Il Premio Strega chiude l’ultima edizione, ma purtroppo non i battenti, confermando il proprio marchio: prevedibilità che fa annoiare l’intelligenza e sentimentalismo che sputa in faccia ai sentimenti veri. Lo dimostra la vittoria di Ada D’Adamo. Brutto a dirsi, forse. È morta poco dopo aver scoperto di essere tra i finalisti. Un’autrice sensibile che ha puntato molto sulla propria – sfortunata – storia e sul senso di umanità, anche nel rapporto tra madre e figlia. Ma la sua vittoria non riesce neanche a riflettere, forse, i gusti della giuria, quanto piuttosto, il metro di giudizio di chi, di fronte alla morte, ha preferito non distinguere giudizio sul libro tristezza per la prematura scomparsa. Non è che ogni malato diventi uno scrittore, o – nel suo caso – uno scrittore malato un grande scrittore.
Così lo Strega 2023 è un premio ad honorem, sorretto da un secondo posto altrettanto prevedibile, quello di Rosella Postorino, che rischia la vittoria co uno dei suoi libri peggiori. A perdere è il libro che doveva vincere, invece: Rubare la notte di Romana Petri. È tardi per i commenti critici, quando il contesto di critico non lascia niente, neanche gli ospiti istituzionali. Basti pensare al ministro Sangiuliano che, a capo del dicastero per la Cultura, ha lasciato intendere di non aver letto i libri votati. C’è chi, tentando di rianimare la dignità letteraria di questo premio, avrebbe interpretato la cinquina come un segno dei gusti e delle tendenze: si premia la storia vera e l’autofiction. E questo primo posto non fa che confermarlo. Ma basta vedere le classifiche per capire che non è così. Basta vedere anche il nome di autori di genere che portano avanti progetti ben più consistenti di alcuni dei titoli della cinquina e non solo, sì realistici e talvolta biografici, ma occasionali, fortuiti. In alcuni casi miracolati.
Vale soprattutto per Come d’aria. Un libro il cui successo è la somma di vari elementi, tra cui un tema e una posa scolasticamente fruttuosi (potrebbe essere un romanzo da consigliare come lettura estiva; un Fai bei sogni della serie) e una vicenda biografica che tocca e irrigidisce anche chi scrive. Ma c’è della disumanità in tanta umanità sperperata in occasione del premio e in questi ultimi mesi. Perché, pur di onorarne la memoria, si è andati a scapito del lavoro di altri autori più meritevoli. Abbiamo premiato un libro di dubbio valore calpestando così gli sforzi che si nascondono dietro agli altri libri. Gli sforzi e il dolore di D’Adamo dovrebbero avere la stessa dignità degli sforzi dei suoi “colleghi”. Non di più. Nonostante siano più evidenti, e definitivi, ciò che si nasconde dietro alla scrittura è – se veritiero – non solo studio, ma sacrificio, disciplina e non solo. Invece no, hanno premiato chi doveva essere premiato a scapito di chi poteva. Cioè di chi aveva la potenza, nella propria scrittura, di meritare il premio.