Pietro Castellitto è attore, regista, sceneggiatore e scrittore. Classe 1991, il suo esordio al cinema è stato a 13 anni in Non ti muovere, a 28 vince il suo primo David di Donatello come Miglior regista esordiente, pochi mesi fa ha interpretato uno dei suoi idoli, Francesco Totti, nella miniserie targata Sky Speravo de morì prima, e ieri è uscito il suo esordio letterario per Bompiani ‘Gli Iperborei’. In poco meno di duecento pagine promette di essere un racconto di formazione realistica, fondato su verità falsate, che parla a gruppo di giovani che vive all’ombra dei padri e ogni azione per liberarsene, dal più puerile al più pericoloso, è l’eco di un soffocato lamento.
Non pago di avere vinto il Premio Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia - nel 2020 - per la sua opera prima, I predatori, sempre a Venezia il mese scorso, l’abbiamo ritrovato nelle vesti di attore in Freaks Out di Gabriele Mainetti. Le sue scelte in campo artistico, benché eterogenee, sembrano seguire una logica ben precisa: parlare di quella fase ingrata e confusa rispetto alla quotidianità che va dall’adolescenza fino ai trent’anni, desiderando ‘senza sapere cosa’ in una perenne tensione emotiva. Figlio d’arte, il padre è Sergio Castellitto, la madre la scrittrice Margaret Mazzantini, Pietro pare operare, volontariamente, una rottura irreparabile con l’eredità parentale. Un bisogno che spesso gli artisti non conoscono, basti pensare a Paolo Sorrentino che ci ha messo vent’anni per parlarci di lui nel bellissimo È stata la mano di Dio.
Forse, è per questo, che Pietro prima con I predatori e da ieri, 20 ottobre, con Gli Iperborei, materializza lentamente la sua immagine o, almeno, quella che ci vuole donare, lontana eppure definita anche dall’eredità culturale dei genitori: Poldo/Pietro è un uomo che per liberarsi dal passato deve ricordare i chiaroscuri dell’adolescenza, prima che i ricordi diventino astratti, prima che la maturità - anche artistica - diventi un punto di non ritorno e di torpore sentimentale e creativo. Stella, Guenda, Poldo, Ciccio, sono questi i protagonisti del libro di cui Poldo (un po’ Pietro, per sua stessa ammissione) è la voce narrante di quelli che, alle porte dei trent’anni, sono i ricordi, veri o falsi poco importa perché ‘i ricordi si rinnovano ancora e ancora’. Squarci su un passato davvero vissuto, o immaginato (e non per questo meno reale), in un viaggio con tutti i sintomi di un disagio esistenziale. Come per i giovani di Storie di Amsterdam e gli adolescenti di Black Hole descritti lucidamente da Charles Burns, la giovinezza è una malattia così come la famiglia e, forse, Pietro Castellitto ha trovato una cura a entrambe: l’arte.