Ne conosco diverse di persone così, convinte che qualsiasi loro idea o pensata sia espressione di un talento e di un’intelligenza fuori dal comune. Sono quelli sicuri di fare e dire cose fighe, sempre e comunque e anche i loro mestieri non li capisci fino in fondo, sono creativi, editorialisti, scrittori prestati al giornalismo e alla comunicazione, li chiamano in tv e nei convegni perché la loro stessa presenza dà lustro e fa la differenza.
Il campione, o la campionessa, di tale tendenza (prima o poi farò l’elenco, davvero trasversale e oltre le appartenenze) è Concita De Gregorio, una donna di successo che incontrai di persona solo una volta, a una cena in un’importante casa torinese per poi trasferirci a teatro dove lei avrebbe presentato Umberto Veronesi, anche se le dava un po’ fastidio misurarsi con un colosso del genere visto che di solito la star è lei. E infatti parlò più lei di lui, che sorrideva sarcastico.
Eppure, nonostante ciò che vuol fare apparire, Concita De Gregorio non è affatto antipatica. Le piace molto, con gli uomini, utilizzare l’arma della doppia seduzione, quella del pensiero e dell’eloquio abbinato alla gradevole presenza. È una donna molto piacevole, sa come piacere, come intrigare e gradisce molto stare al centro dell’attenzione soprattutto se ci sono dei maschi. Il tempo passa per tutti però lei regge bene nel senso che non ha perso questa sua dote da bella “femme savant” (per dirla con Molière). Altro è il suo problema e pure grave: la condanna, autoinflittasi, a dover sempre esprimere un pensiero intelligente perché una come lei minchiate non ne dice mai e tantomeno le pensa. E invece non è così, talvolta a leggerla c’è da supporre che anche lei può farla fuori dal vaso. Fosse vivo il grande Tommaso Labranca, la De Gregorio degli ultimi tempi l’avrebbe inserita di diritto nel suo memorabile “Chaltron Escon”, il saggio dove smascherava le propaggini più estreme del cialtronismo contemporaneo.
Pochi giorni fa sul settimanale femminile de La Repubblica, CDG racconta di essersi accorta, durante un lungo viaggio in treno, che nel suo scompartimento c’erano soltanto donne. A meno che non si fosse trovata sull’Orient Express (probabile, vista la prosopopea), la di solito attenta giornalista avrà confuso lo scompartimento di un tempo, che conteneva massimo sei persone, con una carrozza di oggi che è molto più grande e i nostri vicini possono essere soltanto tre, quindi non proprio un granché a livello di casistica. “Tutte donne, da zero a trent’anni” che parlavano forse in ebraico (e chissà di cosa, visto che lei non lo capisce, magari di sesso, droga e rock and roll o di vestiti). E su su le vola la fantasia, le viene in mente quel racconto (già ma quale, forse il romanzo di Margaret Atwood, sia più precisa la prossima volta) da cui gli uomini sono scomparsi dopo aver assolto il compito, o per lo meno dopo aver contribuito - perché ancora usa così - a generare le creature successive. Ha fantasticato, la CDG, di un paese in cui “gli uomini servono solo a generare altre donne, arrivano e se ne vanno”. Un paese dove lei sarebbe la prima ad annoiarsi, visto quanto le piace sedurre gli uomini con la sua intelligenza, il suo sguardo, la sua prossemica e (perché no) il suo fisico. Certo in questo paese non è che proprio tutte le donne ci possono stare, di sicuro non Giorgia Meloni, ma di questo parleremo un’altra volta semmai…