Valentina Petrillo, atleta trans alle Paralimpiadi, si qualifica per le semifinali nei 400 metri. I giornali all’unisono: Petrillo ha già vinto. Ha vinto contro i pregiudizi, contro la discriminazione e contro l’odio politico. Ma ha vinto anche contro delle donne.
Non c’entra nulla la scelta di Federico Petrillo di identificarsi, a quarantacinque anni, come donna transgender, diventando madre di due figli, Lorenzo e Chiara, invece che padre. È un problema di biologia e giustizia sportiva.
Se sei un cavallo non puoi correre nel circuito dei cani o delle lepri. Puoi identificarti come una lepre, mangiare carote come una lepre, ma correrai veloce come un cavallo. Il problema è non accettarlo e trasformare un capriccio in un diritto.
Mentre sei completamente libera di scegliere come comportarti nella tua vita privata, non puoi pretendere di gareggiare con delle donne in una competizione sportiva se per quarantacinque anni il tuo fisico è stato quello di un uomo.
Un’altra metafora zoologica potrebbe aiutare. Se sei uno struzzo ma non sei veloce come tutti gli altri struzzi, non puoi mascherarti da gazzella (sì, Beep Beep è il secondo animale più veloce su terra dopo il ghepardo).
Non puoi neanche pretendere di mentire. Dopo la qualifica ha detto: “Era un sogno che avevo fin da bambina”. Ma l’infanzia della donna Petrillo è iniziata a quarant’anni. Prima ha realizzato altri sogni vincendo qualcosa nei circuiti maschili.
Poco (come abbiamo detto non era lo struzzo più veloce del gruppo e i suoi tempi sono mediocri se paragonati alla media maschile). Ma ora è passata dalla categoria T12, e nonostante la “t” non voglia dire “testosterone”, la World Para Athletics ha deciso che può gareggiare e vincere.
E rubare il posto alla stessa atleta per la seconda volta dopo i mondiali paralimpici di atletica di Parigi 2023, Lorraine Gomes de Aguiar, che come uomo sarebbe decisamente un’atleta scarsa, ma nella sua categoria biologica di appartenenza ha raggiunto risultati migliori di Petrillo nella sua (i maschi biologici).
Sia lodata Valentina Petrillo perché permette di chiarire alcuni punti rimasti confusi ai tempi del caso Imane Khelif, la pugile intersex che potrebbe avere cromosomi maschili e un disturbo dello sviluppo sessuale molto complicato e abbastanza irrilevante in questo caso.
Petrillo, infatti, è un uomo dalla nascita anche per l’ufficio anagrafe. È stata un uomo per quarantacinque anni della sua vita, ha vissuto da uomo ed è cresciuta come un uomo. Ha il fisico di un uomo. Si pensa che fin dalla nascita vi siano già delle differenze irreversibili nello sviluppo tra i due sessi. Questo è sicuramente vero e innegabile se parliamo dello sviluppo in fase adolescenziale.
Petrillo è rimasta uomo ben oltre l’età puberale e qualsiasi terapia per abbassare il testosterone e farla sentire più a suo agio nel mondo di tutti i giorni, non può cancellare i suoi vantaggi oggettivi nelle competizioni sportive.
Non si tratta di discriminare nessuno, ma di denunciare una discriminazione ai danni delle donne biologiche. Uno struzzo biologico corre con delle lepri biologiche. È evidentemente sbagliato, a tal punto che la scia di piume lasciata lungo la pista di gomma sfida ogni negazionismo. E vale il detto, in questa occasione più che in altre: non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.