Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. Nel cosiddetto caso Farfalle di Desio, se guardato al microscopio, ne traspare qualcuno che ha a che fare con le modalità di comunicazione a cui certo giornalismo ci ha fin troppo abituati. I fatti sono noti: Nina Corradini, Anna Basta e Giulia Galtarossa, ex ginnaste plurimedagliate della nazionale delle Farfalle, hanno denunciato, sia pur senza fare nomi, una serie di abusi psicologici subiti da parte dello staff azzurro che vanno dalle offese assortite ai digiuni forzati, a cui in queste settimane hanno fatto seguito altre denunce (secondo l’associazione “Change the game” citata da La Repubblica, giornale che ha sollevato il caso, sarebbero 39 le testimonianze firmate e 78 quelle anonime). Un vespaio via via ingigantitosi in proporzioni tali da aver spinto a stretto giro la federazione sportiva a commissariare d’imperio l’accademia internazionale di ginnastica di Desio. Uno scandalo a tutti gli effetti.
Facendo la radiografia alle uscite sulla stampa e sulle testate televisive e online, si nota tuttavia un primo elemento significativo di tipo, per così dire, linguistico. Si è letto ovunque di “allenatori” o di “responsabili”, al maschile o al più al neutro. Ma stiamo parlando qui di una realtà tutta femminile, al 100% quadrato, un maschio non lo si vede per sbaglio neppure nelle retrovie. Se torture sono state, sono torture di donne su altre donne. Che facciamo, signore amazzoni dello schwa e dell’attribuzione di ogni umana stortura gli uomini brutti e cattivi, il maschile diventa obbligatorio quando non c’entra nulla con vicende da declinare, piaccia o no, al femminile?
Secondo elemento. La direttrice tecnica della Nazionale, Emanuela Maccarani, oggi rivendica di essere “una bella persona, leale e inattaccabile” (e questo nessuno lo mette in dubbio), ma scarica la colpa dell’accaduto su scuola e genitori, su “una società che ha perso il controllo di quello che è l’educazione, il senso civico, la responsabilità genitoriale”, definendo le accuse come il parto di “quanto di peggio può uscire dall’indole umana”. In sostanza, le ragazze sarebbero “vittime di abusi di alcuni adulti o comunque persone” vicine a loro. Ora, posto che si è tutti in attesa delle decisioni della giustizia federale che la ascolterà venerdì 18 novembre, della Maccarani si possono ricordare alcune affermazioni passate in cui sfoggiava un atteggiamento da “donna sola al comando”, addirittura da “Mourinho della ginnastica ritmica” (definizione che la lusingava). Ai tempi di queste dichiarazioni - correva l’anno 2014 - la Maccarani sottolineava che doveva allenare squadre composte da adolescenti e post-adolescenti “ancora più difficili da gestire”. Un “prosciugamento di energie non indifferente”, rimarcava. Due anni dopo, nel 2016, sbarcava nelle librerie con un libro autobiografico, intitolato “Questa squadra. La ginnastica ritmica, la mia vita”, in cui naturalmente non mancano i racconti sui rapporti con le atlete, con la loro psicologia e con le loro difficoltà. Possibile che adesso, da esperta nelle relazioni con le giovani sportive, tutta questa competenza la induca a buttare la palla sic et simpliciter sull’universo esterno, ovvero sulla società come sempre astrattamente colpevole di non formare a dovere? E soprattutto, è mai possibile che nessun giornale si sia preso la briga di fare giusto un po’ di radiografia attraverso una veloce googlata?
Infine, per l’infinita serie delle coincidenze, ecco che a metà ottobre, poco prima che scoppiasse il casino, si annunciava una serie televisiva firmata Paramount proprio sulle pressioni psicofisiche ai danni delle atlete di ginnastica ritmica, dalle quali, in pratica, si pretende la perfezione. La fiction, tratta dal romanzo “Corpo libero” di Ilaria Bernardini e diretta da Cosima Spender e Valerio Bonelli (“Sanpa”), è visibile dalla fine del mese scorso in poi. Coincidenze, dicevamo, per carità. Però, lo sapete com’è, alle coincidenze è sempre difficile credere.
Per riassumere: fino a qualche giorno fa, pareva che dietro il caso Farfalle non ci fossero donne, ma i soliti maschi bruti dalle mani irsute. Le responsabili della squadra sembravano quasi ignorate. E questo mentre il tema del duro trattamento, a volte fin troppo duro, che subiscono donne che sono appena uscite, o quasi, dalla condizioni di bambine, risaltava in streaming con apposita serie tv. Poi, bisogna dire, negli ultimi giorni la svolta: sia a Non è l’arena di Massimo Giletti (13 novembre) che su Repubblica e Tg5 di lunedì 14, finalmente le presunte responsabilità sono state declinare al genere corretto, e la Maccarani ha rotto il “silenzio forzatissimo”. Mettiamola così: il diavolo fa le pentole, ma i coperchi non durano.