Due temi stanno facendo molto discutere in Italia: quello degli abusi in ambito sportivo e quello nello star system. Il caso della ginnastica ritmica e di #apriamolestanzedibarbablu sono solo due esempi, i più recenti, di qualcosa che sembra strutturale e ha a che fare con ambiguità e rapporti tossici, alimentati con la promessa del successo. Ne abbiamo parlato con la scrittrice Chiara Barzini, autrice del bestseller Terremoto (Mondadori, 2017) e coautrice insieme a Ilaria Bernardini, Ludovica Rampoldi e Giordana Mari di Corpo libero, la graphic novel con i disegni di Gulia Rosa, uscita quest’anno per Hop! e tratta dall’omonima serie. Muovendoci tra la finzione del libro e gli scandali dell’attualità, a cavallo tra America e Italia, Chiara Barzini ci spiega come si possano sviluppare dei rapporti di dipendenza e di simbiosi tanto complessi e che pericolo si nasconda dietro a una crescita forzata e troppo rapida, in funzione di obiettivi sportivi e spesso a scapito della vita affettiva. Ma non solo. Allargando il tema, si arriva a parlare di consapevolezza e di un cambiamento storico nell’aria, come dimostrato il MeToo e il nascente movimento italiano.
In Corpo libero emerge fin da subito il rapporto complesso tra famiglia e tossicità, tra le atlete. Che tipo di legame si crea tra delle adolescenti in una squadra di ginnastica artistica?
Le compagne di squadra diventano quasi immediatamente sostitute della famiglia. Sorelle, ma anche – come nei casi dei rapporti fraterni – in competizione, e in cui è presente anche un’intimità forzata, per cui sai tutto di loro, come respirano e quanto mangiano, di cosa hanno paura e cosa pensano. È un rapporto simbiotico. Dato che passano la maggior parte del loro tempo chiuse in una palestra con i loro coach, anche quello diventa a sua volta un rapporto familiare. C’è un rapporto di fiducia senza limiti, per cui non si riesce a immaginare che gli adulti possano fare errori, o farti del male tantomeno.
Come avete sviluppato questa ambiguità di fondo tra famiglia e tensione?
Un po’ è l’età in cui questo tipo di rapporti nasce. Soprattutto tra donne, l’amicizia diventa simbolica, sostitutiva. La tensione che si respira è data dal fatto che comunque la palestra e l’arena della ginnastica artistica esasperano tutto quello che normalmente avrebbe luogo nel corpo e nella testa di una ragazzina. Perché è tutto quello che già hai, con cui tu arrivi in dono nell’adolescenza, più amplificato dal fatto che sotto pressione hai delle regole e degli orari molto ristretti. Abbiano cavalcato l’idea di rapporti che non sono di amicizia ma di ultra-amicizia, non sono di gelosia ma di ultra-gelosia. Tutto è spinto al limite, dalla resistenza al dolore. Hanno come dei superpoteri, queste ragazzine, e noi volevamo viverle con tutti i loro superpoteri, non soltanto quelli della forza e della competizione, ma anche quelli più oscuri. Perché di certo a quell’età non hai la centratura per intraprendere delle scelte sempre sagge.
L’escamotage che avete trovato per portare all’estremo il tema dell’abuso e della tossicità è quello dell’omicidio. Come nasce l’idea?
L’omicidio era già presente nel primo libro di Ilaria, Corpo libero, da cui poi è tratta la serie e, successivamente, la nostra graphic novel. Nel romanzo l’omicidio è collegato con la competizione e con una dinamica che ha a che fare soltanto con le ragazze, mentre in questo caso volevamo coinvolgere anche gli adulti.
Il coach e il medico sportivo sono gli unici “grandi” all’interno della “famiglia” delle atlete. Cosa c’è tra loro e le ragazze?
Un rapporto di dipendenza. È molto facile vivere una sorta di sindrome di Stoccolma. Pensiamo agli abusi e a quanto tempo ci vuole prima di sentire di avere l’autorevolezza di chiamarli mali e per fare le denunce che ci sono state. In qualche modo vivi in una bolla in cui subisci il lavaggio del cervello. Tutti i parametri cambiano e diventa sempre più difficile rapportarsi a quello che c’è fuori, nel mondo reale. C’è tutto, un proprio modo di scherzare, un proprio modo di parlare, un lessico familiare.
In questo lessico “parallelo” e familiare di cui parli, che posto ha la verità in questo tipo di relazioni?
Tra le compagne la verità c’è anche al di là della loro volontà. I personaggi sono talmente legati che la verità emerge anche quando cerchi di nasconderla. Tutte sanno che Nadia è ossessionata da Carla, che Benedetta trafuga i panini prima di andare a dormire e così via. Lo sanno non solo perché si conosco, ma perché c’è un modo di conoscere collettivo, quasi una forma di telepatia. In qualche modo avviene anche con gli adulti. Ognuna di loro sta cominciando a farsi delle domande, chi più e chi meno. Martina, la nostra protagonista, ha più ragione rispetto alle altre per voler cercare la verità, ma è come se quella verità scorresse sottotraccia per tutte quante loro.
Carla chiede alla madre di riportarla a casa, mentre piange. Ma la madre sembra indifferente verso il dolore della figlia. Che ruolo hanno le famiglie nello sviluppo di quel mondo parallelo che si crea per queste ragazze?
Nel personaggio di Carla volevamo raccontare un archetipo che si replica, quello della madre che spinge la figlia a fare sempre di più e meglio di quanto non abbia fatto lei. Ci interessava vedere come la caposquadra, la forte del gruppo, fosse a sua volta vulnerabile, soprattutto in un momento della vita come quello della primissima post-infanzia. Sono bambine e hanno reazioni da bambine. In qualche modo, per portare a casa i risultati, viene soppressa una vita emotiva.
Nel solco di questa assenza affettiva, che posto ha la sessualità?
La sessualità è da articolare rispetto alla tematica della simbiosi. C’è un riconoscersi l’una nell’altra e quindi avere un riferimento di femminilità, come a cercare una bussola per una forma ancora accennata di sessualità. Una seconda bussola è poi quella del gruppo che percepisce la sessualità e la sensualità che è fuori. E quindi ogni personaggio per loro viene scandagliato con questi filtri. Poi c’è anche la sessualità di Martina che invece è leggiadra e curiosa, pura.
Queste ragazze sono costrette a crescere più in fretta…
Sì, crescono purtroppo in modo spropositato. La crescita è il tema portante della graphic novel e della serie. È possibile dosare quanto crescere? Per loro no, e diventano più grandi di quanto avrebbero mai immaginato.
Dal libro passiamo all’attualità. A ottobre scorso è scoppiato il caso degli abusi nel mondo della ginnastica. Si parla di lassativi, abusi e punizioni fisiche. Perché si adotta un atteggiamento tanto militaresco e vessatorio su delle ragazzine?
Ha a che fare con una richiesta d iper-performatività e di controllo sul corpo, sulla performance, sulla mente. Il ruolo dei coach ha preso una piega assolutamente sinistra che era nell’aria da tanto tempo e che poi ha debordato.
Com’è possibile che le persone che avrebbero dovuto proteggerle non si siano posti dei freni?
C’è un sistema di omertà che è collegato con una promessa di performatività che porta le atlete a fidarsi dei metodi che vengono proposti, magari con la garanzia di arrivare al successo. Quello che emerge è la volontà di chiudere un occhio a favore di un obiettivo sportivo da raggiungere. Oltre a questo c’è il fatto che molti genitori passano meno tempo con i figli di quanto ne passino gli adulti che girano intorno alla squadra. C’è quasi un delegare, che crea ambiguità e toglie reti di sicurezza esterne.
La Federazione Ginnastica d’Italia ha scelto di sospendere Emanuela Maccarani come direttrice della Nazionale, ma non come allenatrice, almeno in vista delle Olimpiadi del 2024. Ti sembra una scelta sensata?
No. Tra l’altro mi ha sorpreso. Lei è stata accusata moto recentemente e mi sembra abbastanza incredibile la rapidità con cui si sia arrivati a una decisione in virtù di queste accuse.
Quelli nella ginnastica non sono gli unici abusi di cui si parla in questo periodo in Italia. Sta nascendo una sorta di MeToo italiano, a partire dall’hashtag “#apriamolestanzedibarbablù”. Ha analogie con il MeToo americano?
Credo sia pericoloso dire che esistano un MeToo italiano e uno americano. Ogni Paese in questo momento sta facendo i conti con i propri scheletri nell’armadio, le proprie stanze di Barbablù. Non mi sembra corretto far riferimento a un movimento nato in un altro luogo, perché temo che questo andrebbe a screditare quello che stanno facendo le persone. Non è una moda arrivata in Italia, ma qualcosa che sta emergendo qui. Poi è chiaro che siamo in un momento storico in cui c’è molta più consapevolezza in tutto il mondo.
Alcuni trovano eccessivo il riferimento a Barbablù, il personaggio che uccideva le sue mogli. Le attrici che hanno lanciato l’hashtag hanno esagerato?
È una polemica sterile. Non penso che usare come metafora un personaggio delle favole impatti negativamente su quanto di drammatico sta realmente accadendo.
I media italiani come raccontano le storie di abusi (nel mondo sportivo e nello star system)? E quale differenza ci vedi con il modo di raccontarle dei media americani? Chi potrebbe imparare da chi?
Non so quale sia la differenza dei media italiani rispetto a quelli americani anche perché ormai non mi sembra che ci sia un grandissimo divario. Le notizie vengono raccolte spesso anche dai social media e ri-raccontate in tempo reale direttamente dalle fonti. MeToo è un hashtag nato sulle piattaforme social e quindi in un luogo senza frontiere. Non credo che ci sia un Paese che detiene una sovranità morale sulla diffusione di storie di abusi, che siano del mondo dello spettacolo o in quello dello sport e penso che l’aspetto interessante di questo momento storico sia proprio collegato all’assenza di filtri geografici e mediatici. Quando la serie di Corpo Libero è uscita e per una sorta di congiunzione astrale e karmica le atlete della ginnastica hanno cominciato a fare emergere e denunciare maltrattamenti, abusi e umiliazioni, abbiamo seguito lo svelamento in tempo reale, spesso mandandoci link di TikTok e Instagram tra di noi, incluse testimonianze raccolte in tempo reale sui Live. Parlare di nazionalità sembra quasi superfluo adesso.