Se l’idea era smontare il patriarcato con l’ironia, secondo Aldo Grasso il risultato è stato l’opposto: Maschi veri, la nuova serie italiana di Netflix prodotta da Matteo Rovere e adattamento della spagnola Machos Alfa, non fa ridere e non fa nemmeno pensare. Al massimo, annoia. E per il critico del Corriere della Sera, il problema è a monte: l’ironia pedagogizzante, anche quando ben calibrata, “può avere diverse funzioni significative”, ma resta una forma di umorismo che – detta brutalmente – “non fa ridere”.
Il tono della recensione è spietato. La serie, che racconta le vite di quattro amici romani alle prese con crisi identitarie da maschi etero della generazione X, si muove su un terreno minato: satireggiare i codici della mascolinità tossica e del politicamente corretto. Ma secondo Grasso, inciampa rovinosamente: "Nel prendere in giro tutti gli stereotipi e il lessico della cultura patriarcale o della discriminazione di genere, Maschi veri è così poco spontaneo da ingenerare noia e scontatezza. Le battute sono telefonate, fasulle, ovvie pur nel loro presunto capovolgimento di senso".
Gli attori – Lastrico, Martari, Sermonti e Montanari – sono “maschi alfa” in crisi, democratici ma “simpatici idioti”, preoccupati di stare al passo con l’aria del tempo ma incapaci di sottrarsi alla “bêtise”. Anche i personaggi femminili non si salvano: "Si comportano secondo cliché, atteggiamenti di maniera, superficiale retorica femminista: una diventa influencer, l’altra va in palestra, l’altra sogna la coppia aperta…"

La bordata finale? Una definizione lapidaria che sembra destinata a diventare virale: «Maschi veri è un Boris che ha frequentato le scuole Montessori. E con scarso profitto.»
Insomma, tra paradossi che non funzionano e satira che non graffia, Grasso liquida la serie come un prodotto che cerca di essere emancipato, ma inciampa nella banalità del suo stesso messaggio. Da una parte l’ideologia del maschio alfa, dall’altra l’emancipazione dello stesso maschio alfa. In mezzo, il vuoto.