Settembre: puntuale come il Codacons che si lamenta quando Fedez esiste, è ripartita la stagione televisiva. Però nessuno se ne è accorto. I dati Auditel languono in un’atmosfera che va ben oltre il mitologico “la qualità ci ha rotto il cazzo” di René Ferretti in Boris. Non è questione di “qualità”: la televisione è sempre stata brutta da che chiunque dotato di pollice opponibile per cambiare canale possa rimembrare, solo che adesso - e con “adesso” intendiamo un trend che va avanti, fulgido, da almeno un decennio e mezzo - è diventata pure ininfluente. Davvero, chi guarda ancora la televisione? A giudicare da quello che sta andando in onda, probabilmente nemmeno chi la fa. E comprendiamo.
Siamo davanti all’ultima stagione Sky di X Factor mentre il format ha chiuso pure in patria (Uk) perché nessuno lo guardava più, c’è l’ennesima edizione del Grande Fratello Vip (circa la sesta, ma se contiamo che il format infesta l’ammiraglia Mediaset dal 2000, è pure possibile, da telespettatore, ravvisare un minimo di spossatezza), esistono tutti i contenitori di infotainment mattutini e pomeridiani che ci sono sempre stati, per carità, persiste tuttora perfino Tiberio Timperi e con lui moltissime altre figure mitologiche che i più erano convinti di aver lasciato nel 1996 insieme a Demo Morselli e a qualche altro personaggio databile solo tramite carbonio 14. Eppur si muove. Essi vivono.
Si parla di flop per gli ascolti di Alessandro Cattelan su Rai 1, ovvero per i due milioni e mezzo raggiunti dal suo show, Da Grande, invece di stupirsi per il fatto che due milioni e mezzo di individui fossero davanti a Rai 1 quel paio di sere. Un tempo, nemmeno troppo lontano, se il Festival di Sanremo non faceva più di nove milioni di audience, potevi dire addio alla tua carriera (vero, Giorgio Panariello?), oggi per tre milioni di cristiani che si addormentano sul divano mentre sei in onda, gli uffici stampa friniscono di piacere sdilinquendosi in comunicati onanistici che ripetono ossessivamente le parole “grande” e “successo”. In bold. Sì, in effetti gli uffici stampa tv sono rimasti gli unici felici in questo desolante scenario, ma avete presente Joaquin Phoneix in Joker? Ecco, stesso disturbo. E senza Oscar, alla fine. Manco lo straccio di un Telegatto.
Sia ben chiaro: non abbiamo smesso di guardare merda. Semplicemente, preferiamo andare a raccoglierla da altre parti. Ancora prima di Netflix o Prime Video e senza nulla togliere a Disney +, ci sono Instagram, Twitch, TikTok, YouTube: viviamo in un mondo in cui nessuno si stupirebbe se, d’improvviso, il tostapane cominciasse a trasmettere qualcosa, qualsiasi cosa. Troviamo il tempo di annoiarci in 14 secondi di storia Instagram, giusto per dare un’idea di quanto sia se non altro scellerato concepire un programma che duri più di tre ore (vero, Mediaset?). L’equivalente di un gigantesco millepiedi che nessuno si augurerebbe di ritrovarsi in casa la sera. Ma lui sta lì. E pretende pure di essere guardato.
Chiara Ferragni e qualunque scappata di casa col dono della sintesi e uno stoico livello di ego da mettere in vendita. Ecco, questo è: le views di un’influencer dura e pura dribblano le cifre dei dati Auditel, le doppiano, triplicano, decuplicano e non gli portano nemmeno i sacchetti della spesa quando la Rai (che può chiamarsi anche Mediaset) ha da attraversare la strada. Che quelle sono tutte #adv, altro che consigli per gli acquisti. Scambio merci? La sfida non è (più) oramai tra Usain Bolt e Marcell Jacobs, la sfida è tra una Ferrari nuova di zecca e il frullatore di vostra nonna. Bello come l’incontro casuale di una macchina per cucire e di un ombrello su un tavolo operatorio, diceva Max Ernst. Ma, appunto, lui di lavoro faceva il surrealista. Non l’inserzionista pubblicitario.
Comunque, lo ribadiamo, la televisione è sempre stata brutta. Quella in bianco e nero ci sembra bella solo perché è corta: Techetechetè insegna che, ieri come oggi, ci sono stati e sussistono altissimi momenti di tv. Ma siamo così sicuri che, per arrivarci, ci sciroperemmo ore e ore di Fantastico ’74? Di buon gusto, in generale, lo spettatore non ne ha mai avuto e col tempo non gli si è sviluppato un palato fine da gourmet. Semplicemente, il telespettatore ha cessato di esistere. Superata la sindrome di Stoccolma, qualcuno che sta sul divano davanti alla tv, sotto ai cinquant’anni, è un’immagine onirica che popola i sogni dei direttori di rete e di chi ancora scrive format per i “grandi” canali Rai e Mediaset. Il telespettatore è un fossile da museo che un giorno, probabilmente già domani, verrà esposto al Louvre. Ma, a differenza della Gioconda, sembrerà sempre che non ti guardi mai.
Cosa dovrebbero mandare in onda, quindi, le sciagurate reti che tuttora esistono e di qualcosa devono pur riempire i palinsesti? La Rai fa ascolti praticamente solo con le repliche (delle repliche, delle repliche) di Don Matteo e del Commissario Montalbano. Mediaset, ne siamo certi, avrà ancora in archivio bobine e bobine del Tenente Colombo, di Walker Texas Ranger, di Un Detective in corsia, perfino. L’alternativa è, come questo settembre televisivo dimostra, mettere in piedi show faraoinici, pure con budget di un certo livello, senza che nessuno (o quasi) si prenda la briga di guardarli se non il giorno successivo, da qualche pagina Instagram che ne riprende gli unici due minuti sensati o divertenti (se va bene).
Fare tv, oggi come oggi, è un duro lavoro. E qualcuno deve smettere di farlo. Perché non ce n’è più bisogno. Se mai ce ne fosse stato.