Lorenza Spampinato riesce a tenere insieme temi di rilevanza e sociale e buona scrittura, con delle punte poetiche spesso rifuggite da molti altri giovani autori. Così, Piccole cose legate al peccato (Feltrinelli 2023), è un romanzo che non mortifica la letteratura, usandola come strumento per parlare di altro (tendenzialmente con un linguaggio annacquato). Abbiamo intervistato l’autrice ma non ci siamo fermati al libro. Cosa pensa del linguaggio inclusivo un’autrice tanto attenta alla musicalità? E di Elly Schlein? E di Giorgia Meloni prima donna Presidente del Consiglio? E consiglia dei libri alle politiche più discusse di questi mesi.
Come nasce l’idea di questo libro?
L’idea nasce da un’immagine legata a un fatto di cronaca degli anni 90, del 1996 in particolare, in cui ai Giardini Naxos (paese in provincia di Taormina) una ragazza tenta di suicidarsi buttandosi da una scogliera. All’origine del libro c’è quest’idea che le ragazze negli anni 90 potessero decidere di cadere. Quindi il libro nasce dall’idea della caduta.
Oggi le ragazze rischiano di cadere meno di 30 anni fa?
Mah, in realtà no. È un po’ l’idea del pozzo di Natalia Ginzburg. Alle donne capita di cadere in un pozzo, che è una metafora grandissima sia di un’inquietudine superiore che appartiene alle donne da tempo, che di qualcosa che viene scavato nel mondo in cui le donne a un certo punto vengono gettate. Però nell’adolescenza noi crediamo che quei posti siano scavati spesso dalle madri, che siano scavati da altre donne, dalle nostre coetanee, per cui si accendono anche tutte quelle dinamiche che arrivano alla gelosia, alla rivalità. Poi, crescendo, scopriamo invece che questi pozzi non vengono scavati né dai nostri coetanei né dalle nostre madri e che invece siamo tutte vittime di un sistema spietato e nemico alle donne. Scoprire tutto questo è una librazione, perché tutta la generazione degli anni ‘90 ha scoperto la sorellanza molto tardi. Poi con l’idea di sorellanza siamo arrivati a parlare anche del perdono delle madri, delle altre donne che abbiamo ingiustamente accusato della nostra infelicità.
Una delle tre protagoniste, Enza, ha paura non tanto della madre quanto di voler discutere con la madre.
Forse ha paura di somigliarle, di diventare come lei. Questa è una paura che apparteneva a molte di noi in quegli anni; infatti, il conflitto con la madre nasceva proprio da questo terrore di dover accostarsi a una figura con cui entravamo in conflitto appena entrati nella fase dell’adolescenza. La madre ci appare come quella persona che ci ha assegnato un sistema di credenze e regole che poi buttiamo per poter scoprire, tramite il conflitto, la nostra identità. Per Enza quindi è un’incoerenza. In realtà il motivo per cui molte della mia generazione trovavano questo conflitto con la madre, era non capire che le madri esistessero nel nostro stesso sistema di affossamento del genere femminile.
Si potrebbe dire che le tre protagoniste – Enza, Annina e Bruna – siano sfaccettature di un’unica grande figura femminile?
Sono molto diverse. Raccontano con molta diversità come eravamo noi da ragazze. La più sfaccettata, la più guerresca, la più riservata e quindi più timida. Si cambiava anche a seconda del luogo in cui ci si trovava, magari poi le più audaci e sfacciate in realtà in famiglia erano molto riservate. Quindi sicuramente sono sfumature caratteriali che tutte conosciamo molto bene.
Il titolo come ti è venuto in mente?
Il peccato è innanzitutto il superare le regole, bucare il muro dei “non si fa”. Ha un valore altissimo perché ci separa da chi ci ha trasmesso le regole mentre dall’altra parte ci avvicina alla nuova comunità elettiva che sono gli amici.
C’è qualcosa di nuovo nel voler trattare questi temi non in diretta contrapposizione con l’uomo ma alla scoperta di un’alleanza con le donne?
La novità di questa narrativa, che parla anche di sorellanza, è il fatto che i personaggi femminili intrattengano relazioni tra loro senza essere satelliti di discorsi maschili. Sono ragazze che si guardano tra loro senza chiedere il consenso ai maschi. Il mio è un tentativo di riscrivere Le vergini suicide, però senza lo sguardo maschile.
Un tempo il sesso era importante per l’emancipazione femminile. Oggi il paradigma per le femministe sembra si sia invertito. Le tue protagoniste come affrontano questi temi?
Negli anni ‘90 in Sicilia tutto quello che riguardava il sesso era un grande tabù. In questo libro emerge molto il desiderio e l’idea che il corpo sia lo strumento che questi adolescenti hanno per confrontarsi con l’esterno e quindi da un lato lo usano, ma hanno anche timore ad usarlo. Però c’è questo grandissimo desiderio resta e li guida oltre quelli che loro pensano essere i confini.
La tua scrittura è in controtendenza con quella di molti giovani autori. Loro sono molto asciutti, tu molto poetica. Ma come si fa a scrivere in questo modo di temi così accessi come l’adolescenza, la scoperta del desiderio e il conflitto?
Dipende un po’ da come nascono le immagini nella mia testa. Io credo che nella mia idea di scrittura ci sia quello che ricerco. È la capacità di tirare via la vita dalla morte. Questo cosa vuol dire? Che quando vado a scrivere cerco di rovistare tra le cose che non ci sono più, quindi tra le parole del passato, le cose che ho vissuto, le cose che mi hanno raccontato e letto. So che questo libro non è innovativo. Ma sono dell’idea che sia tutto già raccontato. Per me nella letteratura hanno più peso le parole incandescenti rispetto alle trame veramente. A me non interessa la novità a tutti i costi. È attraverso la lingua che possiamo arrivare realmente alla conoscenza. La lingua è anche uno strumento politico.
Come vedi tutte le battaglie sul linguaggio inclusivo? Asterischi, schwa, u…
Io sono chiaramente a favore del linguaggio inclusivo perché il linguaggio permette di conoscere il mondo e di rappresentarlo, e quindi ci permette di immaginare meglio, ecco. E quindi sono a favore dell’idea che i nomi si debbano declinare anche al femminile. Quanto alla schwa, io comprendo il valore della battaglia ma devo dire che a livello grafico per me è un impaccio nella lettura. Quindi ho una difficoltà reale a confrontarmi con i testi in cui ci sono molti ostacoli grafici all’interno. Ma sono pure contro i più maiuscoli, per dire. Però capisco che la nostra è una lingua che ha dei limiti, dei limiti che poi vanno a riversarsi nel modo in cui poi viene rappresentato il mondo. Quindi a questo punto mi dico: forse è meglio leggere più lentamente ma permettere ad un testo di rappresentare veramente e di raccontare una storia diversa. Penso che queste battaglie intorno al linguaggio servano. Se nel linguaggio ho e riporto un pregiudizio allora non si va avanti.
Però nel tuo libro scrivi spesso “tutti” e non “tutte e tutti”...
È vero, per un’esigenza di orecchio.
Quanto influisce la società nella visione di un’autrice?
Ho una mia idea precisa su ogni cosa, però non credo che non sempre la mia opinione possa contare all’interno di una battaglia. Certe volte preferisco stare un passo indietro e ascoltare chi ha realmente qualcosa da dire. Oggi c’è questa grandissima esposizione anche di scrittori che una volta stavano veramente dietro al proprio quadernino e quello che avevano da dire lo mettevano nei libri. Io vorrei stare nella mia stanzetta a scrivere.
Non credi che però ci sia anche un po’ di “ipocrisia” dal momento che l’esposizione sia quasi sempre a favore di telecamera solo con i giusti argomenti? Perché poi quando qualcuno si espone con idee più controverse lo sbranano. Penso alla Rowling.
Facciamo sempre molta fatica a distinguere l’opera dal personaggio culto poi hanno delle idee che possono essere diverse dalle nostre. Possono anche andare in contrasto con il buon senso. E quindi qui ci sarebbe da dividere. Cioè la risposta non avrebbe essere “non leggo più la Rulin” perché pur essendo contrariata l’opera rimane quella.
Domanda secca: secondo te attualmente in Italia ci sono più scrittori bravi o scrittrici brave?
Secondo me scrittrici.
Chi vorresti che io intervistassi dopo di te?
Te ne dico una che ha la mia età, vive pure nella mia città, e che è tra le più brave: Viola Di Grado.
C’è qualcuno che invece ruba spazio ai veri scrittori e vere scrittrici in Italia?
No no questo non te lo dirò mai.
Le due politiche più discusse oggi sono Giorgia Meloni e Elly Schlein. Hai letto l’intervista alla Meloni uscita per grazia l’8 Marzo sulle donne?
No, non l’ho letta.
Elly Schlein ultimamente è un po’ la star di questi giorni anche perché particolarmente bersagliata. Secondo te perché?
È bersagliata perché occupa uno spazio che altri non vorrebbero che lei occupasse. Lei questo spazio se l’è preso con le parole che dice, con le battaglie che porta avanti. In Italia sembra assurdo dirlo ma sono battaglie nuove. Parlare di inclusività oggi in Italia è un argomento nuovo. La politica fa quello che fa anche la letteratura: porta delle storie sul piatto e quelle storie hanno potere e hanno valore proprio per il loro effetto trasformativo perché permettono di immaginare un cambiamento.
A proposito di storie. La Meloni è diventata la prima donna presidente…
È lo ha fatto seguendo quelle regole lì, cioè quelle regole che permettono a una donna di stare lì proprio perché asseconda quel sistema patriarcale. Il fatto che Giorgia Meloni sia lì non è un traguardo femminista, perché lei sta lì non a favore delle donne, ma per garantire che il sistema patriarcale funzioni come ha sempre funzionato.
Non basta essere donne, insomma.
Esatto. Se sei donna e non vai favore delle altre donne, è come se fossi un uomo.
La storia di Elly Schlein è compeltamente diversa. Famiglia benestante, cosmopolita, esperienze all’estero. Non porta sul tavolo una storia, per così dire, più comoda rispetto a quella della Meloni?
È una storia sicuramente più comoda però non cambia il valore delle parole che animano quella storia. Questo non cambia il fatto che lei abbia avuto una giovinezza privilegiata. Ma non incide molto.
Se dovessi consigliare un libro a Elly Schlein quale sarebbe?
Consiglierei Annie Ernaux, Gli anni.
E a Giorgia Meloni?
Oddio. A Giorgia Meloni Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé. Magari ci si chiude...
Abbiamo vissuto la pandemia, ora c’è la guerra in Ucraina. Come si è parlato di donne di fronte a catastrofi del genere?
Intanto ne hanno parlato le donne stesse. Ho ascoltato e letto molte storie di donne che hanno vissuto la pandemia, soprattutto grazie ai social. C’è stata anche una sorta di nuovo metoo durante la pandemia, perché molte donne si sono trovate a casa perché per prime sono state costrette a rinunciare al lavoro. Le donne stanno alzando la voce. Una voce molto bella, e secondo me anche questo viene tanto dalla letteratura. La voce è il primo strumento che permette alle ragazze poi donne di segnare la loro presenza nel mondo. Raccontano le cose che hanno subito, l’oppressone che ancora c’è in molti ambiti.
Ultima domanda. Secondo te le donne in Italia sono più Annine, Enze o più Brune?
Devo dire che c’è un bel mix ma devo dire che la cosa bella è che si supportano a vicenda, finalmente.