Non è più il Vasco di una volta. È il commento più lieve che in queste ore possiamo trovare sui social. A scatenare gli hater, perché di hater si tratta, l’intervista rilasciata da Vasco Rossi a Aldo Cazzullo del Corriere della sera, non esattamente un mastino, che però gli ha chiesto cosa ne pensasse dei conflitti che al momento angosciano noi occidentali, nello specifico quello in Ucraina e quello a Gaza. Soprattutto le parole spese per quest’ultimo ha fatto indignare una parte dei lettori, e anche molti non lettori, che ovviamente si sono scatenati dopo aver letto una qualche sintesi sempre sui social, pronti a rinfacciargli il suo non schierarsi tanto quanto il suo mettere bocca su questione inerenti la politica, che non gli competono, questo stanno dicendo. Certo, aver parlato chiaro con quel “io rifiuto di schierarmi come se fosse una partita di calcio, Israele contro Palestina”, per poi aggiungere “gli ebrei, dopo quello che hanno sofferto, hanno diritto a uno Stato. Free Palestine” è un bello slogan, ma se implica la distruzione dello Stato di Israele, allora sarebbe più onesto dirlo. E alla distruzione di Israele io mi ribello”. Parole chiare, condivisibili o meno ma chiare. Cui ha anche aggiunto altro: “Leggo cose superficiali, in cui non mi riconosco; io sono semplice, non facile. Mi hanno dato del sionista, ma io non so neppure cosa voglia dire. So che se mettessi il like a 'Palestina libera' mi amerebbero tutti. Ma io non sono fatto così”, con una chiosa, però, che non lascia dubbi su come guardi alla guerra: “Questo ovviamente non mi impedisce di piangere le vittime civili di Gaza, e di criticare i bombardamenti di Netanyahu, che è pure lui una specie di fascista”. Ma tanto non è bastato, aver criticato le anime belle dal Like facile, lui che è semplice, ma non facile, non poteva che scatenare gli ultras, che lo hanno letteralmente crocifisso. Negli anni lo hanno crocifisso anche per non aver parlato, quando ci si aspettava lo facesse, vai poi a capire perché ci si aspettasse sempre che dicesse la nostra (dove per noi si intende un noi figurato che comprenda chi poi lo criticava, non certo un noi reale che comprenda anche me), figuriamoci ora che fa dei distinguo.
Il fatto è che Vasco non è in effetti più quello di una volta, e grazie al caz*o, verrebbe da aggiungere. Ha settantadue anni, un successo ormai talmente trasversale da essere incontestabile, anche quest’anno andrà battendo record coi sui sette San Siro di fila, potrebbe limitarsi a godersi fama e soldi senza dover dire la sua. Ma se hai costruito la tua carriera andando a scomodare Dio, la chiesa, lo stato, i bempensanti, gli ipocriti, difficile che poi te ne stia zitto, anche di fronte a un intervistatore non esattamente incalzante come Cazzullo. E siccome manifestare il proprio sdegno da casa è facile, ecco che lui, Vasco, che di case suppongo ne abbia anche diverse, lì a Bologna, il suo sdegno lo manifesta contro gli sdegnati un tot al chilo, andando a metterci la faccia, a prendersi le pernacchie, gli sfottò, le critiche che ovviamente scivolano sul personale. Passare da essere il drogato e anticonformista all’essere il vecchio rincoglionito troppo conformista è un attimo, sui social. E tutto questo è quantomeno buffo. Perché venir criticati perché si parla, quando in precedenza si è stati criticati perché non si parlava, tradisce un risentimento aprioristico, il famoso successo che in Italia nessuno ti perdona. E il fatto che quel che gli venga imputato, lui che a tutt’oggi fatica a scrollarsi di dosso lo stigma del drogato, del cattivo maestro, di quello che è stato due volte in carcere, sia comunque l’essersi un po’ imborghesito, scollato dalla realtà, lì a fare le sue corsette su Instagram, a elogiare un po’ tutti i giovani talenti che stanno emergendo in questi tempi, da Sfera Ebbasta a Madame, passando per Mahmood o chicchessia, è quasi paradossale, perché le critiche che da sempre muove ai rivoluzionari da salotto sono proprio queste: di essere rivoluzionari, sì, ma part-time, la sera tutti a cena da mamma. Che Vasco sia un signore di una certa età, l’uomo più facoltoso di Bologna, uno che per potersi fare due passi in santa pace, senza la richiesta di un selfie o quel che è, deve andare negli Usa, dove non viene costantemente riconosciuto per strada, è tutto vero. Che però non possa dire la sua, perché la sua non coincide con quello che noi ci immaginiamo dovrebbe dire, beh, è già ridicolo di suo. Anche Povia, per fare un nome di qualcuno che sicuramente non rientra nell’artista tipo di chi è uso criticare Vasco in queste ore, oltre che di molti altri, ha diritto di dire la sua, perché essere un artista implica anche il poter parlare di argomenti che non concernono esclusivamente le note e le canzoni, e ci mancherebbe pure altro. Non è che quando ha scritto Fegato fegato spappolato o Liberi liberi, C’è chi dice no o Mi si escludeva Vasco non parlasse di politica, per essere chiari, e sicuramente anche quelle parole non hanno incontrato un placet di massa, scomode e spigolose come erano. Esporsi è sempre un gesto politico, esporsi quando sarebbe assai più comodo stare zitti, mai come in questi tempi gli artisti tendono a non dire, a non parlare, a non mettersi in mezzo, sarebbe quantomeno saggio. Ma Vasco, il Vasco di oggi, quello che in Come nelle favole è passato dal chiedere “quante deviazioni hai?” o al suggerire “fammi godere”, rispettivamente in Deviazioni e Rewind, brano questo che tutt’oggi dal vivo vede le sue fan uscire le tette, lanciando sul palco i reggiseni, al cantare il bello di trovarsi “seduti sul divano” o “a crescere bambini, avere dei vicini”, versi di Come nelle favole, il Vasco di oggi che proprio nella medesima intervista a Cazzullo parla del suo amore per Kant, è pur sempre quello che votava Pannella o era amico di Don Gallo, erede designato di De Andrè, continua a parlare, sempre lapidario, come nei testi delle sue canzoni, e affatto incline a assecondare i trend o i flussi. Parole non necessariamente condivisibili, le sue, e ci mancherebbe pure altro, ma sicuramente degne di rispetto, perché gli artisti sono artisti anche per quella capacità che hanno di raccontarci il mondo, offrendoci un punto di vista diverso dal nostro, o trovando le parole che magari non con altrettanta facilità si riuscirebbero a trovare.
Conosco Vasco, ci ho lavorato più volte, negli anni, e quando è stato da criticarlo non mi sono mai tirato indietro, fatto che suppongo abbia fatto sì che poi continuassi a lavorarci, per altro. Se me lo chiedesse, formula usurata per introdurre un consiglio non richiesto, e forse neanche necessario, gli suggerirei di far suo il mood esibito nel video di Eh già, quando ironizzava sul suo essere ancora tra noi, il dito medio passato sul viso con la scusa di sistemarsi le sopracciglia e via, uno che cantava “cioè sai che cosa ce ne frega a noi, facciamo colazione anche con toast, del resto, spesso”, saprà indubbiamente come lasciarsi scivolare addosso quattro gattini da tastiera.