Gian Marco Griffi dovrebbe scrivere sotto pseudonimo, perché potrebbe fare la fine di Salinger, seguito la sera in strada da qualche fan di Holden Caulfield. Ferrovie del Messico è un romanzo che lascerà il segno, diventando non solo un libro citato più e più volte, ma l’oggetto di culto di molti lettori avidi, che avranno già collezionato Gadda, Manganelli e Joyce. Griffi risponde al telefono con una voce calmissima, alla mano, e durante l’intervista parliamo dei suoi fumetti preferiti (la madre glieli ha buttati via tutti, lui avrebbe voluto farli leggere a suo figlio). Non sembra il candidato allo Strega che ci si aspetterebbe, reduce da numerosi premi vinti per quello che è un vero caso editoriale (piccolo editore, Laurana, grande curatore, Giulio Mozzi, grande volume, 824 pagine, perché ne hanno tagliate la metà). E infatti non lo è, tanto che l'esclusione del suo libro dalla cinquina finalista non è passata inosservata. Lui stesso è intervenuto: “E così gli amici della domenica hanno fatto fuori lo scrittore del lunedì. Ferrovie del Messico ha preso più voti dalle biblioteche, dai gruppi di lettura, dalle librerie indipendenti e dagli istituti di cultura italiana all’estero - che in tutto sono 260 e rotti - che da tutti gli amici della domenica/nemici del lunedì - che sono 400 -. Abbandoniamo polemiche e dietrologie: questo dato significa che alle biblioteche, ai gruppi di lettura, agli istituti di cultura italiana all’estero e alle librerie indipendenti Ferrovie del Messico è piaciuto molto più che agli amici della domenica/nemici del lunedì, ai quali è piaciuto poco poco (solo 68 amici della domenica su 400 lo hanno votato), e bon. È stato un po’ divertente e un po’ no”. Ironia e spontaneità, di cui ti accorgi anche parlando al telefono. Ti dà del tu perché vuole che tu gli dia del tu, e parla del suo libro come di una grande avventura personale, divertente, curiosa, complessa. “I libri questo devono fare”. Ferrovie del Messico è un’Odissea in bottiglia, un concentrato (temporale, meno dal punto di vista dello spazio) di “vicende” che potrebbe essere diviso a puntate, meglio di una serie, televisiva o a fumetti che sia. Un romanzo che guarda alla tradizione ma con il gusto moderno (e modernista) di chi non ama il facile enciclopedismo.
Griffi ha scritto altro in precedenza, ma nulla che abbia portato – stranamente, dice – a tanto successo. Un successo in aperta rottura con la moda. La moda di parlare solo di politica, o di parlare molto molto poco (solo di politica). Libri stitici che fanno ideologia e poca letteratura, alternati a libri sbrodoloni fatti di banalità e contraddizioni. Ma la letteratura? La storia? La lingua? Ferrovie del Messico è la famosa oasi nel deserto per chiunque abbia finito tutti i grandi classici in lingua inglese e abbia voglia di godersi un romanzo fatto di intrecci e personaggi, come da tradizione italiana, con uno stile intricato, bizzarro, colto ma mai didascalico.
La prima domanda che voglio farti è quella che si son posti tutti: perché Ferrovie del Messico è così lungo?
Perché secondo me la storia che volevo raccontare, come la volevo raccontare, richiedeva tutta una serie di ramificazioni e di altre storie che si intrecciassero. E per questo è venuto fuori un romanzo lungo. Credimi, non ci ho pensato subito. Nel senso che Ferrovie del Messico avrebbe potuto avere molte più pagine e Cesco Magetti molte più vicende, anche solo in quella settimana in cui si svolge. Perché poi io mi sono tagliato da solo, anche perché stava diventando una cosa impossibile da gestire, anche a livello di grafico. Pensa che nella mia mente c'era tutta una seconda parte che sarebbe stata ambientata un po’ in giro per il mondo, soprattutto in Messico e nella città di Santa Brigida della Ciénaga. Quindi la domanda sarebbe perché è così corto.
È vero che all’inizio erano quasi 2000 pagine?
Qualcosa del genere, nella prima stesura (che era quasi un brogliaccio). C’era tutta una seconda parte di 450 pagine, ma anche in quello che oggi è Ferrovie c’erano molti più episodi che ho tolto successivamente. Anche per motivi puramente editoriali.
Il libro è anche un buon prodotto editoriale. A proposito di questo, quando ho letto la storia, pensando al rapporto tra te e Giulio Mozzi, il tuo editor, mi è venuto in mente un po' Thomas Wolfe, il suo Angelo guarda al passato.
Pensa che l’ho riletto poco prima di avere l'idea di Ferrovie. Cioè, proprio l'idea mi è venuta mentre mi è venuta mentre leggevo una biografia di Proust perché Ferrovie del Messico è un titolo azionario e Proust investiva in borsa. Comunque Angelo, guarda il passato è stato un romanzo che ho molto amato e che stavo leggendo e rileggendo in quel periodo e sicuramente qualcosina mi è rimasto. Perché poi di tutto quello che leggo mi porto dentro qualcosa, no? Perché si impara a scrivere leggendo.
E il tuo rapporto con Mozzi è un po’ quello di Thomas Wolfe con Perkins?
L’ultima volta che ci siamo visti a un Festival a Ferrara ho scoperto che quando glielo mandai la prima volta che lui è rimasto sveglio e leggerlo fino alle 6 di mattina per finirlo. Quindi lui ha creduto sicuramente in questo romanzo e ci abbiamo lavorato tanto insieme. Però il suo modo di lavorare è totalmente indolore dal punto di vista della scrittura, perché lui non ti dice cosa fare. Al limite ti dice: “Questa cosa non funziona. Questa parola non funziona”. Però ti porta allo sfinimento per i particolari, quello sì.
In che modo?
Perché poi ti fa controllare tutto. Siamo andati a controllare le fasi lunari del febbraio dell’anno in cui è ambientata la storia. Delle robe folli, no?
Forse Thomas Wolfe è più epico e meno autoironico di te, però. Un altro riferimento, leggendo di Cesco, è Leopold Bloom, dell’Ulisse di Joyce. Il mal di denti di Cesco è come la rasatura della barba di Bloom?
L’Ulisse è una delle mie opere preferite. È il libro più importante per me, anche perché un “pasticcio” del quotidiano, una tragicommedia quasi picaresca. Però sul mal di denti direi di no, almeno non coscientemente. Però mentre scrivevo Ferrovie è proprio l’Ulisse il modello a cui pensavo. Ci sono dei riferimenti nel libro. Per esempio Bloom porta una patata in tasca. Cesco si porta dietro una castagna invece, che poi si lega a una credenza che mi raccontava mia nonna. Diceva che la castagna in tasca faceva passare il raffreddore. E Cesco ci prova per il suo mal di denti. Mi piace l’epica, il classicismo, ma anche tradotto come fa Joyce, in modo modernista (non postmodernista).
C’è chi ha parlato di Ferrovie come di un romanzo mondo?
Ma guarda, romanzo mondo è una definizione che mi piace molto di più di romanzo postmoderno, perché il mio non lo è. Non volevo neanche scrivere un romanzo enciclopedico. Semmai volevo scrivere la parodia di un romanzo enciclopedico. Quando Cesco s'innamora di Tilde, s'innamora follemente di Tilde. Io voglio dirti esattamente quello che poi potrà essere una parodia,ma non una parodia postmoderna. Al limite è uno stile modernista à la Eliot, perché prima di tutto sono un amante de La terra desolata e dei Quattro quartetti.
Perché hai scelto l’epoca fascista?
Io sono appassionato di storia. E quel periodo mi interessa moltissimo, anche per motivi familiari perché comunque tutti noi in quella zona abbiamo avuto un nonno che ha partecipato alla guerra civile, perché di fatto fu una guerra civile. Poi mi interessava anche perché si prestava molto bene a questa vorticosità, a questa confusione che io in qualche misura volevo provare a mettere dentro con il linguaggio e con i vari registri narrativi per cercare di ordinarla, per quanto possibile alla scrittura.
Ordinare un qualcosa che è disordinato. Un groviglio, come diceva Gadda.
Esatto, ordinare il periodo storico per me diventava importante. E fondamentale trovare un periodo storico giusto. E il periodo storico perfetto era quello, perché c'è stata anche una grandissima confusione e le cose si sviluppavano nel caos. La Repubblica Sociale Italiana, come il mal di denti di Cesco, è nata praticamente già un po’ sfasciata, no? Già corrotta.
La scelta ha motivi politici?
No, non m'interessava metterci dentro tutto il discorso della guerra partigiana, anche se poi c’entra perché ovviamente era la quotidianità di tutti e viene fuori per forza. Io volevo scrive un romanzo d'avventura, questa era la mia idea.
Come ti senti ad aver scritto un romanzo ambientato in epoca fascista ma che non è eminentemente politico, cioè, a dispetto di molti altri che vanno di moda che e si concentrano soprattutto sui messaggi ideologici? La destinazione del tuo romanzo è eminentemente letteraria.
Sicuramente anche il mio è un romanzo antimilitarista e io sono antifascista, perché l’antifascismo è stare dalla parte dei deboli degli oppressi. Però non mi interessava buttarla in politica, né tantomeno buttarla sulla politica attuale, anche perché oggi sembra che essere antifascisti voglia dire essere comunisti, cosa falsissima. Perché la nostra storia insegna che l'antifascismo non dipende dalla parte preferita del parlamento ma dipende semplicemente dalla propria coscienza. Essere antifascisti dovrebbe essere un dovere di tutti, di destra e di sinistra, nel senso più nobile del termine antifascismo. Se poi vogliamo buttarla in caciara, come spesso sento fare allora il romanzo non vuole avere niente a che fare con questi discorsi.
Il tuo romanzo punta molto sulla lingua. Ha una tessitura stilistica molto particolare.
Questa è stata la vera scommessa, cercare di intrecciare stili non soltanto nei diversi capitoli, ma anche in una stessa frase, magari talvolta nello stesso periodo. Questa stratificazione linguistica è un'operazione che di cui mi sono innamorato leggendo romanzi, come Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo.
Come si fa?
Ti metti lì, fai tentativi e tentativi, deve divertirti. Poi bisogna farsi un po’ il culo, nel senso che prendi la frase, la ceselli, la ricostruisci, la giri anche perché ovviamente, come dicevi tu, essendoci diversi registri diventa importante che questi si parlino l'uno con l'altro, perché alla fine il lettore deve provare piacere in quello che legge. Deve arrivare come se tu l'avessi scritto così, appena sveglio mentre bevevi il caffè.
Ti riconosceresti in questa frase? È come se Gadda avesse scritto una trama di Calvino.
È una cosa molto molto bella. Sono lusingato più che altro. Certo che sì. Io provo a dare degli input, se il lettore unisce i punti così arrossisco.
Pubblicare un libro significa gettarlo nel mercato. Quanto è difficile nella fase di revisione, resistere alla tentazione di avvicinare il proprio registro a quello della maggior parte dei libri in vendita?
Non è stato difficile perché non l’ho scritto pensando a questo e non l’ho corretto immaginando che dovesse vendere. Vengo da una raccolta di racconti che aveva venduto 148 copie, non mi interessa e non immaginavo che avrei venduto. Ma la domanda è bella. Dovresti rifarmela per il mio prossimo romanzo.
Tilde e Cesco non sono gli unici due protagonisti della storia d’amore. Si crea una sorta di triangolo tra lei, l’oggetto del contendere, lui, la persona normale, e un partigiano. C’è dell’Ariosto nel tuo Ferrovie?
Assolutamente sì. Non è l’unico punto. Noi abbiamo una grandissima tradizione del fantastico che abbiamo completamente dismesso. E pensate che l'opera che fonda la lingua italiana, la Divina Commedia, è sostanzialmente un'opera di fantasia.
Se dovessi consigliare un libro italiano che hai letto di recente?
Di recente ho letto solo Innamorato di Marco Drago, perché ultimamente sto tentando di leggermi tutto Thomas Bernard. Comunque Innamorato, sì. È un libro per gli appassionati di amore e anche degli anni 80.
Invece una serie TVV?
La mia serie preferita è True Detective, la prima stagione, quella con Rust. Film, invece, direi Ritorno al futuro e la Trilogia del dollaro di Sergio Leone. Poi mi piace molto Quentin Tarantino.
Puoi consigliare un libro a Giorgia Meloni, quale?
Ferrovie del Messico... Scherzo. Le consiglierei Omaggio alla Catalogna di George Orwell.
Non hai mai vinto premi, hai detto, ma ora ne stai collezionando una serie imbarazzante. Che effetto fa?
Sono contento. In particolare lo Strega dà modo a un libro di girare. Non aumenta il valore di un’opera e non è un’etichetta di qualità, però molte persone mi hanno scritto dopo aver letto il mio romanzo proprio perché nella dozzina finalista. Siamo una bolla talmente piccola che alla fine, quando riusciamo in qualche modo a parlare dei nostri libri, dovremmo solo esserne contenti.
Dei dodici libri arrivati quasi in finale allo Strega, escluso il tuo, quale hai apprezzato di più?
Come ti ho detto sono impegnato con Bernhard, purtroppo non ho letto nessuno degli altri libri. Quella con Bernhard è un’avventura. Recupererò, promesso.