Quando negli anni ‘90 si parlava di superstar dj’s, lui era uno di loro. Paul Oakenfold, Sasha, David Morales. Pochi altri ancora. Fra i quali lui, appunto: Fatboy Slim da Bromley, classe 1963. Norman Cook, questo il suo vero nome, sabato 15 febbraio al Matis Club di Bologna per una notte “diversa” dalle altre (apertura delle porte alle 21.30, ma Fatboy arriverà senza dubbio più tardi, con la calma dei boss). “Diversa” perché Fatboy Slim è anche un dj, ovviamente, ma non è solo un dj. Digger maniacale all’eterna caccia di “chooons” potenti e affilate, ha animato alcune delle date più clamorose nella storia del clubbing britannico (e non solo). Su tutte, quelle nella adottiva Brighton. La seconda edizione di “Big beach boutique”, all’epoca (13 luglio 2002), radunò ben 250mila persone lungo la spiaggia della città oggi paladina dei diritti LGBTQ+. Basandosi sui dati della prima edizione dell’evento, ne erano attese un quarto circa. Il resto è storia. Storia recente, è vero, ma non per questo meno importante o palpitante.
![Fatboy Slim 01](https://crm-img.stcrm.it/images/42465478/2000x/20250214-143421375-4770.jpg)
NON SOLO UN DJ
Non solo un dj, dicevamo. Cook viene da lontano, da un’Inghilterra più grigia e indie, neppure parente del territorio che ha decretato la sua fama e gli ha poi donato l’etichetta di “Godfather of big beat”. Era grigia e indie l’Inghilterra quando Norman Cook (non ancora Fatboy Slim) militava, suonando il basso, nei fantastici Housemartins di Paul Heaton. Era un comprimario, in quel gruppo. Con il progetto Beats International Cook fece invece capire, con un devastante successo quale “Dub be good to me” (1990), che sarebbe presto diventato un protagonista assoluto. Che il suo habitat naturale non sarebbe stato un qualsiasi Town & Country Club. Fatboy Slim esordisce con “Better living through chemistry” nel 1996. Il suo vero viaggio inizia lì. Con il big beat, quella tech-house striata di phat funky basslines che mandò in delirio la Gran Bretagna fra – grosso modo – il 1994 e il 1998. Pensiamo alle notti dell’Heavenly Social (Londra) e del Big Beat Boutique Club (Brighton; indovinate chi c’era ai piatti); ai primi dischi di Chemical Brothers, Death In Vegas, Justin “Lionrock” Robertson, Midfield General. Pensiamo a una cultura particolarmente “laddish”, soprattutto all’inizio, che propone un ombrello sonoro ampio e accogliente. E selvaggio. Un ombrello sotto il quale il sound della Blaxploitation anni ’70 si fonde con l’acid house. Sotto il quale confluisce di tutto. Tanto che, sotto quell’ombrello, nascono idee “enormi”, feste “enormi”, eventi “enormi”.
![Fatboy Slim 02](https://crm-img.stcrm.it/images/42465480/2000x/20250214-143634265-5670.jpg)
LA STANCHEZZA DEL PARTY-ANIMAL? NO WAY!
Solo qualche mese fa, dopo una tonnellata di dischi e remix a proprio nome, Fatboy Slim confessa che ha smarrito lo slancio creativo che gli ha sempre permesso di produrre musica. “Ho ancora voglia di fare serate e organizzare eventi, ma non di fare musica”, ha confessato, con tono stranamente dimesso, al Sun. Una bomba al contrario, che nessuno si attendeva per bocca dell’entusiasta che ha firmato “Right here right now”, dal produttore mai stanco che ha collaborato con Madonna e David Byrne, che ha fatto incetta di awards e ha suonato alla Camera dei Comuni (!) del Regno Unito. Nell’anno (2024) in cui Fatboy Slim ha ricevuto il riconoscimento “Outstanding contribution to UK Music” ai Brit Awards, in pochi si sarebbero attesi una dichiarazione simile. Nulla di cui disperarsi, tuttavia, soprattutto per chi sabato 15 febbraio, a Bologna, ha intenzione di lasciarsi sprofondare in un coloratissimo abisso di vivacissima house music. Cook non è mai stato un dj “tecnico”, bensì un festaiolo dal gusto sia ricercato che popolare. Non chiedetegli trappate varie o cose simili, lasciatelo fare. Non chiedetegli di essere prevedibile, non saprebbe da che parte iniziare.
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