A teatro è successa una cosa strana: uno spettacolo che si chiama Migliore sbatte in faccia a chi lo guarda l’esatto contrario. Dice che no, la bontà non serve a niente, che il cinismo premia, che la spregiudicatezza va bene. E lo fa con Valerio Mastandrea nei panni di Alfredo Beaumont, un uomo onesto, un uomo buono che da un certo momento in poi, si sente responsabile di un incidente, da cui uscirà pulito. Il compianto Mattia Torre ne è l’autore e regista – di Boris, di La linea verticale, di una scrittura che ti fa ridere mentre ti prende a cazzotti – un uomo e artista che forse aveva capito come funziona il mondo meglio di tanti sociologi. E con Migliore l’abbiamo visto a teatro. “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” lo diceva Tancredi, nipote del principe Fabrizio Salina ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Invece, in questa storia, Alfredo che forse non voleva cambiare è vittima di un fatto che stravolgerà tutto, e che lo porterà a rivedere il suo posto nel mondo.
Succede che Alfredo cambia, diventa cattivo. E scopre che gli conviene. Sale di grado, piace di più, guarisce dalle sue fragilità. Insomma, diventa migliore... o peggiore? Comprende qual è il modo di stare al mondo perché a volte la gente fa schifo e se ne frega di tutto. Vedere Migliore (anche se con una visuale piuttosto ridotta pur stando in platea) è vedere Mattia Torre, ancora, fra noi. E credere che forse per davvero, come ci ha dimostrato chi è venuto prima di noi, il teatro che guarda la realtà e la interpreta, non morirà mai.