Ne abbiamo lette di tutti i colori rispetto ai pochi, pochissimi snodi narrativi che un Festival di Sanremo altrimenti assolutamente intorpidito ha espresso. Anzi, no, scusate, scherzavo. Ne abbiamo lette di un solo colore, il colore dominante, il nero. Perché abbiamo letto gente che si è indignata per la scenetta, a copione, di Blanco che prende a calci i tappeti di rose disposti a mo di scenografia per la sua esibizione, esibizione che non è andata come invece previsto dal copione, perché lui non è riuscito a cantare, trasformando un remake live del video del brano che stava eseguendo in una specie di sfogo rabbioso, poveri cuccioli. Abbiamo letto di gente che ha sussultato per il vestito, Dior, mica buttato lì con un gessetto e due stracci da un punkabbestia, esibito da Chiara Ferragni, l’anatomia femminile esposta come già era accaduto con Madame un paio di anni fa, la collana Schiaparelli a forma di utero e i capezzoli in metallo della finale sfuggiti solo perché oscurati dal resto. Abbiamo letto di denunce e lamenti e lai per il twerk e l’orgasmo mimimcamente simulato da Rosa Chemical e Fedez, ciliegina sulla torta un limone duro finale, a beneficio di videofonini. Tutta roba da finire nelle dichiarazioni dei politici. Nelle denunce in procura, di volta in volta per procurato danno, non si sa bene a chi, per atti osceni in luogo pubblico, per aver violato la tutela dei minori, come se invece far parlare Gino Paoli delle corna di Little Tony fosse nella norma. Insomma, Sanremo è finito da qualche giorno ma ancora se ne parla, e sempre nella medesima maniera. Scandalo. Il tutto mentre i Ferragnez rubano la scena con i loro siparietti, anche quelli scritti, solo da sceneggiatori più abili e sul pezzo. Le foto senza Fedez, le foto senza fede, gli sbrocchi contro giornaliste che fanno inchieste farlocche, il body shaming in odore di omofobia in bocca a chi ha fatto dell’inclusività la parte portante del proprio business, smalti per uomini, ok, basta che non si abbia la voce effeminata. Poi c’è la vita reale, là fuori, quella della gente comune, un network direbbe la very normal people, quella che arriva a fatica a fine del mese perché i prezzi di tutto sono saliti alle stelle e mai più scesi, prima col Covid, poi con la guerra, l’aumento del gas, il Leone in Urano, e vai di reddito di cittadinanza, di bonus 110%, di tutto quel che vi passa per la testa.
Ecco, in questo passaggio repentino, e poco spettacolare dalla vita finta raccontata nei social, passando per la televisione, perché siamo pur sempre una società ancora ancorata a vecchi valori, succede che due immagini si sovrappongano, l’una parte di una sceneggiatura, l’altra reale, l’una con protagonista un giovanissimo ragazzo di provincia, l’altra pure. Da una parte c’è Blanco, gli ear-monitor che non passano le linee voce su cui cantare, la rabbia che lo spinge a prendere a calcia tappeti di rose, lui che avrebbe dovuto cantare L’isola delle rose, appunto, riportando sulle assi dell’Ariston il video omonino, un fermo immagine che ce lo mostra di bianco vestito, in nomen omen, la gamba destra alzata a colpire non si sa bene che rosa, dall’altra sei ragazzotti, anche loro giovani, si presume toscani, di nero vestiti, in nomen omen anche qui, appartenenti a Azione Studentensca, che prendono a calci non rose, figuriamoci, siamo sotto San Valentino, la donna non si tocca neanche con un fiore, ma un ragazzo, di rosso vestito, in nomen omen, sei contro uno, perché il branco agisce in gruppo, e perché, ben ce l’ha detto J-Ax nel testo della canzone portata col suo socio Dj Jad a Sanremo, Un bel viaggio, anche se lì si parlava di tutt’altro, “i coglioni funziano in coppia”, nello specifico tre coppie, sei i fascistelli lì a prendere a calci due ragazzi, uno steso a terra, di fronte al Liceo Michelangelo di Firenze. Fascistelli messi in fuga da un professore coraggioso, che minacciava di chiamare la police, come nella canzone di Tananai. Questa scena, un ragazzo con giacca a vento rossa a terra, preso a calci da due ragazzi vestiti di nero, va detto, ha fatto un po’ meno clamore di Blanco che prende a calci le rose, sarà che le rose son rose, un ragazzo che prova a far sentire la sua contro dei fascistelli crea meno hype. Certo, Fratelli d’Italia Firenze ha condannato il gesto violento, anche se ha chiesto che tutta la situazione venga ricostruita per bene, sia mai che la colpa è proprio dei due a terra, presi a calci, “gli ho dato una nasata nel pugno” era la battuta scema di non ricordo che film, la fantasia supera spesso la realtà. Blanco è indagato dalla procura di Imperia, ne parliamo da quasi due settimane. Colpevole di aver messo in scena una violenza spropositata, scritta e interpretata, certo, ma spropositata. I sei fascistelli che se la sono presa contro due ragazzi, invece, no, lì è una faccenda dei giovani, tipo il taglio alla francese, o come cazzo si chiama quella nuova moda che impera su Tik Tok, mica vorremo stigmatizzare i giovani, che già hanno passato in casa tutti i mesi del lock down, meglio fascistelli a prendere a calci gli altri che hikikomori, non scherziamo.
Il punto, temo, anzi, ne sono certo, non è solo e tanto il gesto fascista, abbiamo la testa che abbiamo, quindi il governo che abbiamo, il linguaggio che ci siamo fatti andar bene finché non è diventato routinario, quanto piuttosto l’aver concentrato troppo l’attenzione verso l’effimero, al punto che il problema non è più un assalto squadrista e violento, violenza vera, quanto quella rappresentata in maniera magari scomposta dentro la televisione, come il punto non è aver accettato e quindi fatto passare per buono un linguaggio e quindi un comportamento che vuole sia norma dare del “frocio” o della “puttana” a chiunque si comporta in modi che non si ritengono idonei, dal non mettere la freccia mentre si è in auto al chiedere magari che venga rispettata una fila alle poste, quanto piuttosto che, per spettacolo, un cantante limoni, anche lì a copione, un altro cantante, atti osceni in luogo pubblico, diffusione della cultura gender, robe da froci.