“Non mi trucco quasi mai, non mi interessa molto. Non sono appariscente, ho giusto un ritocco al naso che avrei potuto fare anche quando mi chiamavo Andrea”. A parlare è Elena, avvocato, giudice onorario quasi cinquantanovenne, che vive nella provincia di Milano e no, non è originaria del Brasile, checché ne pensi Checco Zalone sul serio o per cliché. La querelle sulle persone T ha infiammato le giornate del Festival di Sanremo e noi, abbiamo voluto entrare nel merito della questione raccontando una storia, quella di Elena, direttamente dalla sua voce. C’è spazio per un matrimonio di diciannove anni, una carriera che ora la porta a sostenere legalmente i diritti delle persone LGBTQI+ (seguendole nell’iter per ottenere una nuova carta d’identità, per esempio), ma che l’ha condotta a essere anche avvocato divorzista, a occuparsi di sfratti e appalti nonché di diritto del lavoro. Ha una passione sfrenata per le moto e tra i viaggi più belli su due ruote consiglia assolutamente la Grecia. Questa è la storia di Elena, nata Andrea.
Quando ha deciso di iniziare il percorso di transizione, aveva delle paure o delle preoccupazioni?
La prima cosa che ho pensato è stata come dirlo a chi mi stava più vicino e mi voleva bene. La seconda, invece, è stata: “E adesso io che fine farò dal punto di vista lavorativo?”. Possiamo fare tutti i discorsi di principio che vogliamo però bisogna avere un reddito, rendersi economicamente indipendenti per essere liberi. Quindi tra le mie più grandi preoccupazioni c’era: i miei clienti che per un sacco di anni si erano visti davanti un avvocato con la giacca, la barbetta e il capello corto – anche se quella barbetta già ai tempi non mi piaceva granché – avrebbero potuto pensare che fossi impazzito e darsela a gambe. Certo, si sa che esistono le persone T, ma un conto è vederle in televisione o sentirne parlare sui social, un altro è quando ne incontri una in carne e ossa e scegli di fartici rappresentare a livello legale. Ero terrorizzata.
E poi com’è andata?
In realtà benissimo: non ho perso nessuno dei miei vecchi clienti. Mi sono resa conto di essere quasi più io a sentirmi in dovere di spiegare questo cambiamento e spesso mi ritrovavo davanti a persone a cui la questione non interessava per nulla: volevano sostegno legale, non conoscere a fondo le mie scelte di vita (ride, ndr).
Nessuna reazione negativa?
Ma no, anzi! Ricordo ancora una signora che, mentre le spiegavo come la Thailandia fosse il posto migliore per determinati interventi, si propose di accompagnarmici. Penso che l’avrebbe fatto davvero, è stata molto gentile e non mi aspettavo qualcosa del genere.
È andata bene anche con i colleghi del tribunale? Nessuna discriminazione?
Guarda, io non so se sono tonta e se non me ne accorgo. Però onestamente non ti posso dire di aver subito delle discriminazioni esplicite da parte di qualcuno, men che meno in aula. C’è stata certamente qualche situazione in cui mi sono sentita presa in minor considerazione in ambito lavorativo. Non in quanto persona T, ma proprio in quanto donna.
Del tipo?
Del tipo che le cancellerie alle volte sentendo una voce femminile dicono: “Ok, mandi l’avvocato” e io rispondo: “L’avvocato sono io”. Prima, da Andrea, non mi era mai successo di doverlo precisare. Anche dal meccanico mi sento sempre un po’ come se pensasse: “Vabbè, adesso arriva questa qui che se ne deve pure intendere di motori…”. E invece io, guarda un po’, amo proprio le moto!
Allora non posso non chiederle un viaggio in moto che ha fatto e che consiglierebbe ai nostri lettori...
Sicuramente la Grecia. Ci sono stata tre volte, consigliatissima. Avevo un'enduro un po’ vecchiotta. Ho avuto anche una Honda Transalp 600.
Segnato! Tornando, invece, al periodo in cui si sentiva di raccontare alle persone che aveva intorno del cambiamento che stava per intraprendere…
L’importante per me era chiarire che la mia decisione non fosse un capriccio o un colpo di testa, ma qualcosa che avrei dovuto fare già da tanto tempo e che per mille motivi non avevo poi ancora fatto.
Tra questi mille motivi c’era anche che Andrea fosse sposato?
Certo. Sposato da 19 anni, dopo un fidanzamento durato 7. Amavo profondamente mia moglie e non volevo in nessun modo rischiare di mettere in pericolo questa relazione. Perciò ho rimandato tanto l'inizio del mio percorso di transizione.
E come l’ha presa l’ex consorte, una volta che si è sentita comunicare questa decisione?
Lei l’ha presa malissimo. Mi diceva: “Tu per me sei morto, non esisti più”. Voleva anche l’annullamento dalla Sacra Rota.
La trovo una reazione comprensibile.
Sì, col senno di poi, assolutamente. Sul momento, invece, per quanto comprendessi il suo dolore, mi dispiaceva il fatto che non riuscisse a comprendere questa mia necessità (che sicuramente non era facile da capire a caldo).
E cosa ha fatto?
Non ho mollato: ho scelto la strada del dialogo – non è stato per nulla semplice! – per farle capire che il mio non fosse un gesto estemporaneo o dettato da problemi che potevano esserci tra me e lei. Siamo andati avanti così, a cercare di parlarci e chiarirci, per un anno.
Ha funzionato?
Devo dire che quell’anno di sofferenza terribile, per me come per lei, si sia rivelato poi davvero proficuo: ancora oggi ci vogliamo bene e siamo molto legate. Ognuno ha la sua vita sentimentale… Cioè lei ce l’ha davvero e io no, ma comunque ogni tanto ne parliamo anche tra noi: mi dà consigli e mi boccia quelli che proprio non le piacciono. Sulle prime, mi sembrava una cosa strana ma lei mi ha detto: “Senti, se non lo chiedi a me che ti conosco da una vita, con chi dovresti confidarti?”. Insomma, tra noi è tutto sereno e tranquillo, il suo compagno mi sta molto simpatico e ci capita anche di andare in gita in montagna tutti insieme. Sono contenta perché ha trovato proprio una brava persona (e spero capiti anche a me!).
Andrea è sempre stato Elena?
Ognuno ha la sua storia e il proprio percorso. Io ti posso parlare della mia personale esperienza. Fin da quando ero bambino, avevo difficoltà a inquadrarmi nella casella del “maschietto”, come poi da grande non riuscivo a riconoscermi nel ruolo sociale del “maschio alfa”. Ricordo il mio primo Big Jim: i miei compagni di classe erano esaltati perché poteva fare mosse di karate, io più del lato “machoso” di questo bambolotto muscolosissimo, apprezzavo il fatto di potergli fare dei vestiti. Come se fosse una Barbie, ecco. Alle elementari non capivo il senso dei giochi “maschi contro femmine” anche perché stavo bene in compagnia sia degli uni che degli altri. Poi avevo questa propensione verso i gioielli e i foulard di mia madre che provavo giocando insieme a mia sorella. A 12 anni mi mettevo gli stivali della mamma, raccontandole che da grande mi sarebbe piaciuto fare il soldato. In realtà, li volevo indossare perché erano da donna. Questi sono stati tutta una serie di segnali che però non ho letto, ci ho messo tantissimo tempo a capire.
Tant’è che a un certo punto Andrea si è sposato, appunto. A quanti anni?
Andrea si è sposato a 32 anni. La sera prima ero qui in casa con i Pink Floyd a palla a piangere come un vitello sacrificale. Io non me la sentivo. Avevo paura di non essere all’altezza del matrimonio perché temevo che la mia futura moglie mi volesse bene più di quanto gliene avrei potuto volere io.
Al netto del fatto che, prima del matrimonio, avere delle ansie e delle paure anche grandi sia perfettamente legittimo, pensa che Andrea si sentisse in qualche modo “obbligato” a fare questo passo?
Sì. Ma non dalla mia ex moglie, ci tengo molto a sottolinearlo questo. Il fatto è che vivevo in una società per cui un maschio nasce, cresce e a un certo punto si sposa. Non è che ci fossero alternative. Allora, raggiunta l’età “giusta”, ho sposato lei perché le volevo davvero bene e sapevo che, altrimenti, non l’avrei fatto con nessun’altra. Poi sentivo, soprattutto, la pressione da parte delle famiglie di entrambi.
Come racconterebbe il periodo della transizione? È stato come si aspettava?
Allora, una transizione di solito ha un inizio ma difficilmente ha una fine. Dura tanto e nel mio caso ancora di più perché, per esempio, ci ho messo tre anni di percorso psicologico (tutto meno che facile!) per capire quale fosse il mio “problema”: non riuscivo a comprendere perché le cose non andassero bene con mia moglie, o come mai non volessi avere la barba e i peli, facevo in modo di evitare questo discorso in primis con me stesso da una vita. Quando ho realizzato che la transizione fosse la strada giusta per me, sono passati altri quattro anni: non è facile perché c’è da fare un percorso psicologico e personale, oltre a quello fisico, di cambiamento.
E nel frattempo in tribunale…
Avevo iniziato a fare il giudice onorario al tribunale quando ero ancora assolutamente maschietto. Piano piano, avevo abbandonato i completi da uomo optando per un abbigliamento che fosse meno dichiaratamente maschile. Da un punto di vista estetico, il cambiamento della transizione da uomo a donna è molto dirompente rispetto a quello da donna a uomo. Non puoi metterti una gonna se fino al giorno prima ti chiamavano Andrea. Inoltre, non ho una struttura fisica femminile quindi non potevo indossare ciò che mi sarebbe piaciuto. Compravo e mettevo vestiti oversize, praticamente me ne accorgevo solo io della differenza ma per me era importante. Stavo davanti all’armadio e mi chiedevo: “Cosa metto oggi? Questo no, fa troppo uomo. Questo no, fa troppo donna”. Era un casino. Avevo 30 completi da uomo tutti grigi o neri. Al massimo, blu. Io non mi sentivo così.
Adesso che colori preferisce indossare?
Mi piace un sacco l’arancione. Ma, a prescindere da questo, tengo a dire che la transizione estetica e sociale è difficile secondo me più di quella fisica. Nel senso: se voglio una mastoplastica additiva, faccio l’intervento e ok, finisce lì. Il problema è che poi mi devo presentare al mondo, ovvero devo proprio uscire di casa così.
Ha avuto difficoltà in questo senso?
Per un periodo non sono uscita di casa, sì. Poi le prime volte non avevo ancora rimosso completamente la barba quindi dovevo mettermi questa specie di “cemento” sulla faccia… Giravo a testa bassa, non incrociavo mai lo sguardo di nessuno, uscivo per il tempo strettamente necessario a fare quello che dovevo e tornavo indietro. Piano piano, ho preso fiducia. Perché, piano piano è così che va per tutti coloro che attraversano la transizione: anche se sulle prime sembra impossibile, gradualmente, prendi fiducia. Per me la svolta è stata quando mi sono fatta togliere la barba e lì ho capito che forse potevo farcela anche tecnicamente (ride, ndr). Da allota, ho cominciato a vivere maggiormente a mio agio. Adesso esco, mi diverto, sorrido molto di più: tutte cose che fino a due o tre anni fa avrei ritenuto impossibili.
Le è mai venuto da pensare: “Ho fatto una cazzata”?
Mai. Avevo paura, non era facile, ma non ho avuto nessun ripensamento. Era una strada complicata, certo. Ma era la mia.
Oggi è felice?
Oggi nello specifico di questa giornata, non saprei (ride, ndr). Ma in generale, non ho dubbi: assolutamente sì.