Gli Arcimboldi di Milano ospitano la mostra fotografica David Bowie - The Passenger by Andrew Kent, l'acclamato fotografo americano che ha seguito il Duca Bianco dal 1975 al 1978. A quel tempo, Mr. David Robert Jones era reduce dalla conquista dell'America ed era tornato in Europa, decidendo di trasferirsi poi a Berlino. Prima, però, un viaggio su e giù dal palco per il vecchio continente tra la natìa Londra con migliaia di persone accalcate in stazione ad attenderlo, Parigi e perfino Mosca. Una settantina di scatti in totale, ma anche cimeli e curiosità rese ancora più vivaci dai diari di Kent che fanno da fil rouge tra le varie tappe, raccontando aneddoti inediti e scene di vita quotidiana tra Bowie e Iggy Pop, entrambi in recupero dai loro problemi di dipendenze. Tre anni di scatti, in anteprima italiana, incornicati per le sale del TAM che abbiamo perlustrato in compagnia di Fabio Cantelli, scrittore, intellettuale e tra i più stimati protagonisti della docu-serie Sanpa (Netflix). La sua venerazione per il Duca Bianco ha fatto di questa esperienza immersiva un vero e proprio regalo. Perché la bellezza è rara, rarissima. Ma, quando capita, ha l'immenso vantaggio di essere eterna.
"Nel momento in cui sai di trovarti su un terreno sicuro, sei morto. Sei finito. È tutto finito. L'ultima cosa che voglio è la sentirmi stabilito, sistemato. Voglio andare a letto ogni sera potendo dire a me stesso: 'Se non dovessi più svegliarmi, certamente avrò vissuto finché sono stato in vita". Questa una delle frasi di Bowie che campeggiano, chiaramente in lingua originale, sulle pareti della mostra, insieme alle foto dove il Duca Bianco, che sia al ristorante con gli amici, nella sua camera d'albergo parigina o a bordo di un treno per Mosca, risulta sempre di un'eleganza impeccabile. Per il modo in cui veste, certo, ma anche per le espressioni del suo viso. Che gli scatti siano a colori o in bianco e nero, il risultato non cambia: siamo davanti a un essere straordinario in qualunque dimensione e contesto.
L'amicizia con Iggy Pop, in viaggio insieme a lui, emerge chiaramente in ogni frammento: "Nel 1975 ero completamente immerso nelle droge - ha dichiarato l'Iguana del rock in un'intervista riportata, tra una foto e l'altra, - "sono sopravvissuto perché lo volevo e grazie all'aiuto di David Bowie". Poco più avanti, gli scatti di prova per la copertina del disco The Idiot che sarebbe uscito nel '77 riportando in auge la sua carriera dopo la separazione dagli Stooges grazie a brani immortali come Nightclubbing e China Girl. Ogni traccia, è stata scritta e composta a quattro mani con il Duca Bianco per un album ancora oggi considerato pietra miliare del rock.
Fabio Cantelli, mentre passeggiavamo per le sale dell'esposizione, era completamente immerso nel viaggio del suo venerato Duca Bianco. Tanto che, successivamente, ci ha voluto lasciare un pensiero per provare a spiegare l'emozione di poter ammirare l'uomo che cadde sulla Terra e che, sostanzialmente, gli cambiò la vita, quando era ancora 14enne e, ritrovandosi davanti a un'immagine di Bowie si disse: "Io voglio essere lui". Vi lasciamo qui di seguito la sua riflessione, come ogni volta, ricca di quel tipo di pietre preziose rare, introvabili, che possono sgorgare solo da un'anima che ha profondamente scavato dentro di sé. Con risultati mirabili:
"Guardando le fotografie della mostra mi è balzata agli occhi un’evidenza: di David Bowie – il mio alter-ego, l’immagine che mi ha permesso in età puberale di cominciare l’avventurosa ricerca di me stesso – è impossibile documentare la vita se non concentrandosi di volta in volta su un singolo pezzo o periodo. Così come aveva fatto due anni fa l’intensa pseudo-biopic “Stardust” di Gabriel Range con un bravissimo e bellissimo Johnny Flynn capace di immedesimarsi nel Bowie crisalide di Ziggy. Come il film racconta il primo viaggio negli Stati Uniti e l’impatto ora deludente ora sconcertante con la patria del rock’n’roll, così la mostra fotografica “The Passenger” racconta attraverso le immagini di Andrew Kent il periodo dopo la fuga da Los Angeles nel ’76: il ritorno in Europa, gli anni di Berlino, il secondo viaggio a Mosca con Iggy Pop dopo quello del ’73 di ritorno da alcuni concerti in Giappone, viaggiando sulla Transiberiana.
Dunque un periodo alla volta perché Bowie è stato come Pessoa «una sola moltitudine» e una moltitudine non la si può raccontare in una sola volta. Ma ecco l’evidenza che mi è balzata agli occhi passeggiando per le sale dell’Arcimboldi: in ogni parte di Bowie c’è gia tutto Bowie. Bowie era totalmente in Ziggy così come prima lo era stato in Major Tom e poi lo sarebbe stato in Thin White Duke e infine in Lazarus… E questo perché la ricerca di sé che lui mi ha insegnato e offerto in dono è continuata sino alla fine dei suoi giorni, ricerca che caratterizza non solo i grandi artisti ma i “grandi” in ogni campo.
Non sapevo cosa mi sarebbe accaduto entrando nelle sale della mostra, e alla cara amica Grazia Sambruna, che mi aveva proposto di andarci insieme dovendo scriverci un pezzo per “Mowmag”, ho detto: «Grazia, preparati a vedermi emotivamente scosso come non mi hai mai visto». Non c’è stato invece perturbamento ma non perché, come le ho detto alla fine, conoscevo già gran parte di quelle immagini. La mia calma rifletteva il sorriso interiore che mi si è acceso ogni volta posando lo sguardo sul volto incantevole del mio insegnante, immagine che mi indicò la via a quattordici anni, immagine in cui anche adesso continuo a riconoscermi, ritrovarmi.
È come quando guardo il mare: posso dire di conoscerlo, di amarlo, di aver vissuto sott’acqua le prime estasi della mia vita, tuttavia è un’emozione originaria che non appartiene al tempo cronologico ma a quello verticale, tempo che eternamente accade eternamente rinnovando la sua emozione: ogni volta che incontro il “mare Bowie” è come se fosse la prima volta".