Viene da Napoli ma si fa chiamare Bosnia, si sente figlio del Sud, ma vive nella città della nebbia. Filippo Bosnia si contenderà stasera uno dei sei posti disponibili per la finale di Sanremo Giovani, che verrà disputata il 18 dicembre in diretta su Rai Due. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il suo percorso e abbiamo parlato anche di scuola, del regno delle due Sicilie, di televisione e del perbenismo moderno. Ecco la nostra intervista.
Il tuo nome d’arte è Bosnia ma canti “Vengo dal Sud” in napoletano, facciamo un po’ di chiarezza sulle tue origini?
Bosnia è il mio cognome. Siamo l'unica famiglia in Italia. Un cugino di mio padre, che si chiama tra l'altro Filippo Bosnia ha fatto delle ricerche sull’etimologia del nostro nome. Ha scoperto che effettivamente il primo Bosnia veniva proprio dalla Bosnia. Era un figlio illegittimo di un duca di Bosnia, mandato in Italia con la mamma, che era povera e non poteva accudirlo. Lo lasciò sulla ruota degli esposti con un foglietto con scritto “Filippo dalla Bosnia”. Quindi si, un po’ sono slavo.
Però sei nato e cresciuto al Sud?
Sono napoletano, ma i miei nonni sono entrambi calabresi. Il rapporto Napoli-Catanzaro per me c'è sempre stato, in estate andavamo là tutti gli anni. Sono proprio legato al Sud Italia. Per anni ho fatto l'animatore nei villaggi turistici e mi sono girato tutto il Sud. Secondo me è come se fosse un'entità tutta insieme. Anche se senti i vari dialetti, con diversi accenti, hanno comunque tanto in comune con il napoletano o con il siciliano, che erano le lingue del Regno delle due Sicilie un tempo.
Che rapporto hai con la tua terra?
Sono sempre stato molto appassionato della veracità in generale, poi io personalmente non ho avuto un bel rapporto con Napoli. C'è stato un periodo in cui non mi sentivo valorizzato nel posto dove stavo, oppure non ero riuscito io a valorizzare il posto dove stavo. È stato uno dei motivi per cui quando avevo 16/17 anni sono andato a vivere a Roma, da mia mamma. Non volevo più tornare a Napoli, però poi alla fine devi fare i conti con il fatto che, se tu oggi sei quello che sei, dipende dal posto da dove vieni. Poi il fatto che io non abiti lì è perché semplicemente io sono una persona molto curiosa, a me piace girare.
Nel testo dici “Sti fabbriche 'e nebbia me danno fiducia”, per questo ti sei trasferito a Milano?
Io sono uno che vive e spinge gli altri a vivere di curiosità: viaggiare, vedere il mondo, uscire dai propri schemi. L'opportunità nasce dove c'è valore, quindi se nel posto da dove una persona proviene quel valore non può essere sottolineato, è anche giusto andare dove viene apprezzato di più. La mia critica a Milano è nel vedere che è vero che hai un certo tipo di opportunità, ma a che costo? Perché si, puoi scegliere di fare quel tipo di stile di vita, quel tipo di percorso di vita e magari raggiungi i tuoi obiettivi, però poi lavori 12 ore al giorno…
Tra i concorrenti di Sanremo Giovani molti hanno già fatto un percorso televisivo, qual è il tuo punto di forza rispetto a loro?
Che quando sto sul palco sono tranquillo, cioè mi diverto e mi diverte far divertire. Sicuramente questa cosa a volte gioca a mio svantaggio, perché mi lascio troppo andare. Sono grato veramente alla vita per questa esperienza, perché sto crescendo tantissimo. Rivedere la tua performance in televisione sottolinea i punti forti, ma soprattutto i punti deboli, che ti danno lo stimolo per crescere. Apprezzo tantissimo degli artisti e delle artiste che ci sono quest'anno, che si vede che hanno fatto già questo tipo di mestiere, sono dei professionisti. Questa cosa stimola un po’ di sana competizione. Io non mi sento l'ultimo arrivato, ho fatto tante esperienze che mi hanno formato e mi stanno facendo pensare che, se sono su questo palco con loro, un motivo ci sarà.
Ho guardato un po’ il tuo Instagram e ho visto una foto con una classe di bambini, hai fatto l’insegnate?
Lo faccio ancora, tutti i giorni.
Che ruolo ha avuto l’insegnamento nella tua vita?
La scuola non c'era prima nella mia vita, è arrivata in un momento dove forse serviva più a me. È grazie alla scuola se io oggi sto qua. Mi ha fatto rivalutare una serie di pensieri, prima ero ossessionato dal concetto di avere successo, dal fatto di dovercela fare a tutti i costi. Il mio valore era determinato da quanti follower avevo su Instagram o da quanta gente ascoltava il mio brano su Spotify. Poi ho capito che in realtà il mio valore prescinde dalla musica, perché il mio valore effettivo è essere una persona che agisce nel mondo e lo fa con l’istinto del bene. Stare con i bambini è uno scambio continuo, mi fa stare bene e fa stare bene loro.
Come riesci a conciliare le due cose?
La musica non è un valore commerciale, ma un valore umano, cioè una forma di comunicazione che aiuta gli altri a ritrovarsi, ad avere stimoli. Sono un insegnante di sostegno, sto anche con bambini e con bambine, che possono presentare dei disturbi o delle disabilità. Vedere il bambino che prima non riusciva a leggere e grazie al karaoke ha incominciato a leggere e a scrivere o la bambina, che prima aveva difficoltà a parlare e grazie alle canzoni ha iniziato a cantare, mi dà valore
Quindi usi la musica a scuola?
Sì, poi ovviamente non la posso applicare in tutto, però ad esempio per insegnare le tabelline invento le canzoni sulle tabelline con le rime, per la lettoscrittura utilizzo tanto il karaoke, perché molti bambini e molte bambine, che non hanno sviluppato la capacità di leggere presentano delle abilità superiori su quello che riguarda l'udito, piuttosto che in altri sensi. Devi capire dove insistere, qual è il canale di ciascuno, a volte può essere la musica, ma tante volte è il movimento. Devi trovare il meccanismo per dare validità al loro percorso, non funzionano tutti alla stessa maniera. Ognuno è più forte e più portato in un campo, quindi investo su quello, capito?
Ti sei approcciato alla musica grazie all’Hip-Hop, eppure i tuoi testi non sono violenti. Cosa pensi della proposta del Codacons di passare al vaglio i testi delle canzoni in gara?
Secondo me è un perbenismo. Negli anni ‘70 quando uscivano le band rock inglesi o americane, dicevano solo parolacce, parlavano male delle donne e soprattutto erano testi aggressivi, però visto che erano inglesi e nessuno capiva niente, allora era tutto a posto. Invece adesso ci arriva il messaggio. Io non sono d'accordo sui testi sessisti, che screditano il genere femminile, non sono d'accordo sui testi violenti, che riportano una certa realtà, però è giusto che anche quelle cose ci siano. Lo storytelling alla fine è un gioco, fare musica è anche divertirsi. Quindi, nel bene o nel male, si rischia veramente di inciampare nella grande trappola del politically correct. È giustissimo rispettare e far sentire rappresentati tutti, ma è giusto anche potersi divertire con quello che si fa. Il percorso artistico di una persona non può essere messo in discussione per un brano, che sta portando a una competizione. Dall'altra parte bisognerebbe uscire da questa gabbia maschilista, che si è creata intorno a questo genere, anche per le ragazze, che sono un po’ vittime di questo gioco. Sarebbe bello vedere altre tematiche, altri punti di vista. Un artista che a me piace tantissimo è Nayt, perché è uno che sfrutta il rap come strumento narrativo, ma la sua narrativa è totalmente lontana da quella degli altri rapper.
Nel brano dici “Chi è sazio non crede mai al digiuno”, in questo momento, ti senti più sazio o a digiuno?
Mi sento molto sazio in realtà, ma non parlo da un punto di vista economico. È un bel periodo, non riesco a non essere felice per quello che mi sta succedendo. Faccio un lavoro che mi gratifica, sono riuscito ad andare a cantare su palco, non è più un gioco in cameretta, è una cosa seria. Ed è nato tutto con le forze di poche persone, non siamo un team, non abbiamo soldi da investire, abbiamo semplicemente tanta passione. Quindi sì, mi sento sazio di vita, mi sento sazio di emozioni. Magari a volte rischio un po’ il burnout, perché ti ritrovi da un giorno dove hai una tua normalità a essere catapultato in questo mondo, ci vuole tanta testa per poterlo affrontare, perché un attimo che si va fuori. Sono sazio, ma credo nel digiuno, perché l'ho sentito anch'io.