“Tu che moto hai?”… “una Ducati Monster del 1994”… “ah bene, io una Harley: vuoi provarla?”. Lo conosco così Luca Beatrice, io ero un ragazzino durante il dottorato in filosofia con un casco in finta pelle in mano molto imbarazzato prima di bussare al suo ufficio, lui il Presidente del Circolo dei Lettori di Torino dove avevo appena iniziato a collaborare e in cui una parte del mio cuore è rimasta per sempre. Anni bellissimi, irripetibili, visionari. Idee diverse su quasi tutto, eppure raramente ho trovato una persona così intelligente con cui confrontarmi: rapido, veloce, attento alle questioni del nostro tempo e in grado di spaziare dalla filosofia all’arte contemporanea, al calcio di cui era assoluto amatore, fino ai consigli non richiesti che dava un po’ a tutti su ogni disciplina possibile. Mai, in quegli anni, una minima censura a uno degli incontri organizzati. Quando si fanno i “coccodrilli” per i giornali l’equilibrio da tenere è sottile, si rischia di “pisciare fuori dal vaso” abbastanza rapidamente… ricordo personale e riconoscimento intellettuale, cosa fare? “Ma che davvero”, mi dice una amica al telefono, “vuoi esporti per un uomo che era così legato alla destra?”. Le solite stronzate, avrebbe detto Luca che spesso quando veniva criticato come persona e non come intellettuale mi scriveva (lo cito davvero) “lasciali fare: la libertà è importante sempre. E io sono un tradizionalista”. Ma mentre scrivo, e trovo la forza necessaria per farlo, confesso, sono sconvolto: Luca era giovane, 63 anni, fino a qualche giorno fa mi ha scritto “ti cerco per un bicchiere parliamo di Quadriennale”, durante il periodo peggiore ha scritto di me sostenendo il mio lavoro intellettuale e distinguendolo da tutto il resto, e ho ancora tra le mani il suo ultimo libro Le vite. Un racconto provinciale dell’arte italiana (edito, nel 2023, da Marsilio). Non ero d’accordo quasi su niente, come dicevo a un amico artista proprio due giorni fa, ma che bello poterne parlare.
Esperto come pochi di Andy Warhol, questa sua scomparsa così triste mi riporta alla mente proprio una frase dell’artista americano “la morte non esiste. Io penso sempre che i miei amici scomparsi siano solo andati in vacanza e che presto torneranno”. Luca era un professore (alla Accademia Albertina a Torino), un curatore, uno scrittore prolifico e un giornalista. Da pochissimo era stato nominato Presidente della Quadriennale di Roma e a Torino, insieme a Patrizia Sandretto, aveva presentato un programma onestamente entusiasmante di mostre e di inviti per curatori. Quando lavoravo al Castello di Rivoli - Museo d’Arte Contemporanea, in quel momento diretto da Carolyn Christov-Bagargiev, ricordo che lei mi diceva sempre una cosa che ha ribadito oggi nella chat comune da cui ho appreso della scomparsa, o della “vacanza wharholiana” di Luca: “È un uomo colto. Nonostante le differenze strutturali di opinione non si può non rispettare. Non volergli bene”. Se dovessi ricordarlo con una frase, Luca, direi una cosa che parafrasa una frase che Carmelo Bene diceva spesso di Maradona: “Egli non gioca a calcio, egli è il calcio”. Ecco Luca non curava l’arte, ma la sua vita lo era: fumava tantissimo, aveva tantissimi figli, tantissimi amori, tantissimi impegni, tantissime moto, tantissimi odiatori (che spesso non capivano quando ironizzava e quando era serio, come tutti gli odiatori di professione), tantissimi progetti ancora da realizzare. Nel 2021, nel suo Da che arte stai? 10 lezioni sul contemporaneo, Luca Beatrice ha raccontato dove il contemporaneo sarebbe andato a parare di lì a poco… scomparso senza neanche berci quell’ultimo bicchiere con quell’ultima fumata a Torino, credo sia evidente poter dire senza paura che lascia un vuoto incolmabile nel panorama culturale italiano. Ecco qui, un attimo meno personale… un vuoto che è difficile da colmare per le sue contraddizioni, e non solo per il suo impegno accademico e intellettuale, perché è raro trovare qualcuno in grado di essere così contemporaneamente amato e criticato, discusso e discutibile. Storico dell'arte, critico, curatore e saggista di rara sensibilità, Beatrice ha saputo intrecciare le sue passioni anche personali e più pop con una conoscenza quasi enciclopedica e un'attitudine critica che ne hanno fatto una delle voci più autorevoli nell’Italia artistica del nostro tempo. Un amico comune, Cristiano Seganfreddo, mi scrive in chat poco dopo la notizia della morte di Luca: “Giancarlo Politi mi ha scritto… Gli avevo mandato alcuni appunti per il coccodrillo che avrebbe dovuto utilizzare per me su Libero. Poche settimane fa. E lui aveva riso”.
Il suo approccio alla critica d'arte non era mai convenzionale o superficiale, ma appunto egli rideva: una curiosità infinita, un rigore analitico profondo nei suoi cataloghi e testi critici, una ricerca di quarant’anni che lo ha portato a interrogarsi, esplorare, contestualizzare arrivano a spaziare dall’arte più recente alle biografie di Lucio Dalla o Renato Zero. Contraddizioni, moltitudini, critiche, discussioni infinite… Il suo talento per decifrare le tendenze artistiche del presente, spesso in stretta connessione con la storia dell’arte classica, gli ha permesso di comprendere a fondo i fermenti contemporanei a bordo della sua motocicletta che quel giorno di tanti anni fa mi mostrava soddisfatto eliminando ogni distanza tra un giovane inesperto e il presidente del luogo dove sarei andato a fare esperienza. La sua capacità di leggere il contesto culturale e sociale in cui un'opera nasce era unica, ricordo alcune visite fatte con lui nei musei torinesi: odiavi come ti diceva le cose, ma cazzo se le sapeva raccontare! Ogni sua analisi rappresentava un'occasione per riflettere non solo sull'arte, ma sulla società stessa, sulla vita più pratica, sul perché fosse necessario “complicarsi l’esistenza e riderne sempre”. Luca Beatrice è morto: ha saputo, come pochi, creare ponti tra generazioni, tra stili diversi, e tra il mondo accademico e quello più popolare, mantenendo sempre intatta la sua integrità intellettuale e le sue idee, confesso per me spesso reazionarie, e il suo amore per l'arte, nelle sue molteplici forme. Luca Beatrice non cercava il consenso, e direi che questo è evidente a tutti: inseguiva la verità, una verità diversa dalla mia, ma appunto una verità artistica… lascia un'eredità significativa, fatta di scritti, di esposizioni curate con amore e passione, e di un pensiero critico che continuerà a ispirare le generazioni future. Che la Quadriennale, che da lui era presieduta da così poco, gli dedichi presto una di quelle mostre critiche, piene di critica, piene di gente incazzata e di amici in moto, come a lui sarebbe piaciuta. Non solo un critico, ma anche un pensatore che ha saputo coniugare la sua competenza con un sentimento di straordinaria umanità e consapevolezza: mi ha fatto sentire meno solo, quando tanti… troppi, mi avevano abbandonato. E allora, cara amica mia che mi consigli di non accostare il mio nome a “quello di un uomo di destra” ti dico che Luca Beatrice rimarrà per sempre una figura centrale per chiunque desideri esplorare il mondo dell'arte con serietà, intelligenza e cuore ma anche per chi voglia capire che umanità e intelligenza non hanno colore, non hanno forma di convenienza, ma hanno la sostanza di quel bicchiere di vino che avremmo dovuto bere tra qualche giorno e che berrò anche per lui.