Al Circolo dei lettori di Torino James Ellroy presenta Perfidia, Einaudi, il suo ultimo libro: 23 giorni, 900 pagine. Corruzione, opportunità, fatalità, i tre elementi intorno ai quali si muovono i personaggi. Nessuno dorme, tutti deperiscono, scopano, lottano, nessuno si salva, nessuno è innocente. Puro stile Ellroy. Perfidia è il primo di quattro romanzi, che saranno i prequel degli altri che ha già pubblicato. Alla fine di tutto avrà scritto 11 opere che racconteranno la controstoria americana dal 1941 agli anni Settanta, il dietro le quinte, il lato B. Ovvero: la storia americana vista dal buco del culo degli uomini che si muovono sotto e per conto dei più potenti JFK, Roosevelt, John Edgar Hoover, storico capo dell’FBI. Ovvero: la storia americana vista dagli scavatori di fango, come li chiama lui. Ovvero: la storia che ci appartiene, quella contemporanea, creata negli (e manipolata dagli) Stati Uniti. La storia dell’occidente. La nostra. È chiaro? Qui non si tratta di definirlo autore di noir o di gialli. Si tratta di capire che un’opera così maestosa non ha eguali. James Ellroy. Il più grande romanziere contemporaneo. Epico, titanico, gigantesco. Chiedetemi il perché, chiedetevi il perché. Eccovi serviti. A Torino batte il microfono sulle mani, ringhia le parole. Non è in forma, a fine presentazione cerca un antibiotico. Poi si mette il cappello e va via. Da lontano mi indica e fa la faccia cattiva. Qualche ora prima lo avevo intervistato all’hotel Stea, centro di Torino. Alla fine di tutto Ellroy avrà scritto undici opere che racconteranno la controstoria americana dal 1941 agli anni Settanta. In letteratura non ci sono eguali. Epico, titanico, gigantesco. PARTE 1. QUALCHE ORA PRIMA James Ellroy è seduto su un divano della Sala Vittorio Emanuele, ha una camicia meravigliosa a maniche corte, i baffetti bianchi, davanti a lui ci sono tre bicchieri di acqua calda con miele e limone. «A tutti capita un raffreddore, adesso anche voi» grugnisce. Faccio outing. Gli dico: «Per me sei una leggenda, ho letto L.A. Confidential, American Tabloid, I miei luoghi oscuri, Sei pezzi da mille, Black Dahlia, Caccia alle donne, Il sangue è randagio e altri. E dentro, quasi sempre gli stessi personaggi, gli stessi nomi, gli stessi posti. Ti muovi per trilogie e tetralogie. Fai paura». Lui ascolta il mio pippone smascellando, si stravacca sul divano. E grugnisce ancora: «God bless you, GOD BLESS YOU». Cominciamo.
L’inciso all’inizio di Perfidia è una citazione della Bibbia, i Proverbi: «Non invidiare l’uomo violento e non imitare affatto la sua condotta».
«Right».
Che rapporto hai con Dio?
«Sono un cristiano, un cristiano protestante, ho letto la Bibbia molte volte, ritorno spesso sul Nuovo Testamento, i Sonetti, L’Apocalisse, vado in Chiesa, parlo sempre con Dio, that’s the story».
Anche il tuo stile di scrittura è biblico: zero retorica, zero rifiniture, soggetto verbo complemento. Sostanza.
«It’s huge, ye, thank you». Tira su col naso.
Dove compri le tue camicie?
Sorride. «Tommy, Bahamas».
La prima parola del libro è Reminiscenza: importantissima, autorevole, piena. Quanto tempo ci hai messo a sceglierla?
«Il prologo l’ho scritto alla fine. Reminiscenza l’ho scritta in italiano ma non perché l’ho voluto io, il riferimento diretto è a una sonata di Nikolai Medtner, compositore russo. È Kay Lake che parla, da anziana 95enne rivive l’avventura più grande della sua vita, è lei la voce narrante morale di questo libro e pure dei prossimi. È l’unica che rimane viva alla fine di questa ecatombe. Kay Lake è il mio personaggio preferito, se io fossi nato donna nel 1920 in South Dakota sarei stato lei, è sveglia, coraggiosa, molto più furba di tutti noi messi insieme, spiritosa, audace, piena di illusioni, delusioni, e con un’inclinazione marcata verso lo sperpero, anche sessuale. Incarna la grinta, l’intelligenza, il fuoco delle donne americane della seconda guerra mondiale».
Oggi si direbbe che Perfidia è potente come una serie tv: ti piacciono le serie, le guardi?
«No, non le guardo. E Perfidia è soltanto un grosso romanzo».
Anacronistico, fuori moda. Bisogna mettersi lì e concentrarsi, per leggerlo. Con i tuoi romanzi sembri dire: io, non sono uno di quei romanzetti che trovate in libreria adesso, io sono James Fucking Ellroy, portate rispetto.
«Sì, per leggere Ellroy devi pensare, ti devi prendere in mano il libro, metterti a sedere e leggere quelle parole».
Tu cosa leggi?
«Nothing, niante, niets, nuht»
Ti faccio un nome e me lo commenti: William S. Burroughs.
«Malo». Fa segno di farsi una sega. «Jerk off!»
Cèline.
«Malo, Jerk off».
Dostoevskij.
Beve un sorso di acqua e miele, poi succhia una fetta di limone. «Ah, The Man, non l’ho mai letto ma è l’Ellroy russo».
Don Winslow.
«Good guy»
Proust.
«Mai letto».
Ma cos’è che hai letto?
«Dann Macdonald, gialli per bambini, due romanzi della mia ex moglie Ellen. Ah, e poi Don De Lillo».
Pynchon.
«Mai letto Pynchon, fuck Pynchon».
Bret Easton Ellis.
«Fuck Bret Easton Ellis».
Nel 2016 ci saranno le elezioni presidenziali americane. Voterai Repubblicani?
«Non ho nessun commento da fare non solo sulla politica ma su tutta la cultura americana di oggi».
Sei favorevole ai matrimoni gay?
«Stop right here. No. Non ho opinioni su alcun evento mai prodotto dopo il dicembre 1941».
Quale personaggio storico avresti voluto essere?
«Beethoven. Ascolto solo musica classica e ho tre suoi busti in casa».
Hai anche una Porsche.
Scandisce bene. «Ca-rre-ra 4-S, ca-brio-leeee-t. È bianca. È una stracazzo di macchinona, è bella e va molto veloce, ha il cambio automatico».
Come le Fiat.
«Fuck Fiat, malo, malo! Cattavo!».
Il tuo posto preferito a L.A. è un ristorante: quale?
Tossisce. Tira su col naso. «Il Pacific Dining Car, mi è comodo».
Sei sposato?
«Well, brother, sto con Ellen, la mia seconda ex moglie, siamo stati sposati 14 anni, poi abbiamo divorziato, adesso stiamo di nuovo insieme».
Nei tuoi libri si parla tantissimo di masturbazioni, mentali e fisiche. Tu ti masturbi?
Alza le braccia, agita le mani. «No brother, listen: masturbazione, come ze dize, appartiene ai miei luoghi oscuri».
PARTE 2. SUPERBIA Nel 1958 Geneve, la madre di James Ellroy, viene trovata morta in un campo di El Monte, Los Angeles. James Ellroy ha 10 anni. Ti sei fatta fottere in un normalissimo sabato sera, scriverà proprio ne I miei luoghi oscuri. A 17 perde pure il padre. Alcol, piccoli furti, droga, carcere, lettura di romanzi gialli, infine la scrittura. Solo la scrittura. Della morte della madre ne parlerà in diversi romanzi, proiettando le sue ossessioni soprattutto in Black Dahlia, il romanzo che in America gli ha dato la notorietà. Quando sono andato a Los Angeles sono stato proprio là: El Monte, nel parcheggio dove è stata ritrovata la macchina della madre, in Marple Arch, la stampa dove è cresciuto. Ho fotografato quei posti. Ho stampato quelle fotografie. Gliele faccio vedere, gli chiedo di firmarle. Lui disegna un cane con un cazzo lunghissimo.
Chi è?
«Banko, il mio bull terrier»
È la persona a cui vuoi più bene?
«No, quella è Ellen».
Come si svolge la tua giornata?
«Mi sveglio alle tre del mattino, scrivo per due ore e mezzo, mangio qualcosa, torno a dormire un paio d’ore e alla fine della giornata ho scritto 9 ore. Tutto a mano, da solo, assumo qualcuno soltanto per dattilografare e per dare un ordine ai miei appunti e alle ricerche»
Quali dei sette peccati capitali ti dà più fastidio?
«Superbia».
Perché?
«Perché fa sì che io viva isolato».
Quante persone vedi al giorno?
Unisce indice e pollice della mano destra. Dice: «Ziiiro».
Telefonate?
«Dieci».
Hai un iPhone?
«No, ho il fisso, niente cellulare».
Ti manca un figlio?
«No».
Come fai a saperlo?
«Se mi mancasse te lo direi, se provassi qualche rimpianto te lo direi, mi conosco piuttosto bene».
PARTE 3. L’ASCENSORE Anni fa, a Milano, ho assistito a questa scena: Enrico Ghezzi presentava un libro di James Ellroy. Faceva domande molto lunghe, Elroy fingeva di addormentarsi sulla sedia, poi rispondeva a monosillabi. Fu veramente imbarazzante. Poi si alzò per leggere alcuni pezzi, si mise davanti al leggio, divaricò le gambe, buttò via il cappello, e ogni pagina che leggeva la strappava e buttava via. Uno spettacolo.
Cosa ti era preso?
«Mi ero appena messo con Joan, abitavamo insieme a San Francisco, e non riuscivo a smettere di pensare a lei, l’unica cosa a cui pensavo era tornare da lei e invece dovevo stare lì a sentire quei monologhi»...
Nella sala entra una troupe televisiva, il nostro turno è finito. Chiedo: posso farmi una foto con te? «Yeah sure». Posso abbracciarti? «Yeah, God bless you brother». Ci abbracciamo, ci tiriamo pacche sulle spalle, penso di smollargli un bacio sulla guancia come se fosse mio figlio, sto per farlo, ma non lo faccio, forse è troppo, forse sì. Lui Firma pure la mia copia di Perfidia e poi dice: «E ora vai dritto a casa, mi raccomando».
Quando sono fuori mi rendo conto che mi sono dimenticato due domande. Due, cazzo. Ma lui non è proprio quel tipo di persona che ti mette a tuo agio, risponde poco e controvoglia, veloce, lapidario, come il suo stile. «Tutto quello che mi interessa dire» sembra che ti dica «è qui nei miei libri, fanculo il resto».
Però io e Banhoff aspettiamo fuori dalla sala, dopo mezzora esce. Ha la giacca in spalla.
Mi sono dimenticato due domande, gli dico. Lui fa segno di sì, falle pure.
Come vorresti morire?
Elroy chiama l’ascensore. Risponde: «Voglio morire a 180 anni nel mio letto».
E sulla tomba cosa ci scriviamo?
L’ascensore si apre, Ellroy entra. Risponde: «He was a hell motherfucker man».
L’ascensore sta per chiudersi. Ellroy mi indica e fa la faccia cattiva.
L’ascensore si chiude.
James Cazzo Duro Ellroy. James Fottuto Ellroy. James Il Gran Cerimoniere Ellroy. Nessun uomo dovrebbe essere così letale quando scrive. Nessun uomo dovrebbe essere così attraente quando scrive. Nessun uomo dovrebbe essere così abile e disinvolto. James Ellroy. Il più grande romanziere contemporaneo. Adiòs.