Ci siamo spesso chiesti - noi di MOW - perché gli stadi avessero aperto le porte a nomi che mai ci saremmo aspettati fino a qualche anno fa, quando queste location, prestate ai concerti, erano ad appannaggio di pochi big internazionali o mostri sacri, tipo Vasco. Al di là della facilità d'accesso di Mr X o Y (fino a ieri magari semisconosciuti) dietro ciò, c'è anche un fattore economico: una sola data costa meno di tante date in giro per l'Italia dei club e palasport. Un trend però deleterio per i cantanti stessi, che saltano un po’ troppo velocemente le tappe, quelle dei traguardi da raggiungere a poco a poco. Ecco, quello dello stadio, che sia San Siro, Olimpico e via dicendo, è un obiettivo ambito, ma che dovrebbe certificare un'ascesa. Vale a dire, dimostrare che ce l'hai fatta davvero, visto che quel percorso accelerato di cui sopra è spesso legato a finti sold out. Per meglio dire, sold out a cui devi credere sulla fiducia, ma che puzzano lontano un miglio.
Ci sono casi che hanno fatto scuola in Italia, a proposito: riempi sì, ma con una valanga di biglietti gratis, oppure se quel tour non sta andando affatto bene nella prevendita, si finge una qualche malattia. Un lungo preambolo che pare condividere anche il re degli stadi, Vasco appunto, su quella gavetta necessaria e che oggi viene a mancare. Lui che di sold out ne colleziona per davvero, e che il prossimo anno ne farà ben sette a San Siro. “Oggi è normale affittare uno stadio - scrive via social - ma una volta non era così. Nel secolo scorso partivamo dalle balere, poi discoteche, per arrivare al massimo al palasport o piccole arena all'aperto”. Continua: “Ho visto palchi che voi umani non potete immaginare, a volte non c'era proprio niente, uno spazio vuoto tutto da organizzare. Tutto fa brodo, comunque - chiosa - sono esperienze che mi hanno consentito di essere quello che sono oggi, le rifarei tutte”. Dimostrazione, nero su bianco, che l'esperienza, il tempo, non sono un optional se vuoi durare a lungo. Del resto, c'è un solo Vasco Rossi.