L’attesissimo e glamourissimo Eurovision 2022, da declamare assolutamente Eurovision Venti Ventidue, rischia di diventare una succursale del pop di casa nostra, come una puntata particolarmente affollata di Propaganda Live. Ultimo della lunga lista di rappresentanti italiani in gara Achille Lauro, fresco vincitore di Una voce per San Marino con il brano Stripper. Oltre a lui, l’oltraggioso punkrocker di Roma, segnatevi queste parole, potreste usarle nel caso si verificasse una qualche causa d’interdizione dai pubblici uffici e volendo anche una negazione della mia patria potestà, devo evidentemente essere impazzito, oltre a lui, dicevo, Emma Muscat per Malta, personaggio minore della fauna defilippiana, ovviamente Mahmood e Blanco per l’Italia, dati per favoritissimi, forse Tananai per la Svizzera e tutta una serie di variabili date dall’autocandidatura de La Rappresentante di Lista, si vocifera che l’Ucraina potrebbe anche essere interessata, e solo Dio sa chi altro.
Come dire che ti piace molto andare in vacanza in posti esotici, e cosa c’è in Italia di più esotico del Salento, le spiagge bianche, il mare cristallino, i chiringuito con la birra a due euro al pezzo, Milano lontanissima, e poi ti ritrovi in coda a Punta Prosciutto con i tuoi vicini di casa e i colleghi d’ufficio, ma va beh, amen.
La cosa che più stupisce, in questa buffa campagna di avvicinamento all’edizione torinese del contest musicale più seguito d’Europa, è come da una parte la si voglia ammantare di un’aura quasi da Halftime Show del Superbowl, non si fa che citare i numeri pazzeschi che seguiranno l’evento, non li si evoca per scaramanzia, ma i Maneskin stanno lì come santino votivo spiegazzato dentro il portafogli, visto mai che a chi vince quest’edizione capiti la medesima botta di culo e finisca per cantare da Ellen o Jimmy Fallon, o aprire per i Rolling Stones, si parla di uno spettacolo di quelli che tutti vogliono vedere perché è figo, imperdibile, la nostra meglio gioventù, si fa per dire, lì sul palco a presentare, vedi alla voce Ale Cattelan, l’assioma Ale=giovane è d’obbligo, Mika e Laura Pausini a mettere d’accordo tutti.
Poco conta che il più dello spettacolo in questione, per anni e anni, si è giocato sui social, il più vecchio e bolso di tutti in modo particolare, Twitter, per quelle poche ore tirato fuori dalla camera barica dove lo si tiene tutto l’anno, un po’ come si fa con i vestiti di Carnevale dei fratelli maggiori, che si aggiustano giusto un po’ per passarli ai più piccoli tacendo sul loro non essere esattamente nuovi di zecca.
Poco conta che su Twitter, appunto, se ne sia sempre parlato con quella patina di perculismo che solitamente si applica a tutto ciò che si ritiene imbarazzante, seppur con la simpatia di chi pur essendo imbarazzante ignora questa chiara condizione, sentendosi nei fatti ultracool.
Poco conta che nel tempo nessuno, ma dico nessuno nessuno, ha mai dato un minimo di seguito a chi è passato per Eurovision, al punto che in molti continuano a chiamarlo Eurofestival, che l’hashtag Escita è spesso confuso con il nome di una delle starlette che partecipano al Grande Fratello Vip, unica ragione, temo, per cui Twitter non è stato ancora chiuso, e che anche un gigante come Salvador Sobral, vincitore con quella perla di Amar pelos dois, vincitore nel 2017, continua a parlare della sua partecipazione come un errore di gioventù, prendendo le distanze da se stesso come neanche Guè Pequeno il giorno in cui ha improvvidamente pubblicato su Instagram il video in cui si smanocchiava il pisello.
Eurovision è al momento il posto giusto al momento giusto in cui trovarsi, e tutti quelli che pensano di poter avere un senso anche fuori dai confini patrii sembra che vogliano a tutti i costi essere lì. Si diceva della partecipazione di Achille Lauro per San Marino, quindi, parliamone.
Finito il Festival, quello dei numeri giganteschi, il 65% della minoranza anziana che ancora guarda la televisione lì, seduta sul divano a guardare il tubo catodico, età media sessantadue anni, non dimentichiamolo, Mahmood e Blanco designati a rappresentarci con la loro Brividi, si è iniziato a scherzare su vie alternative per arrivare a Torino. I primi, in apparenza, a farlo sono stati Dario e Veronica de La Rappresentante di Lista, che hanno detto di volersi autocandidare per San Marino, ma la faccenda era evidentemente una boutade, come era una boutade, credo, il Tweet di Tananai che auspicava un ritiro dei ventiquattro concorrenti festivalieri arrivati sopra di lui in classifica.
Nei fatti a San Marino era già previsto un contest, Una voce per San Marino, appunto, prima edizione del loro Festival della Canzone, che avrebbe decretato il titolato a rappresentare il piccolo stato ospitato nel cuore della Romagna, a due passi dalle Marche, mentre a Tananai, complice proprio la sua simpatica gigioneria e l’aiuto di Diego Bianchi in arte Zoro di Propaganda Live si è forse aperta una strada svizzera, modo bizzarro per andare da Cologno Monzese, dove abita, fino a Torino, la tratta diretta assai più lineare e veloce. Una voce per San Marino è un contest che prevede l’iscrizione di artisti da tutto il mondo, anche esordienti, artisti che poi andranno a scontrarsi con un manipolo di BIG, apparentemente alla pari, questo abbiamo appreso nel momento in cui ha cominciato a circolare notizia che non era appunto La Rappresentante di Lista a rischiare di volare, metaforicamente, a Torino, quanto un gruppo di artisti italiani, il più disparato possibile.
In gara in finale, infatti, abbiamo visto elencati Ivana Spagna, Valerio Scanu, su cui avevamo letto con sollievo la notizia di un prossimo ritiro dalle scene, presumibilmente una fake news, Francesco Monte, quello per intendersi che si era stracciato le vesti, metaforiche, nelle foto è sempre a torso nudo, perché a Sanremo c’era una straniera come Ana Mena, Blind, che per capirsi è l’Eminem di Perugia cresciuto in un ghetto e poi emancipatosi dalla vita turbolenta di strada passato da X Factor e prontamente scomparso nel nulla, verrebbe da dire tornato nel ghetto non fosse che a Perugia non ci sono ghetti e che la cosa più turbolenta che Blind avrà fatta sarà stata scoreggiare una volta in ascensore dando la colpa a qualcun altro, Alberto Fortis e Achille Lauro.
La presenza di Achille Lauro, più di tutte le altre, ha sorpreso i più, perché Achille Lauro era in gara al Festival di Sanremo, ma l’iscrizione a Una voce per San Marino era precedente alla kermesse di casa Rai, perché lui è di quel manipolo di concorrenti con una maggiore presa sul mercato d’oggi, e perché, diciamolo, in molti vedendolo l’anno scorso gigioneggiare come Superospite al fianco di Amadeus e Fiorello c’eravamo chiesti perché non portasse la medesima pagliacciata in quello che ai nostri occhi era il contesto più appropriato, proprio il pagliaccesco Eurovision Song Contest. Presentato dalla cantante italiana che per ben tre volte ha rappresentato la città stato del Monte Titano a Eurovision, Senhit e da Jonathan del Grande Fratello, tanto per non far capire che di dependance italiana si tratta, Una voce per San Marino è parsa sin dalle prime battute come qualcosa di assolutamente coerente con quanto passato per anni proprio dai social durante il più blasonato festival europeo, un mix tra una sagra paesana e i vestiti pacchiani di un ipotetico e auspicato film di Roberta Torre su un matrimonio anni 80 nella provincia di Avellino. Non solo e non tanto perché, in effetti, Ivana Spagna si è presentata come fosse appena arrivata da una puntata di Festivalbar 1986, vestito d’ordinanza con spalline e gradi da ammiraglio e una ventata di sana dance da far ballare anche i morti, ma piuttosto perché il concetto di “vorrei ma non posso” è stato declinato nelle tre ore e passa di show televisivo, passato non a caso su canali del digitale terrestre che ignoravamo di avere dentro il nostro televisore, per l’occasione trasformato in un Mivar con tanto di lucetta posta sopra per non farci male alla vita, lucetta appoggiata sopra un centrino fatto a mano da nonna, una miniatura di una gondola di Venezia, ricordo del suo viaggio di nozze, orpello imperdibile, in tutte le sue infinite variabili. Chi era nato e cosciente ai tempi delle prime televisioni commerciali, per noi marchigiani TV Emmanuel, quell’Emmanuel poi divenuto giustamente il Tuttologo di Mai dire TV o TVP, ma ogni regione avrà avuto la sua rete di riferimento, sembra quasi un ritorno a un passato che non ricordavamo più di aver vissuto, come se di colpo ci si allungassero le braccia, a mo dei primati e ci rispuntasse la coda, un osso di mammut brandito come clava per andare a caccia.
Una sorta di recita da oratorio che presentava canzoni anche meritevoli, penso a quella che incautamente il maestro Giuseppe Anastasi ha affidato proprio a Scanu, vestito come un paggetto di uno spot di Moschino e capace ancora una volta di dimostrare il detto che lo vuole in grado di cantare anche l’elenco del telefono, nel senso che canta sempre esattamente come se, in effetti, stesse cantando quello, ormai reperto di modernariato, per altro, una sorta di recita da oratorio che ha avuto sugli incauti spettatori lo stesso risultato di quando a Natale lo zio simpatico ha bevuto una grappa al ginepi di troppo e sputtana davanti a tutti le tresche di sua sorella con il collega d’ufficio.
Certo, da una parte è risultata ammirevole la forza di volontà della piccola nazione di farsi pubblicità, questa in fondo era la mission della prima edizione di un contest che, proprio in virtù del risultato finale, immaginiamo dall’anno prossimo sarà presa d’assalto dalle truppe cammellate, ma quell’atmosfera amatoriale che ha ammantato ogni singolo secondo andato in onda, senza neanche quella pruriginosità che ha fatto la fortuna di Ponrhub, ha davvero finito per rendere il tutto uno dei livelli più bassi dello spettacolo televisivo visto negli ultimi anni, e di cose imbarazzanti in tv, per chi ancora la guarda, continuano in effetti a essercene tante, eh.
Quello che però è in tutto questo il passaggio più spiazzante è proprio la presenza, l’esibizione e quindi la vittoria finale, vittoria abbastanza telefonata, di Achille Lauro, divenuto per l’occasione Achille Sauro, quanto di più vecchio e a rischio estinzione in circolazione.
Cioè, ce la meni da anni col tuo essere un performer, non un semplice cantante, fatto che da una parte ci rassicura pensando a quanto in effetti tu sia un cantante scadente, ma che comunque ti innalza, lo fai costantemente, a un livello di arte performativa che vede in campo colossi entrati nella storia della nostra cultura, penso alla da te più volte citata a sproposito Marina Abramovic. Sei stato al Festival come superospite, seppur in assenza di titoli per esserlo, andando a mettere in scena dei quadri, così ce li hai venduti, che ambivano a dire assai più di quanto le tue canzoni, a ben vedere sempre una variazione Goldberg dell’iniziale Rolls Royce, avrebbero mai potuto dire, nei fatti un lungo spot per la maison Gucci, cui si deve questa tua svolta alta, provocatoria, colta. Sei tornato al Festival quest’anno e hai sfoderato un autobattesimo che è stato riportato a miti consigli dall’Osservatore Romano, non esattamente la voce più dissacrante in circolazione, ma che comunque ha lasciato discutere.
Insomma, hai fatto del tuo essere provocatore, il torso nudo, le mani sul pacco, i baci in bocca con Boss Doms, una fluidità più raccontata che vissuta, la tua cifra, provando a far dimenticare che dopo il tuo primo Festival, quello in cui grazie a Red Ronnie sei diventato una sorta di William Burroughs che inneggia alle droghe pesanti, la prima cosa che hai fatto è stato andare da Mara Venier, il giorno in cui dovessi chiamarla “zia Mara”, vi prego, abbattetemi con un colpo alla nuca, dove ti sei anche fatto un selfie, punk dal cuore tenero, e provando anche a far dimenticare che in fondo, a dirla tutta, in tutte queste girandole di pubblicazioni che hai sfornato in questi anni, supportate da un mega contratto strappato alla Warner e mentre hai continuato a far parlare di te solo per faccende che con la musica nulla hanno a che fare, Gucci in fondo sa bene come fare il proprio mestiere, la sola canzone che hai piazzato in classifica è Mille, con quegli altri due mostri di provocazione che rispondono al nome di Fedez e Orietta Berti, diciamolo apertamente, dei tre la più libera e anche la sola artista, hai bevuto un Martini sul palco dell’Ariston, ignaro, spero che, già negli anni Ottanta c’era Sergio Caputi che lo faceva col Campari, ma finisci a fare il punk provocatore alla Festa di Don Bosco, certo dimostrando spirito di abnegazione e grande professionalità, come un giocatore professionista di calcio che si trovi per motivi benefici a giocare una partita coi ragazzini dei pulcini di una squadra di provincia, anche non volendo hai dimostrato di essere fatto di altra pasta.
Credo che ci sia qualcosa che non torna. È vero, durante la tua esibizione, il solito petto esibito a favore di camera, avevi la faccia di chi avrebbe davvero voluto essere altrove, e come non capirti e come non esserti solidale, pensa te a finire a giocarsela con Francesco Monte e Valerio Scanu, ma a meno che non ci sia la tua famiglia rapita in qualche luogo segreto, la minaccia di sterminarli nel caso tu ti sottragga a questa scenetta cringe, su quel palco ci sei salito di tua volontà, non te lo ha ordinato un dottore. Hai cioè preso il tuo battito cardiaco venduto come NFT, la tua prossima esibizione su Roblox, le tue istallazioni al Mudec, vestito ovviamente come Abramovic, tutto quanto di performativo hai fatto fin qui, e sei andato a fare la cosa più vecchia e usurata che avevi a disposizione, roba che neanche nei Festival alternativi organizzati da Mediaset nel periodo più oscuro della nostra televisione si era visto.
Fino all’ultimo abbiamo tutti sperato che avessi tenuto in serbo la vera sorpresa, che so, che come il Sud Vicious di The Great Rock ‘n’ Roll Swindle, cui continui a scippare impunemente il look, sul più bello avresti tirato fuori una pistola e fatto fuoco su tutto quel pubblico assembrato senza mascherine, magari mostrando un nuovo tatuaggio con su scritto “#IoRestoACasa, cosa di più provocatorio che dimostrarsi assolutamente reazionario, invece hai cantato, hai vinto e ora volerai a Torino a rappresentare San Marino, andando a dimostrare una volta per tutte al resto d’Europa, la vittoria dei Maneskin con la loro carica di fluida sensualità era solo l’antipasto, qual è la vera essenza di noi italiani, popolo di santi, navigatori, poeti e falsari.