Quentin Tarantino è, semplicemente, Quentin Tarantino. Genio incontrastato del panorama internazionale, regista che ha rivoluzionato il mondo del cinema contemporaneo, Tarantino è oggi acclamato in tutto il mondo come uno dei personaggi più iconici della sua generazione.
C'è stato un tempo però in cui Tarantino non era il genio proprio di nulla. Del cinema, della regia o della sceneggiatura. Nessuno indossava quelle discutibili t-shirt con la scritta gialla "Written and directed by Quentin Tarantino" che poi diciamocelo: se davvero la vostra vita fosse diretta da lui, la prima cosa da bruciare con il lanciafiamme di Once upon a time in Hollywood sarebbe proprio quella maglietta.
C'è stato un tempo in cui nel nostro paese Tarantino era solo "il matto" di Viareggio. A raccontare questa storia è il giornalista Michele Boroni, che riporta alla luce un aneddoto personale di 29 anni fa, proprio in occasione del premio alla carriera consegnato a Roma.
Per un periodo il Noir Festival, quello nato a Cattolica e poi trasferito a Courmayer, si svolse a Viareggio. Nel 1992 avevo delle simpatiche amicizie viareggine e quindi, per tutta la durata della manifestazione, venivo gentilmente ospitato in zona per godermi tutte le proiezioni. Ricordo che era un festival a misura d'uomo, con tre-quattro sale posizionate lungo la passeggiata al mare nello spazio di trecento metri; le visioni erano uniche, gratuite e per tutti: fan, registi, attori e giornalisti, tutti insieme. Situazione perfetta, se non ci fosse stato “il matto”. “Il matto”, come era stato simpaticamente appellato dagli avventori del festival, era un ragazzone americano vestito con bermuda, sneakers, t-shirt a tema musicale (ricordo perfettamente una maglietta con l'immagine di Queen Latifah e un'altra dei Beastie Boys) e un rapporto conflittuale con l'igiene personale, che non si perdeva niente, neanche la proiezione dell'oscuro polar belga degli anni 70. Il fatto è che le sue visioni erano rumorosissime: in sala mangiava e beveva di tutto, parlava da solo e gesticolava come un forsennato. All'inizio era divertente, poi però, alla lunga, risultava piuttosto stancante. Se non ricordo male anche Irene Bignardi (allora critico cinematografico di Repubblica) dovette cambiare poltrona un paio di volte in sala per godersi in tranquillità il film. Il “matto” però non era arrogante, anzi quando veniva rimproverato, lui si scusava con strette di mano e inchini, salvo poi cinque minuti dopo riprendere a sbraitare come prima. E poi era entusiasta di tutto, non solo dei film: ricordo di aver condiviso con lui il tavolino della pizzeria al taglio “La Rusticanella” nella passeggiata viareggina e il matto continuava a dire “this is the best pizza ever”.
I film in cartellone erano tutti piuttosto buoni e ricordo che parteciparono anche alcuni importanti nomi come Ken Russel, Nicholas Roeg, Mark Snow, Theresa Russell, Jeremy Irons e Debbie Harry. Il matto, che nel frattempo era diventato, nel bene e nel male, la mascotte del festival, abbracciava, chiedeva autografi e parlava con tutti. Ma il bello doveva ancora venire: i ben informati dicevano un gran bene di questo “Reservoir Dogs”, il film con Harvey Keitel diretto da un esordiente che avrebbe chiuso il festival.
Venne così l'ultimo giorno e al Festival Noir proiettarono quel capolavoro a basso budget e mille idee che tutti noi ben conosciamo. Finita la visione, dieci minuti di applausi. Salì sul palco il direttore del festival quasi commosso per aver ospitato in esclusiva quel piccolo grande film e, sopratutto, per annunciare la presenza del regista. Era in sala. In realtà non si era mai mosso da lì. Sale sul palco con un salto goffo, cantando e sbraitando come aveva sempre fatto per tutta la settimana. Il grido che lo accolse fu unico “Noooooo, ma è il mattoooo!”. Qualcuno, perfino il sottoscritto, per un lungo attimo pensò che fosse tutto uno scherzo. Ma poi, ripensandoci, tutto aveva un suo beffardo e logico senso.
Quello a cui nessuno voleva sedere accanto, che urlava e mangiava durante le proiezioni, che non si alzava mai e che non si perdeva niente, quello neanche a dirlo era un giovane Quentin Tarantino.
Che andrebbe acclamato oggi che compie 60 anni proprio per chi era, tanti anni fa, a Viareggio. E per chi alla fine è sempre rimasto: un personaggio sopra le righe, innamorato del proprio lavoro, uno che se ne frega dei pregiudizi, dei modi di fare le cose, di chi mette delle regole ma anche, perché no, di quei soldi che il regista americano de Le Iene, nel 1992, non aveva.
Quello, questo, è Quentin Tarantino: il matto. Mica il genio.