The Institute, L’Istituto, la serie tratta da un romanzo di Stephen King, è un capolavoro, anche se molti non se ne stanno accorgendo e restituiscono recensioni in cui la elogiano sì, ma non più di tanto. E il motivo c’è. Ne parliamo dopo. Al momento sono state rilasciate due puntate, sul canale MGM+ di Prime Video, la prima è gratuita ed è una meravigliosa trappola. In estrema sintesi, l’istituto è una prigione dove vengono rinchusi ragazzi con abilità paranormali dopo essere stati rapiti (a qualunque costo, le famiglie sono sacrificabili). Ci si avvicina alla serie pensando a uno “Stranger Things” minore, laddove in ST l’istituto è solo una parte dell’incredibile e definitivo e iconico e indispensabile mondo creato dai Duff Brothers (che non hanno mai nascosto il loro omaggio a King). Ma, tra le altre cose, in The Institute è la scrittura che rende la serie – certo non all’altezza di ST, ma non ci sarà mai qualcosa alla sua altezza, è bene saperlo per non essere delusi in questa vita – fenomenale.

La scrittura drammaturgica e la scrittura registica. Alla penna abbiamo infatti Benjamin Cavell (che aveva già lavorato alla serie The Stand - L’Ombra dello scorpione, ma anche a quell’altro capolavoro che è Homeland e per sovrapprezzo anche a Justified, tratto da un personaggio di Elmore Leonard). E alla scrittura registica troviamo il grande Jack Bender, che parte da lontanissimo, dalla Famiglia Bredford, per attraversare tutta la serialità di peso: dai Soprano a Lost ad Alias a The Last Ship a Under The Dome (sottovalutata serie, sempre tratta da King) fino al capolavoro che è From. Non solo. Il protagonista di questo inizio di serie è lo sconosciuto Joe Freeman, del quale sentirete parlare parecchio. Sì, come in gran parte delle storie di King c’è una storia parallela: un poliziotto dal passato difficile (Ben Barnes, Caspian ne Le Cronache di Nania, Logan delos in Westworld, Aleksander Kirigan in Tenebre e Ossa) che prende servizio nella cittadina dove se ne dicono tante sull’ “istituto” ma chi sembra saperne di più sembra una vecchia pazza che abita per strada in una tenda dove passa il tempo ascoltanto in radio trasmissioni complottiste. E già ce ne sarebbe per dire di avere trovato la serie perfetta per le serate estive. E però, come detto all’inizio, c’è qualcosa che porta a un’altro livello la qualità di The Institute e che se molti non colgono deve essere a causa dell’età. Perché è qualcosa che solo i boomer possono cogliere e che vibra nell’aria all’apparire della coppia Julian Richings (Stackhouse, l’addetto alla sicurezza dell’istituto) e Mary-Louise Parker (Sigsby, la direttrice): e questa cosa si chiama Twin Peaks. Sì, non è facile da cogliere, perché è un Twin Peaks in cemento armato brutal-razionalista illuminato da gelidi neon, ma anche nella cittadina, presa dal mistero dell’istituto, ci sono inquadrature che durano anche solo un attimo, ma che saturano i colori proprio come in quegli anni e hanno scorci psichedelici.

Le storie parallele del poliziotto tormentato appena arrivato nella tipica cittadina americana, descritta come solo Stephen King sa descrivere la provincia (e riportata nelle atmosfere finalmente fedeli da Bender) e dell’istituto, certo, sono destinate a incrociarsi-scontrarsi. Ma c’è questa cosa che unisce i due mondi apparentemente diversissimi (colorata la cittadina, grigio l’istituto), e questa cosa si chiama Twin Peaks. Soltanto i boomer diventeranno fan di questa meravigliosa sorpresa estiva? Può darsi. Beati i boomer. Soprattutto se nerd.
