Rigivan Ganeshamoorthy, oro italiano nel lancio del disco alle Paralimpiadi di Parigi, batte per la terza volta consecutiva il record del mondo, che poi è sempre stato il suo. Ha l’accento romano, è in carrozzina, tre minuti di intervista che lui avrebbe chiuso, forse, se non è posa, se non è una comicità voluta, in tre parole: “Grazie a tutti”. Invece continua e quando la giornalista gli chiede se stia iniziando ad apprezzare questo mondo, quello sportivo, a quei livelli, con quei successi, lui risponde: “Ma sì dai. Un po’ troppi disabili forse”.
Lui può farlo perché disabile, un po’ come gli afroamericani che possono usare la n-word, ma non è solo questo. Anche la pagina ufficiale dei Giochi ironizza su cadute, sgambettamenti, tentoni. Ci invita a farlo, a credere sia normale. Tutto giusto, perché potrebbe partire da lì quell’inversione di marcia che dal politicamente corretto ci riporterà all’intelligentemente corretto: l’ironia è un modo di capire, non un modo di attaccare.
Ecco il grande tema letterario, la controrivoluzione del linguaggio e del registro. Ridere di tutto.
Manca tutto il resto. Cioè la realtà. Ridiamo perché teniamo in un angolo i fatti, ce ne freghiamo. Le Paralimpiadi non servono a niente. Lo sanno gli organizzatori, lo sanno i telespettatori, lo sanno i giornali. Non è neanche un problema politico, di cattivi governi. È un problema di cattivi cervelli.
Se anche la politica facesse qualcosa in più per i disabili, non cambierebbero comunque le risposte al sondaggio di Channel 4 sui motivi per cui la gente comune vede le Paralimpiadi. Il 59% degli intervistati dice che le guarda per “vedere gli atleti superare le loro disabilità”. Non per la competizione sportiva in sé, per la bella performance.
A loro piace lo sforzo. È un po’ come quando ci fissiamo con i video dei soldati che tornano a casa. Vogliamo commuoverci in modo forzato e guidato. Sappiamo cosa vogliamo vedere e sappiamo dove possiamo trovarlo. E le Paraolimpiadi ci offrono questo spettacolo che supera di gran lunga, per interesse, il rilievo dato ai successi oggettivi di questi grandi atleti.
Ma è davvero empatico muovere a compassione per il ragazzo senza una gamba che gareggia nel salto in lungo?
Qualche numero per capirlo. Quest’anno, secondo Fortune, gli atleti paraolimpici guadagneranno il 75% in meno dei loro corrispettivi alle Olimpiadi. Bella l’ironia, ma belli anche i soldi. Eppure guadagneranno di meno. Anche le medaglie, almeno fino a Tokyo 2021, valgono meno di quelle olimpioniche.
Nel 2012 le Olimpiadi a Londra sono state considerate da tutti un evento epocale. Così le annesse Paralimpiadi. Ma negli anni successivi non è cambiato niente. Le barriere architettoniche sono rimaste nella maggior parte degli impianti sportivi del Regno Unito, 1,5 miliardi di disabili nel mondo non fa sport. Aggiustiamo la cifra per i Paesi più poveri, mettiamoci in conto che non sono solo i disabili a non fare sport.
I bambini, dei ragazzi e degli adulti con disabilità hanno il 62% in meno di probabilità di soddisfare le linee guida dell’Oms sull’attività fisica. Tutto questo nonostante i 31 milioni di telespettatori del 2012.
Volete incazzarvi? L’ex atleta olimpica Tanni Grey-Thompson, 11 ori e 16 medaglie in totale ai giochi paralimpici, è scesa a King’s Cross, una delle stazioni di Londra, strisciano fuori dal treno perché non c’era personale disponibile. Dopo un quarto d’ora ad aspettare in treno urlando e chiedendo aiuto, ha deciso di trascinarsi con la sola forza delle braccia fuori dal vagone.