La vicenda di Matteo Messina Denaro, morto dopo un tumore, è rilevante non solo per la “vittoria dello Stato” arrivata (per qualcuno tardivamente) contro uno dei criminali più ricercati del mondo, ma anche per l’importanza di questo caso nella comprensione della complessità umana (spesso contraddittoria) e della personalità di una figura capace di crimini efferatissimi e, allo stesso tempo, di lettere piene di amore, di filosofia, “tagliate” con lo sdegno verso l’autorità e il vero e proprio vilipendio (su tutti, quel «le commemorazioni di sta minchia», in riferimento alla ricorrenza per l’anniversario dell’attentato al giudice Giovanni Falcone, insieme alla sua scorta). Degli oltre 300 file audio visionati, abbiano selezionato i più importanti, quelli in grado di fornirci un ritratto sempre più completo di Messina Denaro e della sua doppia vita. Attraverso la sua voce possiamo ricostruire i tratti di una persona in grado di portare avanti con convinzione una vita parallela, fatta di affetti sinceri e di lavoro. Soprattutto con le sue amiche, e con lei – che noi abbiamo chiamato con un nome falso, Paola – in cura insieme a lui per un tumore. Ecco tutto ciò che possiamo raccontarvi (lo avevamo già fatto a febbraio) di Andrea Bonafede alias Matteo Messina Denaro.
«Zelensky è un mascalzone, io sono contro la guerra e per l’umanità»
C’è chi si sarà immaginato Messina Denaro come un lupo solitario fuori dal mondo, disinteressato all’attualità, in un anonimato autoimposto. Ma, nonostante il basso profilo, Matteo Messina Denaro dimostra di avere le idee chiare su molti temi scottanti per i nostri tempi. Tra tutti, anche sulla guerra tra Ucraina e Russia. Mentre molti in Occidente si sono schierati a favore dell’Ucraina, Messina Denaro ha un’idea diversa e la confida in un audio a un’amica pro-Ucraina. Lui, dice, non è come tutti, ragiona con la sua testa e non si fa influenzare dalla tv: «Al primo posto metto sempre l’essere umano e le guerre sono comunque uno schifo. Però rifletti bene su chi ha torto e chi ha ragione, perché io so che tu sei pro-Ucraina. Io invece sono pro-civiltà e anti-guerra». Dichiarazione che assumono un carattere grottesco, se si immagine che dietro a quel nome salvato in rubrica, Andrea Bonafede, si nascondeva un assassino ricercato, colpevole di aver persino bruciato nell’acido Giuseppe di Matteo, un ragazzo di 14 anni figlio di un pentito, morto dopo due anni di prigionia in seguito al rapimento avvenuto nel 1993. Ma Messina Denaro non si limita a dichiararsi contro la guerra e a favore della civiltà. Al contrario, sceglie di esporsi anche nei confronti delle colpe e delle cause del conflitto: «Che gli ucraini hanno ragione, non hanno ragione. Hanno torto, soprattutto questo mascalzone di pseudo presidente, uno zero che sta facendo morire un sacco di persone civili, suoi concittadini, per fare il megalomane. Perché vuole la guerra mondiale».
La discussione evidentemente non si esaurisce e Messina Denaro arriva a parlare anche del tema dell’accoglienza e del futuro delle donne ucraine in Italia, che non sembra molto promettente: «Quando nell’86 accadde questo fatto dell’ospitalità, io a quell’epoca ero un giovane, circa 25enne, e frequentavo pochissimo casa di mia madre, veramente molto poco. Avevo altre situazioni mentali all’epoca. Però le volte che ero là mi raccontavano, queste ucraine. Per prima cosa non avevano legato neanche tra di loro queste ragazzine. Nemmeno si conoscevano, […] nemmeno si parlavano tra di loro. Queste ucraine non sono per niente come noi, noi siamo gente di calore, con il cuore, gente che diamo tutto. Noi siamo gente che diamo pure il nostro letto per l’ospitalità. Queste vedi che non sono così. Sono persone molto molto fredde. La tua amica … [pro Ucraina, ndr] se ne è accorgerà con il tempo. Ora, passando, poi, a un lato diciamo politico, che io non sono nessuno, il punto è un altro: invece, di far venire quest’orda di persone impaurite, poverette, malate, ferite, con fame, perché invece di fornire le armi – dico agli Stati occidentali – non dicono a questo buffone di presidente di dimettersi, sistemare le cose e fornire aiuti umanitari? […] Qua lo sai come andrà a finire? A prostituzione. Qua si prostituiranno quasi tutte, per non dire tutte. Ma non dico che si prostituiranno sui marciapiedi, ma nelle case dove abitano. Si sta creando una situazione paradossale, […] perché in genere il popolo segue la televisione e i telegiornali, io non sono così. Ci vogliono far capire che quelli hanno torto. Non hanno torto, non è Putin che vuole mettere missili in America, è il contrario». Sono oltre quattro minuti di audio, in cui parla della guerra civile in Donbass, del caso della Libia e del fatto che gli Stati Uniti, se la Russia non fosse una potenza nucleare, avrebbe già bombardato Mosca.
Contro i vigili urbani: «Sono repressi, soprattutto le donne»
«Ma perché non rispondi? Comunque, ti volevo dire. Parto dal benzinaio, faccio 30 metri, mi sorpassa uno scooterino con una ragazza sopra, si va a schiantare con un’auto posteggiata. Cappotta, mi fermo, la sollevo, la prendo, urla, nel mentre, dopo due tre macchine spuntano i vigili urbani, vengono, dicono: “Lei perché la sta soccorrendo?”, “Ma non la devo soccorrere?”. Nel mentre […] non riuscivo ad alzarla, perché il braccio destro è fuori uso. Quella è una donna, il vigile urbano si mette a inveire perché io non devo mettere le mani… Va be’, mi sono girato, mi sono messo sulla macchina e me ne sono andato. […] Mi hanno scassato il cazzo questi discorsi, cioè uno ora non può aiutare una persona che ha un’incidente, perché quelli hanno la divisa». Che Messina Denaro non nutrisse simpatia per le forze dell’ordine si poteva immaginare, ma i motivi che emergono, legati a una forma di antipatia comune, sono presi dalla vita di tutti i giorni, dalle piccole cose. Così si racconta, attraverso gli aneddoti di un uomo come altri. Negli audio, subito dopo il primo, racconta di un altro caso: «Senti questa, sempre sui vigili urbani. Secondo me hanno seri problemi, questi sono repressi, specialmente le donne». Era a Isola delle femmine, e doveva pagare il parchimetro. 4 euro per un paio di ore, ma aveva solo un pezzo da 20. Non sapevo dove cambiarli li mette, sperando nel resto, che però non arriva. A quel punto gli dicono che lì, a Isola, usano questo stratagemma per fare cassa. Lui vede due vigili e decide di andarci a parlare: «Siccome dovevo andare da quelle parti, ci arrivo vicino e la donna [erano due, un uomo e questa agente, ndr] mi dà le spalle. Allora dico: “Mi scusi signore”. Questa si gira, era tipo in viso truccata malissimo, truccata alla Moira Orfei. […] Questa tutta crollante in faccia, io le dico: “Mi scusi signora”, lei mi fa: “Brigadiere prego”. […] Quella era così presa che prima deve essere brigadiere e poi donna». Potremmo dire, con il linguaggio giornalistico di questi anni, che Messina Denaro sembra apprezzare molto il “politicamente corretto”. Intanto ci parla di due occasioni, in cui degli agenti della polizia avevano accanto uno degli uomini più ricercati al mondo, ma non avrebbero potuto mai neanche immaginarlo.
«Non parlare con Dio, parla con me»
Matteo Messina Denaro è appena uscito dal dentista, sta ancora scendendo le scale. Intanto manda un audio in cui racconta di essere stato avvicinato da una «una donna a pagamento, una prostituta diciamo. […] Mi ha detto che mi ospitava a casa sua, si è qualificata. Comunque mi sono comportato normalmente, con educazione, come sempre. E si è chiusa là». Discutendone al telefono con un’amica, lei chiede a Messina Denaro: «Ma tu la borsetta Vuitton avevi? […] Ah, allora è per quello». La donna ci avrebbe provato perché associava la borsetta alla ricchezza dell’uomo che la indossava. Una tesi che però fa storcere il naso a Messina Denaro: «Ma dimmi una cosa, non è possibile che questa creatura fosse anche un tantino interessante? Perché deve essere per forza per la borsa? La creatura non può essere interessante e questa donna è stata attratta da quest’uomo? No? Allora io non valgo niente?». Se avvicinato a un altro audio, sempre diretto allo stesso destinatario, sembra quasi che Messina Denaro si risponda da solo. Parla della malattia e del fatto che una sua amica abbia detto di non voler parlare con Dio. Lei è preoccupata, deve scegliere se restare a curarsi in zona o andare a Milano, se proseguire con la terapia o provare subito un intervento. Lui le dà un consiglio che si può solo immaginare quanto sia servito a lui nel corso degli anni. Le consiglia di non andare nel panico: «Se ti fai prendere dal panico tutto peggiore nella tua vita». E su Dio dice: «Io non credo che esista, ma pure se esistesse non hai motivo di andare a parlare con noi. Parla con noi, parla con me […]. Che quanto meno ci facciamo qualche risata».
Ancora sulla malattia
Ecco cos’è stato Messina Denaro per Paola, un amico, un confidente, un consigliere. Una spalla che parlava sulla scorta di un’esperienza nera, oscura, fatta di violenza e di segreti. Un’esperienza che non ha lasciato spazio, per trent’anni, al panico. Una vita, la sua, trascorsa nel segno di una forza e di un’autonomia corrotte, al punto da rovesciarsi nella violenza e nell’isolamento. Nulla gli ha mai fatto paura, né lo spaventa la malattia: «Pure il tumore ha paura. Dice: “Questo mi vuole ammazzare”». Che senso potrà avere quel verbo, “ammazzare”, pronunciato da uno come Messina Denaro, anche se in modo figurato?
Amo la spremuta di arancia calda (e i bei culi)
Messina Denaro cerca di riempire le giornate con brevi audio e messaggi leggeri, senza impegno, a cui si affiancano quelli sulla malattia e qualche uscita infelice, come quella sulle commemorazioni delle stragi. Parla di sé, delle sue abitudini, dei suoi rimedi casalinghi, come l’aloe usata per le bruciature. O di come preferisce bere la spremuta: «A me piace riscaldata la spremuta d’arancia. Te lo specifico se no tu pensi “ma perché ha messo la spremuta d’arancia nel microonde”». Parla dello shopping di lusso, come da Louis Vuitton, dove però gli chiedono di registrarsi più volte, perché capiscono che è un cliente abituale, dal momento che conosce i capi. Lui che, dice, non si registra mai. Un piccolo segnale di una persona che forse non vuole essere rintracciata. Poi i continui riferimenti alla bellezza femminile. Anche riguardo alla sua amica per cui, garantisce, l’affetto è nato nel momento in cui ha scoperto il suo carattere, ma ammettendo di averla notata ben prima: «Se tu non avessi questo carattere così che hai, per esempio io non ti avrei … cioè, sì, ti avrei conosciuta perché mi ricordo che la prima volta che ti vidi ero seduto nella sala d’aspetto, quella dove ci sono gli ascensori, e quando io ero seduto e tu non c’eri sei uscita dall’ascensore e ti sei incamminata […] un tratto alzo gli occhi e ti vedo di spalle, vedo un culo, un bel culo che camminava. E mi son chiesto: “Ma di chi è questo culo” e ho capito che eri tu, e da là abbiamo fatto amicizia. Però, se non avessi avuto questo carattere tutto finiva là. Quindi tu hai un senso se sei maliziosa e se sei una rompicoglioni. Se non sei una rompicoglioni non vali niente».
Sul pilates e le cose moscie
Lui è il primo a essere smaliziato, parla senza filtri, con leggerezza e di tutto. Nei discorsi nelle chat private è dotato di una trasparenza naturale, probabilmente propria della sua indole, ma costretta interamente nei confini delle sue vere relazioni sostenute con un’identità falsa. Una trasparenza, quindi, giocata nella contraddizione: essere sinceri dentro una più grande menzogna. Con tanta leggerezza parla anche del pilates, ricordando dei giorni in cui andava in palestra e una sua amica faceva sollevamento pesi. Lui le chiede perché non faccia pilates piuttosto, ma l’amica risponde: «No, il Pilates l’ho fatto qualche anno fa. Troppo lento, addirittura mi mettevano una musica tipo di onde del mare, con la risacca e a me veniva da addormentarmi. Parliamoci chiaro, a me le cose mosce non piacciono». Un’ulteriore aneddoto che serve per ironizzare sulla scelta delle due amiche di fare pilates: «Ragazze, cioè ma come ragionate. Vi siete messe in soffitta? Dai. Ciao cià». Quel “ciao cià” che è quasi una firma. Ancora una volta, un vizio retorico leggero, simpatico persino. Come simpatica voleva essere una battuta ancora una volta inviata per messaggio vocale: «Ambasciatore non porta pena, ma porta pene».
Sulla ex e sui ristoranti
Si lamenta anche dei ristoranti, ne fa la recensione. Prende una bistecca risultata durissima, un’insalata, una porzione di ananas. Beve una Coca-Cola. «Di positivo ho visto soltanto due cose: la celerità e la pulizia». Ma non è soddisfatto della cena, né del consiglio della sua amica di provare questo ristorante, più adatto, forse, a dei ragazzi che vogliano mangiarsi una pizza. Preferisce l’altro locale, «nettamente superiore», dov’era stato a mangiare pochi giorni prima. Racconta un aneddoto: «Diversi anni fa sono stato invitato a una cena privata […]». Siamo a casa di una sua ex, lui è lì a passare la serata insieme alla sua compagna del tempo. «Eravamo circa un venti commensali e abbiamo cenato, discretamente bene perché è una signora che non è che faceva niente a casa. Questa fece tutta la serata a rompere le scatole e a darmi frecciatine in qualsiasi modo (però io facevo finta di niente; perché io sono un tipo abbastanza litigioso, però poi quando sono in certe situazioni divento un buon incassatore […])». A fine serata la sua ex lo avvicina e chiede in modo insistente un parere sulla cena. Lui cerca di sviare, ma dopo la terza quarta volta non riesce più: «Ma, sai, io vorrei evitare di dirti la risposta, ma dato che tu ci tieni tanto: mi è sembrato di cenare su un vagone ristorante di un treno. Il treno era di seconda classe».
Sono un leone e quella fissa per la voce di Angelo Duro
Battute e battutine intervallate da brevi video presi da Instagram e condivisi. Ancora una volta, all’insegna di una leggerezza che reputeremmo inconciliabile con la storia criminale di quest’uomo. Come quello di un leone che difende la carcassa della sua preda dagli sciacalli. Messina Denaro si riconosce in questo animale. Lui stesso disse una cosa: «Io sono un leone». La sua anima felina non è quella mansueta di alcuni gatti domestici. Scherzando sembra suggerirlo anche un altro video, stavolta di un gatto che, tenuto in braccio in mezzo alla gente, prova a graffiare chiunque si avvicini per accarezzarlo. Un gatto che nel video ha la voce di Angelo Duro: «Come vi devo trattare, bene? Non esiste. Vi faccio passare un’ora di merda».
La musica di un tempo
Abbiamo già parlato di quest’umorismo boccaccesco ed esplicito. Messina Denaro ah spesso condiviso contenuto del genere, boutade, piccole freddura, video scovati nel web. Per esempio quello delle due ragazze che, dicono, non vogliono fare le pasticciere: «Ma essere montate». Lui non ha particolari preferenze, pesca e ricondivide quello che passa nella sua home. Forse è tra i pochi a ricordare Umberto Napolitano, un cantante conosciuto soprattutto al sud. Lui, nella sua chat, manda questa canzone, Come ti chiami, scovata su Facebook. Una chicca, direbbero i più, che fa sorridere se si pensa che il titolo poteva rivolgersi proprio ad Andrea Bonafede/Messina Denaro: “Come ti chiami?”. Ci sono anche dei video motivazionali, forse per farsi forza di fronte alla malattia, più per Paola che per lui, che non si fa sorprendere mai spaventato dal tumore e non tradisce mai, negli audio, tristezza. «Dicono che le difficoltà rendano forti. No, le difficoltà rivelano chi è forte. Ci permettono di scoprire una forza che non avremmo saputo di avere. Ma non fortificano, stancano. E le persone forti sono stanche anche se ce la fanno».
«Il mondo l’ho calpestato, dovrei scrivere un libro sulla mia vita»
«Sai questo fatto di scrivere un libro me lo hanno detto tante volte anche altre persone? Perché, veramente, tutta la vita all’avventura, se vi raccontassi … [ride, ndr] Però è stata in un certo qual modo bella, dai». Così sembra giudicare la sua vita. Un’avventura degna di un libro, a tratti assurda, ma – alla fine – bella. E quella risata leggera, di un uomo che si guarda indietro, sembra, senza troppe difficoltà.
Lui non ha paura di nulla, si è detto; anzi, il tumore, il suo nemico più grande (più delle autorità che lo cercano da oltre trent’anni?), ha paura che sia Messina Denaro a uccidere lui. «Vedi com’è la vita. Cioè, io per guadagnarmi qualcosa, la qualsiasi cosa, anche una mollichina, ho sempre dovuto faticare. E anche faticare mentalmente, non dico fisicamente. Poi arriva una donna, qualsiasi donna, e con due battiti di ciglia mi corrompe il gestore della chiesa e ci fa fare improbabili. Se glielo chiedevo io, a questo grazioso gestore, se acconsentiva. Con me la busta voleva, cioè non ci piove».
«Io ho faticato»
In qualche modo emerge, nella vita di Andrea Bonafede, quanto Messina Denaro vede di sé nello specchio degli anni. La difficoltà, non solo fisica ma anche menale, di una vita che chiede a un uomo più di quanto la maggior parte degli uomini sarebbero, moralmente, disposti a dare. Una vita che lo ha fatto «faticare», dice. Nulla gli è stato scontato, vorrebbe dire, niente. Ma, e quella risata alla fine dell’audio sulla sua vita assurda lo conferma, non sembra aver posto, almeno in quei giorni di relativa libertà, il rimorso o l’insoddisfazione. Al contrario, sembra non averne abbastanza. Fa un calcolo, in uno degli audio. Posto 50, gli anni che un uomo mediamente vive, 25 li passa a dormire: «Se io nel tempo della vita vissuta mi metto pure a dormire, quanto cavolo mi resta da vivere? Quindi cerco di sfruttare il mio tempo». Messina Denaro si sente protagonista della sua vita, tanto da non temere troppo la morte: «Nella vita bene o male ho fatto tutto, io il mondo l’ho calpestato».
«Io non ho un cassetto dei segreti»
Messina Denaro è anche un uomo che si confida, che parla dei suoi problemi privati, le liti con la figlia, la delusione, anche l’amarezza. Ha già detto di essere un uomo litigioso, nonostante negli audio si faccia sentire sempre affabile e scanzonato. Ma con la figlia sembra non sapersi trattenere: «Io credo che nemmeno nell’immaginazione più perversa può accadere una cosa del genere. D’altronde ho notato che tu, verso tuo figlio, sei molto protettiva, ed è giusto così. Secondo me vivete in simbiosi. Quindi poi ti renderai conto quando tu avrai una nuora, il rapporto che può nascere tra te e costei. Poi te ne renderai conto, perché con la figlia è diverso, così come se io avessi un figlio sarebbe diverso. Ma quando si è papà con la figlia femmina o con il figlio maschio, tutto cambia. Poi queste persone no sono adatte al mio carattere e nemmeno a mia figlia, ma comunque lei lo vuole. Tra parentesi ci sono pure novità che ho scoperto ieri pomeriggio, quindi ho deciso che domani e dopodomani mi faccio quella merda di terapia, mercoledì mi vado a togliere la bottiglie e poi giovedì vedo a mia figlia, parlo chiaramente, quindi o le cose si rimettono in una certa situazione, o se ne va lui e pure lei da casa mia. E dove cazzo se ne vogliono andare se ne vanno, perché la sopportazione ha un limite e io già l’ho raggiunta. Poi più in là te lo spiego». Rimanda a una prossima volta il racconto del torto che sua figlia gli avrebbe fatto: «Per ora sono troppo incazzato». Paola dovrà aspettare un altro audio, ma sa che Messina Denaro – per lei solo Andrea – non mancherà di farsi risentire e di finire la storia. È lui stesso a dirlo, sottolineando che non ha nulla da nascondere: «Poi te la racconto, perché io non tengo niente nel cassetto dei segreti. Io non ho un cassetto dei segreti». Lui, la cui vita è stata per oltre trent’anni un segreto in sé.