Fino alla fine non è una love story qualunque. Fino alla fine non è neppure un thriller standard. Assomiglia un po’ all’Estate Addosso e ricorda alcune vecchie storie del passato, questo sì. Ma quel che è certo è che l'ultimo film di Gabriele Muccino non ci ha mai permesso di staccare gli occhi dal grande schermo. Neppure per un secondo. È la storia di una calda notte siciliana in cui Sophie (Elena Kampouris) dopo aver incontrato Giulio (Saul Nanni), invece di seguire sua sorella Rachel, sceglie di allontanarsi e di vivere un'intensa serata in compagnia di quattro ragazzacci. Fino alla fine è un racconto coinvolgente, dinamico. Merito di una regia straordinaria che sin dalle prime scene permette allo spettatore di lasciarsi assorbire dai colori, dai paesaggi e da quel mare blu feroce e profondo che rischierà di inghiottire tutto il resto. La verità è che il film del regista di Sette Anime e Come te nessuno mai ci ha svegliati. Dalla noia di novembre, dalla routine, dai silenzi del dopopranzo, da una stagione di mezzo che sta per abbandonarci.
La protagonista Sophie scopre se stessa in questo viaggio improvvisato e lunghissimo in una notte dilatata che sembra non finire mai. Sophie scrive il nome della libertà: “su l’assenza che non chiede / Su la nuda solitudine / Su i gradini della morte / Sul vigore ritornato”. Prendendo (con timore riverenziale) le sacre parole del poeta Paul Éluard, certo scritte in tutt'altra circostanza, in tutt'altro tempo, siamo riusciti a capire meglio per quale maledetto motivo sia finita dentro questo casino. Sophie, libera e liberata da sua sorella, dai timori, dalle convenzioni, si unisce a un gruppo di sgangherati per recuperare se stessa. E forse per la durata di una serata dolorosa e irreale, grazie a una missione degna di un thriller poliziesco che dovranno d'un tratto seguire i protagonisti di questo racconto, riuscirà anche lei a scrivere quella parola, a comprendere finalmente il significato della libertà. Di Fino alla fine restano le immagini, segni indelebili di una maestria registica che ci ha fatto tornare la voglia di fare un rewatch dei film di Muccino e le grida di Sophie, Giulio, Komandante e Samba, che più che stridere con il film ne evidenziano invece l'aspetto più interessante: il disagio. Urlato al mondo, di tutti questi ragazzi stanchi che cercano di dare una scossa alla loro esistenza, a ogni costo.