La mafia elimina brutalmente tutti coloro che non si piegano ai suoi voleri e interessi. A Paolo Giaccone, medico legale molto noto e apprezzato, la mafia pose una domanda che non ammetteva un no come risposta. Eppure, per lui non poteva esserci altra risposta che non fosse un categorico NO, impostogli dalla sua coscienza di uomo e di professionista. Perché, Giaccone lo sapeva benissimo, quella domanda nascondeva al suo interno molto di più. Gli fu chiesto di falsificare i risultati di una perizia dattiloscopica. In precedenza, aveva ricevuto l'incarico di esaminare un'impronta digitale lasciata in un’auto da uno dei killer durante la strage di Bagheria, avvenuta nel dicembre del 1981, in cui vi fu una sparatoria che provocò quattro morti. L’impronta in questione apparteneva a Giuseppe Marchese, boss molto influente a Bagheria, e che costituiva l'unica prova che potesse incastrare gli assassini, e questo ovviamente faceva molta paura a qualcuno. L’unica via, per i colpevoli, era quella di costringere chi di dovere a falsificare i risultati in modo che l’impronta non rappresentasse una prova schiacciante. Paolo Giaccone era un esperto di balistica, ematologia forense, criminologia e tossicologia, dirigeva l’Istituto di medicina legale del Policlinico di Palermo. Non solo, spesso veniva chiamato come consulente in tribunale nei tanti processi di mafia, durante gli anni settanta e ottanta.
Paolo Giaccone restò fermo nella sua posizione, anche quando la domanda si trasformò in una richiesta pressante, intimidazione e infine minaccia. Lui da uomo onesto, retto, non servile ai ricatti, non avrebbe mai potuto dichiarare il falso per avere salva la vita e per evitare che assassini non venissero condannati. Infatti non insabbiò nulla, accertando che l’impronta appartenesse a Giuseppe Marchese, nipote di Filippo Marchese, boss dei corleonesi che fu condannato all'ergastolo. Per questo suo “no” pagò il prezzo più alto: la mattina dell’undici agosto 1982, mentre stava entrando all’Istituto di Medicina legale, fu fermato da due sicari mafiosi che lo uccisero con cinque colpi di pistola. Paolo Giaccone aveva scelto di non piegarsi, di non lasciarsi intimidire dai ricatti e dalle minacce. Preferì restare onesto e pulito, pagando questa scelta con la vita. Oggi il Policlinico di Palermo è intitolato a lui, con il nome di uno dei tantissimi “eroi normali” caduti nella terribile e ingloriosa guerra contro la mafia, che continua incessante a mietere vittime tra le tante persone per bene che si rifiutano di scendere a compromessi con la criminalità.