque in determinati sport (come la corsa o la boxe). Ma le parole di un’esperta designata dall’Onu per condurre indagini su questi temi hanno un peso diverso. Reem Alsalem è una ricercatrice indipendente nominata nel 2021 dallo Un Human Right Council relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, le cause e le conseguenze. Ha studiato all’American University del Cairo e poi all’Università di Oxford, dove ha ottenuto un master in “Human Right Law”. Ha collaborato con vari settori dell’Onu, dallo Un-Women all’Unicef.
L’8 ottobre Alsalem presenterà a New York il suo ultimo rapporto: Violence against women and girls in sports - Report of the Special Rapporteur on violence against women and girls, its causes and consequences, un’indagine sulla violenza di genere nel mondo sportive. Il documento è stato già pubblicato sul sito dell’Onu, e la relazione verrà diffusa ufficialmente in occasione dell’Unga79, la settantanovesima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel documento, oltre a parlare della violenza fisica sulle donne, Alsalem dedica alcuni paragrafi alla questione dell’esclusione delle donne dallo sport. I motivi possono essere vari, tra cui convinzioni religiose del Paese di origine (come accade in Afghanistan) o personali. In quest’ultimo caso si parla di autoesclusione. Non sempre, però, le donne decidono di non competere per timor di Dio. In molte occasioni, infatti, le donne scelgono di rinunciare alla carriera sportiva per paura degli uomini che gareggiano nella loro categoria. Come spiega Alsalem: “L’inclusione di maschi nelle categorie sportive femminili e nei relativi spazi può portare anche a una autoesclusione, in particolare per paura degli infortuni fisici o per specifiche credenze religiose che proibiscono alle donne l’accesso a spazi misti”.
Alsalem approfondisce ulteriormente il tema e parla della confusione che si è creata per colpa di regolamenti troppo permissivi: “Le politiche avviate dalle federazioni internazionali e dalle organizzazioni, dagli organi di governo nazionali, insieme alle legislazioni nazionali di alcuni paesi, permettono agli uomini che si identificano come donne ti competere nelle categorie femminili”. È questo il caso di Valentina Petrillo, la cui partecipazione è stata garantita dal regolamento inclusivo del Comitato Paralimpico. Ma questa permissività, lontana dall’essere un esempio virtuoso di apertura mentale e tolleranza, è un’arma che si scaglia contro le opportunità delle donne, possibilità per cui questa categoria ha lottato nei secoli passati. “La sostituzione delle categorie femminili con categorie di sesso misto ha portato a un aumento del numero di atlete donne che hanno perso opportunità e medaglie quando hanno gareggiato contro uomini. Dalle informazioni raccolta fino al 30 marzo 2024, oltre 600 atlete donne in più di 400 competizioni hanno perso più di 890 medaglie in 29 differenti sport”. Chiaramente Valentina Petrillo rientra nella categoria degli uomini biologici che si identificano come donne. E non essersi qualificata in questa occasione non cancella questi dati.
Il fatto stesso di seguire una cura ormonale in grado di abbassare i livelli di testosterone, come abbiamo già detto, non gioca nessun ruolo in una competizione. Un uomo può abbassare il testosterone e mantenere integri tutti i vantaggi fisici acquisiti fin dall’infanzia e soprattutto durante l’adolescenza. Alsalem, infatti, prosegue: “Gli atleti uomini hanno specifici attributi considerati vantaggiosi in alcuni sport, come la forza e i livelli di testosterone mediamente più alti che in una donna già da prima della pubertà […] Alcune federazioni obbligano la soppressione del testosterone degli atleti per potersi qualificare nelle categorie femminili degli sport a livello professionistico. Tuttavia, la soppressione farmaceutica del testosterone in atleti geneticamente uomini – e indipendentemente da come loro si identificano – non eliminerà l’insieme di vantaggi comparativi nella performance che hanno già acquisito”. Alsalem conclude con una considerazione, ancora una volta, preoccupante e, nonostante questo, chiarissima: “Per evitare la perdita di pari opportunità, i maschi non devono competere con le femmine nello sport”.