Exterritorial (2025), diretto da Christian Zübert, è uno di quei film che sembrano cuciti su misura per finire nella top 10 di Netflix: ritmo serrato, un’eroina tormentata, azione ben coreografata e un mistero che promette molto. La storia segue Sara, ex soldatessa e madre, che si lancia in una corsa disperata per ritrovare il figlio scomparso all’interno di un consolato americano. Intrappolata in un territorio exterritoriale, dove le leggi sembrano sospese e i volti si fanno ambigui, cerca di smascherare la rete di inganni che l’ha circondata, mentre lotta anche contro i propri demoni interiori. Il film parte bene, ha energia, e riesce a tenere alto l’interesse per tutta la durata – che scorre sorprendentemente veloce. Le scene d’azione funzionano, anche se ogni tanto risultano un po’ raffazzonate, come se mancasse una cura finale. Le interpretazioni sono solide, in particolare quella della protagonista, che regge il peso emotivo della storia senza cadere nella caricatura

Il vero problema, però, è che Exterritorial mette troppa carne al fuoco senza riuscire a cuocerla davvero. La trama si sposta continuamente, toccando disturbi mentali, complotti internazionali, dinamiche familiari e giochi di potere, ma senza approfondire davvero nulla. Il film sembra voler stupire a ogni scena, spostando lo spettatore di continuo, ma lo fa senza costruire una direzione chiara. E quando arriva il colpo di scena finale – che dovrebbe rimettere tutto in prospettiva – risulta blando, quasi irrilevante, e lascia un senso di incompiuto. Dal punto di vista visivo, il film si appoggia a una fotografia pulita ma già vista, identica a quella di decine di altri prodotti Netflix: efficace ma senza anima. Non c’è una scelta stilistica forte, non c’è un’impronta riconoscibile. Alla fine, Exterritorial è un thriller che si guarda volentieri, intrattiene e funziona sul piano tecnico, ma che non lascia traccia. È il classico film da algoritmo: ha tutto, ma non ha niente.
