“Vasco mi ha da dato cose che non ha dato ad altri... Mi sono sentito un po' figlio, un po' complice, un po' ascoltatore...”. Chi parla è Giuseppe Romano, in arte Pepsy Romanoff, regista, produttore artistico e discografico di fama internazionale, quello delle immagini del Supervissuto a piede libero su Netflix, di Modena Park, che ha firmato le monografie di Pino Daniele e James Senese, di Franco Battiato, Ezio Bosso e Vinicio Capossela, e i grandi live internazionali, da N.E.R.D & Pharrell Williams, Tinie Tempah, Little Dragon e Dave Gahan, ma anche Marracash, Guè Pequeno, Brunori Sas, Salmo, Sfera Ebbasta, Tiziano Ferro, Samuele Bersani… Si fa prima a spuntare chi manca, da una star all'altra. Che poi quella di Pepsy Romanoff è un'altra grande storia, iniziata a Torre Annunziata (Napoli) nel '77, decollata negli studi di All Music oltre vent'anni fa e consacrata col colpo grosso al San Paolo (ora Maradona) che si riapriva alla musica dopo 11 anni insieme al Kom (2015). Eppure il regista dei record, che ha riscritto l'epopea del mito, con la sua musica non ci è cresciuto, e forse proprio questo è il segreto della quadra. Tra una cosa e l'altra Rossi poi gli entrato dentro...
Tralasciando i vari live concert, la vita di Vasco era già stata raccontata: Pepsy, vi siete chiesti se questo documentario aggiungeva qualcosa?
“In realtà aggiunge tanto, perché è una biografia video realizzata in prima persona, e Vasco è il principale artefice. Non un progetto passivo, anzi. Basta pensare che da un paio di settimane previste sono rimasto a Bologna nove mesi”.
L'idea iniziale qual era?
“Tendenzialmente quella che vedete: non volevo che altri personaggi dello spettacolo parlassero di lui, e con Netflix ci siamo subito intesi. Per questo è Vasco che ci accompagna nei luoghi in cui ha mosso i primi passi professionali; come uno studente gli chiedevo: possiamo andare in questo posto? Da quanto tempo manchi da qua? Ecco il viaggio a ritroso nel tempo, e con spostamenti da una location all'altra”.
Ci sono comunque dei contributi.
“Personaggi-amici come può essere Valentino (Rossi). Mancano però altri attori, musicisti, proprio per non ripetere quel cliché abusato e rimanere nella totale autobiografia”.
Fatto particolarmente apprezzato; piuttosto si è scelto di puntare sui collaboratori di sempre come Gaetano Curreri, Celso Valli, Maurizio Biancani, Diego Spagnoli e via dicendo. E poi la moglie Laura (Schmidt) e il figlio Luca, quest’ultimi particolarmente riservati. Come li avete convinti?
“C'è stata subito empatia; in punta di piedi, e sempre col benestare di Vasco, ho avuto l'opportunità di conoscerli mano a mano. Del resto non poteva mancare proprio chi gli vive accanto, gli affetti, che spesso collaborano anche professionalmente, aspetto ignoto a tanti. C'è tanto materiale, fotografie e video che sono della famiglia, ciò è stato possibile perché l'intervento non è stato forzato, tutt'altro si sono sentiti a loro agio”.
C'è un motivo per cui è stato inserito un amico famoso piuttosto che un altro? In parole povere: perché Valentino?
“Vasco voleva fortemente la sua presenza; c'è una grande connessione tra i due, dei parallelismi: si sono conosciuti quando il Rossi cantante era leader di un team di motociclisti (Vasco Rossi Racing). Quindi un contatto sul territorio vero... Possiamo dire che in Vasco c'è del Valentino e in Valentino c'è del Vasco”.
Nella docuserie non si trascura nulla: un ricordo che si è faticato a tirar fuori?
“Nessuno, Vasco è particolarmente spontaneo, una fonte inesauribile di aneddoti e storie, è pazzesco; in alcune scene abbiamo scelto apposta di lasciare la mia voce o farmi varcare la soglia della telecamera, proprio per favorire quel clima di tranquillità. C'è chi mi ha chiesto se ci sarà un proseguimento...”.
Mi anticipa: ci sarà?
“Mai dire mai, soprattutto con Vasco!”.
Supervissuto, il titolo di chi è?
“Ovviamente suo, è un titolo geniale, come l'incipit della serie che spiega perché è un supervissuto. Proprio perché nella sua vita ha vissuto tante vite. Spesso glielo dico: Vasco, tu sei mitologico”.
C’è una chicca che è rimasta fuori?
“Con grandissima felicità dico di no; il team di produttori ha lottato per farmi usare tutto ciò che avevamo selezionato, penso a Mauro Luccarini che ci ha fornito dei fotogrammi strepitosi in Super8 del primo tour Colpa d'Alfredo”.
Cos'è cambiato tra voi in questi mesi di lavorazione?
“È un progetto sviluppato in quattro anni; l'abbiamo pensato come un sogno, poi c'è stato il Covid... e ho vissuto accanto a lui per mesi, incontrandoci ogni giorno per almeno qualche ora. Essendo anche sposato, non è stato facile… Inevitabilmente siamo entrati in confidenza e dimenticato i ruoli, mi sono sentito un po' figlio, un po' complice, un po' ascoltatore. Vasco mi ha da dato cose che non ha dato ad altri, mi ha cambiato la vita”.
So che prima di conoscerlo non era neppure suo ascoltatore.
“L'ho sempre dichiarato, non sono mai stato fan, e questo mi ha permesso d'essere obiettivo sia nell'ascolto che nella proposta, concedendomi di intervenire senza ripensamenti, aspetto che a lui è sempre piaciuto. Conoscendolo poi sono stato travolto, e oggi sono un suo ammiratore. Vasco è un genio, un pezzo di storia di questo Paese. La verità? Spesso mi chiedo perché ha scelto me”.
Cosa si risponde?
“Non è facile trovare una risposta, forse per i motivi di cui sopra?”.
Possiamo dire che ha tradito sua moglie con lui.
(Se la ride). “A livello intellettuale sicuramente, siamo andati talmente in profondità che non può che essere così”.
Docuserie o Modena Park: ad oggi qual è la sua più grande impresa?
“Penso che siano due storie uniche, e se vogliamo anche due lati della medaglia di Vasco che scrive o ballad struggenti o rockettoni. Adesso abbiamo chiuso un cerchio per aprirne un altro”.
Cos'altro si può raccontare?
“Non ci ho ancora pensato, questo è un momento di detox, ma sto ricaricandomi per qualche nuova avventura insieme”.
Intanto c'è anche il videoclip de Gli sbagli che fai, che svetta in tendenze YouTube.
“Il video è una sorta di teaser della serie; nelle scene inedite c'è la parte col cavallo, perché me lo immaginavo proprio in versione Ken il guerriero, da pistolero del rock. Quando gliel'ho proposto ha detto: figata, facciamolo subito”.
Da regista dei record, che ha lavorato praticamente con tutti, come vede la sfida di raccontare altri rocker, che so i Måneskin?
“Mi piacerebbe, ma è un po' presto per loro... Il mio sogno nel cassetto è sempre Paolo Conte, anche se è già stato fatto. Forse passerò al crime?”.