Erano i tempi di Vamos a bailar e Sapore di sale. La leggerezza, la mente tra le nuvole e le onde del mare, semplicemente: estate. Ma cosa ne pensa il critico televisivo Aldo Grasso dei tormentoni? Sulle colonne del Corriere della Sera, riflette sul fenomeno delle canzoni estive a partire dal documentario Estati senza fine, prodotto da Verdiana Bixio per Publispei con Rai Documentari. Un viaggio tra i decenni – e le hit che li hanno segnati – che affida la narrazione alla voce storica di Linus, “tra ricordi personali e racconti sulle canzoni”. Grasso sottolinea l’ambiguità del termine: “Il tormento esige afflizioni; il tormentone, che poi è un grande tormento, intima invece di divertirsi”. Nato nel gergo teatrale, come battuta ripetuta ossessivamente a scopo comico, il tormentone è anche un segnale sociale: “Significa che una comunità ha accettato e fatto suo un modo di dire”.

Il documentario cita brani entrati nell’immaginario collettivo – da Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco a Vamos a la playa, Sapore di sale e Un’estate al mare – ma Grasso osserva che questo viaggio nostalgico rischia di inciampare in un eccesso di spiegazione: “Si può rimproverare di essere una via di mezzo tra la sociologia di costume e la nostalgia, tra l’aneddotica e lo “spiegone” (il tormentone della ‘spiega’)”. Il critico nota anche il cambiamento nel modo di vivere la musica estiva: “Certo la moderna tecnologia ha cambiato il modo di ascoltare la musica, la condivisione collettiva comincia a essere un lontano ricordo”. Eppure, i motivetti leggeri che “pestano la testa e non escono più” continuano a segnare la memoria, tra il “fiabesco e l’intellettualistico”, lasciandoci con il sapore sfuggente di quegli “anni, Dio come vestivamo, ma quanto eravamo scemi”. Bei tempi. E i nostri, le hit del 2025, in futuro avranno lo stesso sapore?
