Piacenza brucia. Non come la Los Angeles che alberga nel titolo dell’ultimo album di Fabri Fibra. É stata comunque percorsa dalle fiamme sacre e profane delle rime. Rime a mitraglia. Oppure pensose e pesanti. Talvolta cialtrone e irridenti. Il verso, ardente e ardito, come affermazione di un vecchio e di un nuovo sé. Nel nome dell’hip hop, nel nome di una hit, nel nome di una trappata di lusso, nel nome della propria biografia, spesso sovrapposta a quella del rap Italiano. Siamo a Palazzo Farnese, luogo storico nel cuore della cittadina emiliana. L’ultimo posto in cui ti aspetteresti di assistere al concerto di un tizio che, poco meno di un quarto di secolo fa, sbavava bile (in versi) nel recinto affamato di una rap battle. Fibra edizione 2025, che ieri sera ha chiuso la rassegna “Piacenza summer cult”, è andato in scena in un luogo così nobile perché, inevitabilmente, non è più il Fibra di “Turbe giovanili”. Sebbene... Sebbene quel battesimo di fuoco, quel passato livido di rabbia, quelle radici piantate nella solitudine splatter di “Mr. Simpatia” siano tutti segni stampati a fuoco (arridaje) nel dna artistico di Fabrizio Tarducci. Indelebili, prove inconfutabili di una realness che tanti altri rapper (o wannabe rappers) sanno solo goffamente mimare. Fibra sul palco fa quello che vuole. Lui e DJ Double S, lassù, collocato sulla parte più alta di una gigantesca cassetta, dove scorre il nastro (richiamo vintage? Forse un’altra prova di realness; Fibra, a inizio millennio, era partito con i demotape). Gigioneggia, parla col pubblico e pretende mani alzate. Tutti trucchi per prendere fiato, perché poi, ogni volta che riparte, è un fo**uto Frecciarossa che trapassa epoche, beats, cartoline collettive.

Si parte con “L’avvelenata (pretesto)”, in cui la voce campionata del Maestrone Francesco Guccini rende tutto straordinariamente surreale. L’incipit è solenne, poi i brani del nuovo album (“Tutti pazzi”, “Stupidi”) si fanno largo in un set concepito per sezioni. In quella balneare spicca “La pula bussò”, ma tutto suona coeso. Coeso, non monocorde. L’intesa fra Fibra e Double S è l’intesa di chi condivide parte di quel dna citato qualche riga sopra. Esperienza, credibilità, e questi beats che piovono dall’alto, algidi e precisi, con Fibra che li cavalca come se, ancora una volta, dalle rime dipendesse la sua stessa vita. “In Italia” è un pezzo vecchio che suona sempre (e tristemente) attuale, “Fenomeno” fluidifica con naturalezza la sostanza americana (in questo caso LL Cool J) di cui, in parte, è costituito Fibra. “Pamplona” è pop anthemico ancora buono per qualsiasi festa. E poi… Poi arriva quello che non tutti si aspettano. Un giretto agli inferi, un giretto nel mondo suicida di “Mr. Simpatia” (“Venerdì 17”, “Non fare la pu**ana”), quel micromondo in cui “Fibra il perdente” vivacchiava e covava istinti sterminatori. Un ufficio da quattro soldi. La periferia: invadente, infida, infinita. Il futuro, estensione marcia di un presente sfi*ato. Il pubblico risponde, stupito ed esultante. Verso la fine spunteranno persino “Luna piena” (da “Turbe giovanili”) e “Verso altri lidi” (dalla fase Uomini di Mare). Il passato spinge, ruvido, per cercare il suo spazio – il suo ruolo – nel presente dilatato del nuovo Fibra. Un Fibra, quello dei nostri giorni, più riflessivo ma sempre ficcante (“Oggi il Führer farebbe lo youtuber”, da “Tutti pazzi”); più web che dark web. “Stavo pensando a te” e “Tranne te” alla fine sigillano tutto, sbattendo in faccia a una platea intergenerazionale i talenti di un autore che col tempo, senza perdere un’oncia di quella ca**o di realness, è stato anche un tenero romanticone. O un intrattenitore da villaggio vacanze in formato deluxe (non è trovata geniale, alla Battiato, parlare di “rap futuristico” all’interno di un pezzo percorso da un’ostentata e iper-radiofonica leggerezza?).

Fabri Fibra, quello che non ha ancora concesso questa benedetta intervista agli Arcade Boyz. Fabri Fibra, quello che prima voleva investirlo, Albertino, poi ci ha fatto pace proprio ai microfoni di Radio Deejay. Fabri Fibra, che quando passa per radio lo capiscono anche i ragazzini degli ultimi anni delle elementari, solo che poi, quando fa sul serio, quegli stessi ragazzini si perdono in un labirinto di allusioni imperscrutabili, polemiche sotterranee, analisi criptate. Ah! Fabri Fibra, quello con il flow tortuoso e la fotta old school incisa fra mandibola e gola. Inoki, un annetto fa o poco più, ospite degli Arcade Boyz, sosteneva che l’hip hop senza scratch è roba da stron*i. Double S, dall’alto, scratcha ma senza esagerare, non sono più gli anni del turntablism onanistico. Aspetta Fibra al varco e poi cala il beat. Tutto finemente programmato, ma anche Double S, talvolta, sembra in trepidante attesa. Come il pubblico. Vediamo che dice ora Fibra. Vediamo se torna davvero al 2004. Vediamo quale volto ci mostrerà con la prossima traccia. Due ore, un viaggio. Tante curve, tante oscillazioni, tanti salti. Sul palco un boss un po’ Joker che ha aggredito il proprio (e il nostro) tempo senza il folle timore di risultare anacronistico. “Ancora con le gang, ancora con lo slang/Ma se parli di rap ti prendo a schiaffi, sbang” (da “Sbang”, 2025).
