Ho pianto, a un certo punto ho pianto, e non mi era mai successo durante un concerto. Vasco cantava Gli Angeli, “è da qui, è da qui, qui non arrivano gli angeli a indicarti la strada buona”, ho guardato la sua espressione sul mega schermo, sofferente, appoggiato all'asta del microfono come se fosse l'ultimo appiglio per non cadere nella disperazione o l'unica consolazione, l'unico abbraccio possibile, gli occhi chiusi, la bocca in una smorfia, e ho sentito tutto il dolore che ha provato e che continua a provare per la morte di Massimo Riva, il suo chitarrista storico. Ho rivisto me ad appena 17 anni, a costruirmi una corazza, i miei appigli erano i miei amici, Pablo, soprattutto Pablo, un fratello, mentre ascoltavo quella canzone e quella canzone la vivevo. “Vedi quante cose sono solo fesserie, fumi le tue Lucky Strike e ti rendi conto di quanto le maledirai”, ho pensato a lui, ho sentito il suo dolore, il dolore di Pablo, per aver perso sua sorella da poco, ho sentito quanto il dolore vada abbracciato, ho sentito che quella parte della mia vita l'ho vissuta e non tornerà più, ed è stata bellissima, e ho pianto, ho pianto cantando, come un bambino, come un uomo triste e felice. E mi sono voluto bene e ho voluto bene a tutti quelli che erano lì intorno a me. Io sono figlio di Vasco. Per quanto me ne possa dimenticare, lo sono.
Nel mio ricordo sto tornando da qualche allenamento, sono nel centro di Montecatini e cammino con mio padre, devo aver fatto qualcosa di buono tanto da meritarmi un premio, mio padre mi chiede: cosa vuoi? E io gli dico: un cd. Sotto ai portici c'era un negozio, si chiamava Superdisco, Vasco in qualche modo aveva già attirato la mia attenzione. Avevo 13 anni. Da Superdisco scelgo un album per la prima volta nella mia vita. Scelgo C'è chi dice no. E quando l'altra sera Vasco l'ha cantata dal vivo ho ripensato a quel momento, a mio padre, a quanto ho lavorato e ho vissuto per tirare fuori del tutto, senza paura, in totale libertà, il mio no verso tutto ciò che non mi piace, non va bene, non è giusto. No è una parola bellissima. Si oppone, seleziona, definisce. È una delle prime parole che impara l'essere umano: legittima la nostra esistenza, costruisce la nostra identità. È urgente, presuppone coraggio. C'è chi dice no ha tracciato una via, la mia, e me ne rendo conto solo adesso, stasera, mentre la ascolto; ha segnato un percorso, ha forgiato un carattere. E più dico no più mi sento bene. Più accetto questo aspetto di me, senza sensi di colpa, e più me ne fot*o se vengo apprezzato o meno. Più dico no più sono me stesso fino in fondo, più dico no più so a cosa voglio dire sì, più dico no e rinuncio ai compromessi più mi sento potente.
Sono arrivato a San Siro in scooter, distratto, come se andassi a vedere un cantante qualsiasi per me, perdendomi le prime canzoni. D'altronde ciò che ti occupa la vita concorre a renderti freddo, ma poi una volta dentro lo stadio è cambiato tutto. Ho riprovato quanto è bello cantare Sally al cielo. Ho saltato su Domenica lunatica fregandomene del menisco lesionato. Ho capito, mentre le faceva, come mai ha inserito in scaletta La fine del millennio e Basta poco, canzoni che dal vivo non gli avevo mai sentito fare, perché erano avanti e raccontano i tempi di oggi, contro chi vuole farci vivere una vita sempre più artificiale, automatica, distopica. Ho goduto quando su Rewind le ragazze si sono tolte il reggiseno. Nei concerti di Vasco è sempre successo. Che belle le tette, che bella la libertà. Che bella la verità, la sincerità. Pasolini diceva: "Ciò che conta è anzitutto la sincerità e la necessità di ciò che si deve dire. Non bisogna tradirla in nessun modo". A me prima di Pasolini, questa cosa l'ha detta Vasco. E io a differenza degli altri, a differenza di molti, ci ho creduto davvero. Poi, verso la fine, entra in scena Diego Spagnoli, il direttore del palco, presenta la band e fa la sua predica, sulla vita, sull'amore, su Vasco, uno show nello show, un rito pagano nel rito pagano. Pure lui mi ha cresciuto. Ora ci scriviamo su Instagram e ci sentiamo al telefono. Più sei te stesso più la magia accade. Diego dice quello che ho vissuto io stasera, che nelle canzoni di Vasco ci siamo rivisti, abbiamo riflettuto, ci siamo ricordati di chi non è più tra noi. E abbiamo pianto. Io ho pianto. Ma che bisogna gioire perché tutto questo sentire, tutto questo vivere, merita il nostro amore. E guardo con meraviglia scorrere sul wall tutte le parole delle canzoni di Vasco, come un fiume, una cascata, una valanga di parole e alla fine c'è Alba Chiara, e voglio solo andare via, che anche io, come lui, non sopporto gli addii, che anche io mi maledico, mi mando affancu*o, non sopporto me stesso, io per primo, e guardo tutte le parole scritte da Vasco, quanto ha prodotto, quanto ha dato, quanto rumore e in fondo, penso, è questo che dobbiamo lasciare nella nostra vita dove non arrivano Gli angeli, dove soffri, stai male, ti manca chi non c'è e continui ad amare chi resta: un bel rumore. Solo un bel rumore. Senti che bel rumore.